La mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro è atavica in Italia. Ma è stato addirittura accentuato dal coronavirus, che ha reso più rilevanti le esigenze di flessibilità degli orari e dei luoghi di lavoro. Questi temi sono stati toccati lo scorso 8 novembre a Milano, in occasione della presentazione del secondo Osservatorio Lavoro, condotto dal Centro Studi di TopLegal, seguita da una tavola rotonda di approfondimenti con HR manager e giuslavoristi.
Smart working e flessibilità
L’Osservatorio Lavoro rileva che per attrarre e trattenere talenti, le imprese stanno puntando su un migliore piano di welfare aziendale (53%), sulla promozione di meritocrazia e imparzialità (41%) e soprattutto sullo smart working (76%). Non è un caso che un effetto indiscusso della pandemia sia stata la standardizzazione dello smart working.
Gianmarco Fissore, Labour Law & Industrial Relations Manager di Lavazza (il secondo professionista da sinistra), ha raccontato l’esperienza in azienda dello smart working. Progettato nel 2018, è stato introdotto tramite regolamento aziendale inizialmente per un giorno a settimana, ora per dieci giorni al mese, cumulabili in cinque al massimo. “Diamo libertà alle persone su luogo, tempi di smart working e decisione di aderirvi o meno. Siamo partiti dagli impiegati della sede, poi l’abbiamo esteso agli stabilimenti (esclusi gli operai). Ora abbiamo appena pubblicato la hybrid working policy per le consociate del gruppo, dando linee guida, suggerimenti e formazione su come applicarlo nelle varie località”.
Maria Teresa Iannella, Associate Partner di EY (la seconda professionista da destra), ha affermato che le aziende fanno fatica a implementare lo smart working e il lavoro agile, per cui con pazienza bisogna spiegare loro che i tempi e i modelli organizzativi sono cambiati. “Spesso le imprese chiedono il lavoro agile all’estero e in tal caso bisogna tener conto di importanti accorgimenti, ad esempio il limite di 183 giorni di permanenza all’estero, onde evitare impatti sulla posizione fiscale”, ha affermato Iannella.
Luca Failla, partner fondatore di Failla & Partners (il primo professionista da sinistra), ha evidenziato che, a seguito della pandemia, le persone danno più importanza alla vita privata che lavorativa. La settimana corta va incontro a questa esigenza, dando enfasi non alle ore lavorate e al controllo occhiuto sul lavoratore, ma al rendimento, alla prestazione e al risultato. “Per i giuslavoristi questa è una rivoluzione copernicana, perché impone di ragionare su nuovo modello organizzativo e di contratto di lavoro. Si contrattualizza così il rendimento che datore di lavoro si aspetta in cambio nello spazio-tempo gestito dal lavoratore e si mescola la subordinazione del lavoratore subordinato con l’autonomia del lavoratore autonomo”.
Per Giovanni Antonio Osnago Gadda, Partner di Carnelutti (il quinto professionista da sinistra), non esiste una ricetta unica per conciliare flessibilità del lavoro e necessità di governo dell’impresa: alcuni imprenditori sono favorevoli al lavoro agile, altri meno; inoltre, non tutti i lavori, anche nella stessa azienda, possono essere svolti in smart working, come nel caso del tornitore. “Occorre un’attività sartoriale sul lavoro agile, da applicare o meno in base alle esigenze di ogni singola impresa”.
Il welfare aziendale
Sul tema del welfare aziendale, Fissore ha esposto i punti principali del nuovo contratto integrativo per il centro direzionale di Lavazza, approvato nel 2022, valido fino al 2025. Il contratto prevede, tra gli altri: venerdì brevi per 15 venerdì da maggio a settembre di ogni anno; 16 ore aggiuntive all’anno per i caregiver per portare persone a fare le visite; 4 ore l’anno per portare gli animali dal veterinario; 5 giorni aggiuntivi di paternità obbligatoria a carico dell’azienda; l’erogazione di parte dei premi in ticket compliments e servizi di welfare. Sul tema del welfare, Osnago Gadda ha evidenziato che il welfare è difficilmente applicabile dalle pmi, tipicamente dotate di risorse economiche inferiori.
