Scenari

Le sfide della crescita, il ruolo del cfo

Al Cfo business summit accademici ed esperti discutono di come cogliere le opportunità di sviluppo dello scenario economico. E del nuovo ruolo del chief financial officer

07-06-2018

Le sfide della crescita, il ruolo del cfo


In Italia gli ultimi studi hanno evidenziato una tendenza delle micro imprese a crescere e diventare piccole. Ma non emerge ancora una tendenza di un’evoluzione dalle piccole alle medie, e da queste a quelle grandi. La sfida alla crescita dimensionale è uno dei principali temi sul tavolo oggi per il sistema Paese, le aziende, e anche per gli in house e in particolare il cfo che è chiamato a un ruolo sempre più in trasformazione in ottica olistica e di vicinanza al business. Quali imprese riusciranno infatti a cavalcare le opportunità di crescita che presenta il contesto economico? Come?

Su questi interrogativi si è confrontato un panel di esperti accademici e aziendali durante la giornata di apertura del Cfo Summit, che si è svolto mercoledì 6 e giovedì 7 a Milano organizzato da Business International e di cui TopLegal è media partner.  Durante la tavola rotonda “Financial outlook, new opportunities for enterprises, insight for the Italian Cfos”, sono intervenuti: Antonio Altomonte, business solution senior manager & team leader global commercial services di American Express; Maurizio Dallocchio, professore ordinario di finanza aziendale, past dean SDA, Università Bocconi; Giulio Lombardi, senior director, Fitch Ratings; Roberto Mannozzi, Cfo Ferrovie dello Stato e Presidente Andaf, Francesco Tanzi, cfo di Pirelli. I relatori sono stati moderati da Alberto Tron, professore incaricato di revisione aziendale dell’Università Bocconi e presidente C.T. financial reporting standard dell’Andaf.

La crescita dimensionale è legata a doppio filo con alcuni driver di successo dell’impresa: l’internazionalizzazione e la riduzione del rischio, la capacità di investire in R&d,  l’opportunità di calvalcare l’M&a e di migliorare la competitività. Il problema dimensionale è un tallone d’Achille italiano che, spesso, dipende da problemi noti: poca propensione al rischio da parte di una certa classe di imprenditori, troppo poca equity e troppa dipendenza dalle banche, spesso una governance che non aiuta l’ingresso di nuove energie e punti di vista, e che rende difficile un passaggio generazionale di successo. 

Ben inteso che la micro impresa non rappresenta un problema in sé quando fa eccellenza tale da potersi distinguere rispetto alla folla. Come ha fatto notare Maurizio Dallocchio, un esempio sono i flussi turistici che sono guidati dalle realtà dell’artigianato di eccellenza. Tuttavia, la crescita dimensionale è un tema di grande rilevanza perché da essa passa l’opportunità di cavalcare la crescita economica in atto. Inoltre, può certamente mitigare il rischio, perché per esempio, aumenta l’internazionalizzazione e la diversificazione. È altresì chiaro che la media impresa per crescere non può lavorare solo su efficienza e prezzo, ma deve trovare elementi di valorizzazione. Se infatti la componente demografica non aumenta, come è il caso dell’Italia, il secondo importante driver dello sviluppo delle aziende è l’innovazione. Eppure, la spesa in R&s italiana è fatta per il 96% da sole 15 imprese e quindi la capacità di generare innovazione è legata a poche società. 

Dallocchio ricorda infine altri due importanti aspetti: la rilevanza dell’M&a, anche a discapito di un po’ di libertà imprenditoriale e la centralità della qualità delle persone. Nel primo caso il professore della Bocconi rammenta che la crescita organica è riservata a un numero di imprese limitate perché la sfida di prodotto nel lungo periodo in una popolazione che invecchia non è semplice. Nel secondo caso, il nodo del passaggio generazionale può essere risolto solo attraverso la capacità di attrarre le persone giuste e di valore. E queste persone guardano alle imprese che hanno modelli, governance, meccanismi operativi (e quindi anche un bravo Cfo) da cui imparare.

In questo contesto Francesco Tanzi, cfo di Pirelli ha voluto sottolineare come il ruolo di cfo sia oggi più ampio del passato, con un forte orientamento al risk management, un approccio olistico e trasversale, in grado di gestire le aspettative dei soci e delle diverse aree della società. In altri termini, il Cfo non deve solo essere in grado di leggere fogli excel, ma deve anche fornire uno storytelling dell’azienda all’interno e all’esterno, comprendere i mercati, inclusi gli elementi di geopolitica, con l’internazionalizzazione che certamente aiuta la crescita e la competitività. In aggiunta, diventano imprescindibili maggiori competenze tecnologiche (basti pensare al tema della robotica). Anche nelle aziende medio piccole, dove dice Tanzi riallacciandosi alla riflessione di Dallocchio, investire in R&s è fondamentale per avere elementi distintivi, nelle persone o nei prodotti. Quello del Cfo è un ruolo, quindi che è già mutato in maniera materiale e che promette di mutare ancora nel futuro.

Tra le varie competenze del Cfo orientate alla crescita dell’azienda, Antonio Altomonte di American Express ha ricordato la centralità della gestione del capitale circolante, che può diventare uno dei principali fattori di crisi dell’azienda. Anche su questo aspetto è chiamato in causa il Cfo che deve essere in grado di avere il polso della situazione. Se nel complesso i Cfo mostrano un alto livello di competenza, per Altomonte tuttavia c’è anche una certa resistenza al cambiamento e ad uscire dalla comfort zone: quindi un cfo deve essere attento al rischio dell’azienda ma deve anche essere curioso sul core business dell’azienda.

Quando si parla di crescita non si può poi non toccare il dolente tasto del mercato dei capitali. Come ha ricordato Giulio Lombardi di Fitch Ratings, le emittenti italiane di corporate bond nel 2017 sono sostanzialmente le stesse di 15-20 anni fa. Nomi, per citare qualche esempio, come Snam, Telecom, Cnh. Le new entry sono rare (è il caso di Esselunga). Proprio per le ridotte dimensioni delle società italiane, sono quindi poche le realtà che si dotano di un rating sul merito creditizio. Che tuttavia, rileva Lombardi, può essere un utile strumento nelle mani anche del Cfo, per esempio nel gestire scelte sul debito in relazione a rapporti con la proprietà. 

Il problema della scarsa dimensione delle imprese italiane, e tutte le declinqzioni affrontate nel dibattito, ruotano però intorno a un’unica grande tematica: la conoscenza. Come ha sottolineato Roberto Mannozzi, presidente di Andaf, se si investe in conoscenza e si riesce a essere qualitativi a prescindere dalle dimensioni, allora anche la piccola impresa può tornare a essere motore di crescita. In questo quadro il Cfo è chiamato alla sfida della crescita culturale che contamini l’azienda stessa, in un dialogo che possa essere sempre più orientato allo sviluppo anche dimensionale. Uno sforzo che rientra nel più ampio cambiamento del ruolo del cfo, che include la capacità di crescere nel soft skills ma anche di crearsi un team ben diversificato, finanche la capacità di affrontare nuovi temi sempre più di interesse del mercato e degli investitori. Un esempio sono le non financial information (decreto dicembre 2016 n.254), per le quali, però, secondo Mannozzi sarebbe più corretto parlare di  pre financial information: sono dimensioni che hanno un impatto reale sui numeri dell’azienda (sul tema Roberto Mannozzi interverrà anche alla Integrated Governance Conference del 19 giugno).

 


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