« Quando sei il più giovane di ben nove figli, l’arte della negoziazione la impari da bambino, a tavola, quando devi sgomitare per pranzare. Soprattutto, se hai a che fare con tre fratelli che intraprenderanno la tua stessa carriera ». Lo racconta Brian Sheridan, quarantaduenne direttore degli affari legali di Sorin, multinazionale del settore biomedicale di origini piemontesi, conosciuta per la produzione di valvole cardiache.
Il general consuel Sheridan è un ex enfant prodige – o forse lo è ancora, considerando le medie italiane – con una carriera decennale in una multinazionale già alle spalle. Originario dell’Irlanda del Nord, la passione per la legge e per il business l’ha respirata sin dalle mura di casa sua. Ha studiato giurisprudenza a Londra, e con in tasca un LL. M. dell’University College e un diploma in Competition Law del King’s College se n’è andato a Bruxelles. Era deciso a lavorare a tutti i costi nel campo del diritto europeo, e voleva farlo nel posto migliore. Poi, ha scritto un libro sulla regolamentazione del settore biomedicale, il primo pubblicato su questa materia. E dopo una breve ma importante esperienza nello studio americano Oppenheimer Wolff & Donnelly dove fu promosso a socio, è arrivata l’assunzione nella direzione affari legali di Sorin, a soli 32 anni, grazie alla segnalazione di un general counsel più anziano di un’azienda concorrente.
Era il 2004 e Brian Sheridan ha ancora gli occhi che brillano quando ricorda l’offerta di lavoro: « Era una cosa meravigliosa. Mi hanno dato carta bianca, e il bello è che ce l’ho ancora ». In particolare, Sheridan chiese – e ottenne – come condizione imprescindibile del suo ingaggio il pieno potere di assumere e licenziare i consulenti legali esterni dell’azienda (« Come fai a gestire gli studi legali se non hai la possibilità di esonerarli dall’incarico? »).
L’azienda aveva superato una scissione dal gruppo Snia ed era appena stata quotata in Borsa, non c’era tempo da perdere. Bisognava creare una multinazionale, cambiare in pochissimo tempo cultura aziendale e persone, e creare da zero una direzione affari legali. Non bastava trovare le persone giuste, era necessario capire cosa far fare agli avvocati che sarebbero entrati in Sorin, decidere quali sarebbero state le loro funzioni. L’azienda allora decise di scommettere sul talento del giovane avvocato nord irlandese, prendendosi tutti i rischi del caso.
Un modello internazionale
Dieci anni dopo, Sheridan è ancora lì, a capo di un dipartimento composto da diciassette persone, di cui nove donne, con un’età media di 33 anni. È riuscito a creare una direzione legale con una cultura internazionale e meritocratica e un ruolo strategico per l’azienda. « Alcune direzioni legali si occupano prevalentemente di generare contratti, ciò che invece contraddistingue il nostro lavoro, e che lo rende unico nel panorama dei giuristi d’impresa, è la partecipazione alle strategie di business aziendale, anche a quelle che riguardano l’espansione geografica ». Il general counsel di Sorin siede, infatti, nell’executive leadership team, l’organo che gestisce la società e che è composto dal presidente e da altri nove componenti (amministratore delegato, Ceo, General counsel, Responsabile delle risorse umane, Responsabile operation e manufacturing e singoli capi delle altre business unit).
Dalla contrattazione alla proprietà intellettuale, il team di Sheridan ricopre tutti i classici ruoli di una direzione affari legali (tranne il fiscale) e su certi aspetti i suoi avvocati diventano pietre angolari della strategia di business internazionale messa in campo dall’azienda. « È facilissimo trasformare le skills di un avvocato internazionale in ritratto
strategia aziendale; basta saperle utilizzare anche al di fuori di un contesto strettamente legale. Un discorso che vale specialmente quando si lavora in un mercato iper-regolamentato come quello biomedicale » sottolinea Sheridan. Un esempio è proprio il settore della tutela brevettuale, in cui tutte le operazioni svolte dalla direzione legale (vendita, licensing, negoziazione e interazione con il diritto antitrust) acquistano un valore strategico fondamentale per la multinazionale.