L’impatto della tecnologia
Oltre alla pandemia, un cambiamento importante nel mondo del lavoro è stato indotto dalla tecnologia. Tuttavia, solo un’azienda su tre ha implementato l’intelligenza artificiale per le funzioni ripetitive (screening dei candidati) a favore di un maggior contatto con le persone. Sul tema, l’avvocato Failla ha sottolineato che l’AI è inarrestabile, le norme di diritto del lavoro possono solo correre e cercare di starle dietro. “Attualmente la regolamentazione sull’uso dell’AI sfavorevole, ma va modificata”, ha auspicato il giuslavorista.
L’attrazione dei candidati
L’Osservatorio Lavoro rileva che il 45% delle imprese intervistate ha registrato un aumento delle dimissioni negli ultimi anni. Per far fronte alle maggiori uscite, il 56% delle imprese intervistate ha fatto ricorso a un maggior uso della mobilità interna. Di queste il 26% attraverso un piano di formazione per sviluppare le competenze. Sul tema della formazione, Ianella ha auspicato che, alla luce del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione, “le imprese capiscano l’importanza di assicurare ai lavoratori la formazione e la creazione di una carriera lungo tutta la vita lavorativa. Tuttavia, la formazione ad oggi è inversamente proporzionale all’età del lavoratore”.
L’Osservatorio Lavoro certifica che la principale iniziativa messa in campo dalle aziende per avvicinarsi all’universo valoriale delle nuove generazioni è stata l’implementazione di un piano di sostenibilità o di attività Esg certificate. Iannella ha illustrato che gli elementi essenziali della “S” di Esg riguardano diversity, parità di genere, work life balance, salute psico-fisica, benessere mentale e sociale, crescita personale e professionale. “Se mancano tutti questi elementi, si ritorna a focalizzarsi sull’aspetto puramente economico del lavoro”.
Per Delia Simone, team manager di Manpower Professional (la quarta professionista da sinistra), per affrontare la carenza di talenti le aziende possono allargare il bacino dei talenti offrendo work life balance, percorsi di carriera chiari e definiti, valori in termini di Esg, impatto sociale dell’impresa, diversity e inclusion ed etica. Inoltre, le imprese possono “allargare le maglie della selezione, guardando anche a profili con percorsi di carriera meno lineari (cambi di settore, interruzioni di lavoro per motivi di salute o assistenza), giovani non laureati”.
Il supporto alle imprese degli studi legali esterni
In questo contesto, le imprese si rivolgono ai consulenti legali esterni soprattutto in caso di contenzioso. Un dato confermato da Giorgio Albè, partner fondatore di A&A Studio Legale (il primo professionista da destra). A suo avviso, il professionista dovrebbe essere coinvolto prima, in modo da evitare la patologia del rapporto di lavoro. Il giuslavorista per le trattative sindacali ha spiegato che “è fondamentale mantenere la parola data. Inoltre, è importante capire esigenze che rappresentano i sindacati, evitando lo scontro e privilegiando il dialogo”.
Barbara Grasselli, founding Partner di Zambelli & Partners (la terza professionista da sinistra), ha ricordato che, nella sua esperienza, viene chiamata dalle aziende soprattutto su operazioni straordinarie di riorganizzazione, ristrutturazione e trasferimenti d’azienda. “Il legale è coinvolto nell’assessment preliminare e per rappresentare l’impresa davanti ai sindacati. La gestione del contenzioso richiede un flusso di informazioni ben strutturato, anche perché la tempistica è critica nel processo del lavoro”. Le fa eco il giuslavorista Osnago Gadda, secondo cui “la sfida vera è far capire che serve un rapporto leale e di fiducia con gli avvocati del lavoro, evitando di chiedere loro una consulenza all’ultimo momento”.
Valentina Magri