La sentenza 20 gennaio 2017, n. 1545 costituisce indubbiamente una grande novità da cui non si potrà più prescindere nella definizione dei rapporti tra gli amministratori e le società che gestiscono.
La questione sottoposta alle Sezioni Unite trae origine dall’espropriazione intentata nei confronti di un debitore, in esito alla quale il Giudice ha assegnato alla creditrice procedente l’intera somma accantonata dalle società a titolo di emolumenti per l’attività svolta dal debitore, qualificata di lavoro autonomo, quale amministratore di una società e quale componente del consiglio di amministrazione di altra società.
Il debitore, contestando tale qualificazione della propria attività, aveva proposto opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione, che il Tribunale di Ancona aveva accolto partendo dal presupposto opposto, che assimilando l’attività in questione al lavoro parasubordinato e, quindi, impignorabili i relativi crediti oltre il quinto.
La creditrice ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, svolgendo anche interessanti motivi di natura processuale (sull’obbligo di astensione del giudice e sul diritto di difesa), tutti disattesi.
Circa invece il motivo principale, dell’identificabilità dell’attività di amministratore come parasubordinata, la soluzione del quesito relativo alla pignorabilità dei compensi dell’Amministratore Unico e del Consigliere di Amministratore ha preteso, da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, un intervento risolutorio sull’argomento.
Il contrasto giurisprudenziale esistente sul tema riflette, infatti, la variegata elaborazione dottrinale che, in sostanza, va ricondotta a due diversi orientamenti: la c.d. teoria contrattualistica, che riconosce l’esistenza di un vero proprio contratto che lega l’Amministratore alla Società e la c.d. teoria organica, secondo cui, invece, sussiste un’immedesimazione dell’Amministratore nella persona giuridica che rappresenta.
Già in precedenza, nel 1994, le Sezioni Unite (14 dicembre 1994, n. 10680) avevano composto il contrasto esistente, che coinvolgeva anche la dottrina, risolvendo l’aspetto processuale della competenza per materia (attribuita al giudice del lavoro), qualificando il rapporto di amministrazione in termini di lavoro parasubordinato e, quindi, con una virata netta in favore della c.d. teoria contrattualistica.
Detta pronuncia, tuttavia, non è bastata a placare il contrasto che, anzi, nel corso degli anni, è stato ulteriormente alimentato dalla nuova configurazione del sistema societario a seguito delle novelle legislative che attribuiscono all’Amministratore una posizione dominante sull’ente sociale, per nulla assimilabile né a quella di un lavoratore subordinato o parasubordinato, né a quella di un prestatore d’opera autonomo: ciò, con l’ovvia conseguenza che detto rapporto non dovrebbe né potrebbe essere regolato da un contratto.
Muovendo da tali valutazioni le Sezioni Unite hanno totalmente ribaltato la precedente posizione sostenendo la totale immedesimazione dell’Amministratore con la Società che rappresenta e l’instaurazione di un c.d. “rapporto di società” che, in quanto tale, esclude il contratto d’opera ed il rapporto di lavoro, sia subordinato che parasubordinato, non più compatibili con la disciplina vigente in materia.
Sulla scorta di tali valutazioni le Sezioni Unite hanno escluso l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 545 c.p.c., IV comma, ai compensi degli Amministratori per le funzioni svolte in ambito societario, affermando la loro integrale pignorabilità.
Conseguenza di tale decisione è, poi, come affermato apertamente dalla Corte, l’attribuzione della competenza per le controversie fra Società e Amministratori non più al Giudice del Lavoro bensì al Tribunale delle Imprese.
Due considerazioni: la prima è che la Corte ribadisce, per inciso, il principio della possibile coesistenza, sussistendone i presupposti, del rapporto di lavoro subordinato (o parasubordinato o d’opera) con la carica di amministratore, ma mantenendo una separazione, che la decisione in esame sottolinea maggiormente.
La seconda, come già osservato da alcuni commentatori, è come disciplinare il rapporto tra Amministratore e Società: escluso, quindi, che sia possibile arrivare ad una definizione contrattuale sarà necessario operare con gli strumenti propri del diritto societario e, quindi, con le delibere degli organi della società.
Certamente tale soluzione appare opportuna fin da subito, per regolamentare i rapporti esistenti per i quali gli accordi sono stati definiti in contratti sulla cui validità è lecito ormai dubitare.
Giorgio Albè
Marianna Gobbi Frattini