C’è poi il programma di compliance ( premiato al TopLegal Corporate Counsel Awards lo scorso luglio, ndr) fiore all’occhiello della Sorin e del suo general counsel. Per Sheridan il merito del successo è tutto delle persone che sono state scelte e della cultura internazionale che caratterizza la società: « Sono tre gli elementi vincenti del nostro lavoro: puntiamo alla sostanza molto più che alla forma, lavoriamo con la massima trasparenza e abbiamo costituito un ottimo team di professionisti ». Per Sheridan l’esperienza e l’età non vanno necessariamente di pari passo (come è stato nel suo caso), contano molto di più la flessibilità, la passione genuina per il proprio lavoro e l’adesione a particolari valori personali. « I più giovani sono anche i meno cinici. Li preferisco per questo motivo. Ho più fiducia in loro che in professionisti molto più navigati » sottolinea Sheridan. E con soddisfazione, conclude: « Non sono l’uomo più popolare in Sorin, ma sono certo che tutte le mattine i componenti del mio team sono felici di venire a lavorare in azienda. Tutto questo, mi porta ad essere più orgoglioso dello sviluppo professionale del mio team ».
Limiti e pregi italiani
« Non scegliamo studi legali, ma avvocati. E gli italiani come avvocati d’impresa sono i migliori, basta cercarli bene ». La premessa è delle più ottimistiche, ma Brian Sheridan è lo stesso che appena assunto come general counsel in Sorin licenziò ottanta studi legali colpevoli di non essersi adeguati subito alla nuova cultura aziendale. L’avvocato nordirlandese è un fiume in piena quando parla del mercato legale italiano e non risparmia le critiche. Uno dei problemi che riscontra è la disomogeneità all’interno degli studi. Per questo motivo, il nome dello studio legale comincia a contare sempre meno rispetto al singolo professionista.
C’è un problema culturale alla base, specialmente quando si tocca la questione dell’età. Il team di Sheridan è composto da giovani avvocati che, nemmeno trentenni, si confrontano con professionisti che spesso hanno il doppio della loro età. Lo fanno con competenza e genuinità, dall’altro lato non trovano sempre la stessa apertura mentale. « Molti studi non hanno ancora capito come funziona la direzione legale della nostra azienda. Dovrebbero finalmente capire che il loro cliente è il general counsel, non il presidente della società o l’amministratore delegato. Chi si rivolge direttamente a loro, saltando a piè pari il mio ufficio, non lavorerà mai con Sorin », dice chiaramente Sheridan, usando la parola « lealtà » proprio per sottolineare l’importanza di saper gestire al meglio il rapporto tra lo studio legale esterno e la funzione legale dell’impresa.
« L’in-house counsel non è un infelice e non è assolutamente vero che non ha nessun potere. Anzi, la scelta di servirsi della consulenza di uno studio legale esterno piuttosto che di un altro è una delle decisioni di business più importanti che un general counsel possa prendere per la propria società ». Sono questi i miti da sfatare, i pregiudizi che secondo Sheridan colpiscono non solo gli avvocati italiani, ma anche quelli degli studi internazionali.
Tornando all’analisi del mercato legale nostrano, secondo il general counsel di Sorin, gli italiani hanno ancora problemi con la lingua, non tutti parlano inglese e in molti non sono abituati a gestire un cliente straniero. Sheridan fa l’esempio del settore dell’intellectual property in cui ha riscontrato diverse mancanze: « Gli studi italiani sono molto specializzati nella fase di preparazione e concessione di un brevetto, ma non sono poi in grado di gestire autonomamente un eventuale contenzioso internazionale che potrebbe però facilmente verificarsi. È una grossa lacuna che gli studi americani non hanno. I patent attorney riescono a gestire a 360 gradi tutto ciò che gira intorno alla tutela brevettuale ».
Gli italiani, però, a detta dell’avvocato nordirlandese, rispetto ai colleghi anglosassoni hanno dalla loro una conoscenza molto più approfondita dell’economia e di tutto ciò che gira intorno ad un’impresa pur non essendo strettamente di ambito giuridico. Il consiglio che Sheridan sente di dare agli studi è quello di credere di più nelle nuove generazioni di avvocati. Lui già lo fa.
Articolo pubblicato in TopLegal ottobre 2013
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