L'avvocato italiano scopre il mercato e il rosso in banca. Questo è il quadro che emerge dalla ricerca sugli avvocati italiani realizzata dal Censis per conto dell'Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) presentata a Roma.
Per la prima volta, la categoria riflettendo su sè stessa ammette che «a denotare la qualità delle competenze professionali è il mercato (risposta del 63,6% del campione)» assieme al'aggiornamento continuo (78%). Poco conta l'iscrizione all'Ordine (5,2%), che al contrario di quanto normalmente sostengono le istituzioni forensi non è sinonimo di garanzia della qualità professionale (anzi, il 64% dei legali lamenta la mancanza di una tutela efficace da parte degli organiistituzionali). L'attestato della bravura di un legale viene dai «clienti che tornano».
Ma affermarsi sul mercato è anche una delle cose più difficili. Farsi un nome e avere clienti propri, sono state indicate come le principali difficoltà che un legale incontra nel proprio percorso di carriera. Così come, molto difficile, risulta riuscire ad aprire uno studio autonomo. Perchè? I problemi sembrano rientrare in due sfere: la capacità di darsi una struttura razionale e quella di sostenerla. Per circa l'80% degli intervistati, infatti, tra le iniziative più urgenti da adottare per recuperare capacità di stare sul mercato sono affrontare le inefficienze organizzative e razionalizzare le attività presenti nello studio. La gestione, infatti, rappresenta una delle voci di costo più elevate per gli avvocati italiani assieme all'aggiornamento.
Ma come si affrontano queste spese? L'autofinanziamento è da sempre la prima risorsa. Ma attenzione. Nel 15% dei casi si ricorre al "rosso", ovvero allo scoperto bancario. Del resto garantirsi le risorse solo attraverso la fatturazione non è una cosa scontata, visto che un avvocato su due lamenta la difficoltà nel recupero dei crediti.