Con il ridimensionamento dei mandati e delle parcelle che ha caratterizzato gli ultimi anni contrassegnati dalla crisi, i grandi studi si sono visti costretti a investire su ambiti di consulenza in passato appannaggio di studi boutique specializzati. Questa strategia ha quasi subito dovuto fare i conti con la fuga di affermati professionisti verso le boutique, ma ora gli equilibri iniziano nuovamente a rimescolarsi, invertendo i rapporti di prima. E a ridisegnare la morfologia del mercato legale è di nuovo la marginalità del servizio che premia alcuni settori e ne declassa altri.
L’amministrativo, seguito da grandi professori che sanno far pesare i rapporti diretti con la pubblica amministrazione, ha finora favorito maggiormente la formula boutique. Quanto la boutique sia diventata attraente nell’ultimo biennio per l’amministrativo si evince da professionisti come Cintioli, Clarich, Guccione e Perfetti che si sono diretti in questa direzione a danno dei grandi studi. Mentre i grandi studi hanno dovuto accettare con notevoli ribassi le operazioni di integrazione indette attraverso le gare degli enti pubblici, l’amministrativo puro ha conservato la sua rimuneratività elevata. Secondo quanto emerso durante una ricerca sul settore dal Centro Studi TopLegal che sarà pubblicata a marzo, le boutique fungono da vero «generatore di lavoro».
All’altra estremità si inquadra il competition, per cui il fenomeno commodity appare ormai conclamato. I grandi mandati altamente remunerativi come i cartelli sono sempre meno frequenti, e la maggior parte dell’attività è ancillare all’m&a. L’antitrust, se non arriva al Tar, costituisce una consulenza ordinaria alla portata di tutti, trasformandosi in commodity per le direzioni legali delle grandi aziende. Non sorprende, quindi, che le sorti dei professionisti sembrino legate a doppiofilo con quelle di strutture multipractice che hanno messo a segno i lateral più significativi (Caiazzo, Di Via, Osti). Al crollo valoriale del servizio però si è aggiunto anche il crollo della domanda. Con le recenti modifiche delle soglie di fatturato che rendono obbligatoria la comunicazione di una concentrazione, il competition non è più profittevole. Secondo una ricerca parallela condotta dal Centro Studi TopLegal (anche essa in uscita a marzo), il comparto ha registrato un decremento dell’attività pari al 95%. Con questi numeri, le piccole realtà sono destinate a scomparire. Al contrario, chi opera a livello comunitario potrà scommettere su un nuovo epicentro del settore a Bruxelles, mercato destinato a diventare sempre più prerogativa delle realtà strutturate.
In una zona intermedia di salute, invece, dovremo collocare il lavoro. Vista nella prospettiva delle recenti uscite di Lablaw, che ha perso nel giro di pochi mesi tutti i partner romani (ad oggi ancora non sostituiti), la scissione Persiani-Help annunciata questa settimana conferma la crescente difficoltà in cui stanno entrando le boutique specializzate in diritto del lavoro. Difficoltà che aumenterà per le realtà che non riescono a stringere un partenariato strategico con il cliente contro l’allargarsi della fungibilità dei loro servizi. Mentre la diminuzione della domanda non farà altro che accelerare l’inversione che porterà il labour al pari del competition piuttosto che dell’amministrativo.