Succedeva: giugno 2006

LE ULTIME NOTE DEL CIGNO

La nuova politica d’apertura di Banca d’Italia fa esplodere le aggregazioni bancarie. Ma dietro l’angolo delle operazioni multimiliardarie la frenata brusca del mercato

14-06-2014

LE ULTIME NOTE DEL CIGNO

Nell’estate del 2006 inizia una nuova e florida stagione per gli specialisti di societario. Dopo le bolle del real estate, del private equity e della finanza strutturata susseguitesi durante la prima metà degli anni 2000, si abbatte improvvisamente sul mercato un’ondata di operazioni di fusioni e acquisizioni nazionali e cross-border. La fiducia degli investitori presto arriverà alle stelle: nell’estate del 2007, lo S& P Mib segna il suo massimo storico arrivando ad oltre 44.000 punti. E con il boom arrivano anche le maxi parcelle degli avvocati. Ma il ciclo sarà breve e la crescita ininterrotta per gli studi legali ha i giorni contati. Tra il 2006 e la fine del 2008 si assiste all’ultimo canto del cigno prima della brusca discesa. Nel marzo del 2009, Piazza Affari crolla del 70% toc­cando i 12.621 punti, il minimo storico. Il doppio colpo dei mutui subprime e del collasso Lehman hanno portato alla normalizzazione che dura fino ad oggi.

Il 2006 segna soprattutto un anno importante di cambiamento organizzativo per il mondo bancario italiano. Con circa 700 banche, l’Italia ha il sistema del credito fra i più frammentati in Europa, ma il primo giugno del 2006 il settore si ritrova in un clima completamente ribaltato.

La svolta ha inizio il 31 maggio. Mario Draghi, l’allora neo governatore di Banca d'Italia, tiene il suo primo discorso all’annuale assemblea della Banca Centrale. L’intervento, secondo il Financial Times, ha del Krusciov che denuncia Stalin. Draghi accenna alle fallite scalate bancarie dell’anno precedente volte a difendere l’italianità del sistema bancario. In quel momento, ricorda Draghi, «volgeva al termine un periodo convulso di scandali, di speculazioni, durante il quale era parso che il mercato, i risparmi degli ita­liani, il destino di società in settori rilevanti per l’economia nazionale fossero preda dell’arbitrio, dell’interesse, delle trame di pochi individui». E prosegue: «L’iniziativa della magistratura impediva il compiersi di queste trame. Si attende l’esito dei procedimenti giudiziari in corso. La Banca d’Italia, pur salva nell’integrità istituzionale della sua struttura, ne usciva ferita». Draghi rivolge inoltre un riconoscimento «non formale» al suo predecessore, Antonio Fazio, per l’attività svolta, pur lasciando «aperto» il giudizio sullo scorcio del suo mandato.

Fazio, appunto. Per 12 anni, l’ex numero uno di via Naziona­le aveva respinto le aggregazioni. Le ultime a beneficiare del suo placet risalivano agli anni 1998-99 quando nascono Unicredit (dall’unione di sette banche) e Intesa (dalla fusione di tre banche). Successivamente il governatore Fazio impedisce a San Paolo Imi l’acquisto di Banca di Roma (poi Capitalia) nel 1999, e blocca la fusione di Intesa e UniCredit nel 2001. Nel dicembre 2005 tocca agli stranieri: gli spagnoli di Bbva prima, e gli olandesi di Abn Amro poi, vedono ostacolarsi il tentativo di acquistare Banca Antonveneta. Banca d’Italia frena anche Bnp Paribas ma l’istituto francese acquisterà Banca Nazionale del Lavoro nell’era Draghi.

Il nuovo obbiettivo per Draghi è quello di superare l’«inerzia strategica » del settore bancario. L’auspicio va accompagnato da misure concrete. La Banca Centrale cede il controllo rego­lamentare all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) e mette fine al veto sulle fusioni bancarie, facendo retrocedere protezionismo e opacità.

I risultati di questa nuova politica si vedono dopo solo tre mesi. Ad agosto, arriva la fusione che segna l’inizio di un’intensa stagione di aggregazioni. I consigli di amministrazione di Intesa e San Paolo Imi concordano un’operazione da quasi 30 miliardi di euro da cui nasce la prima banca italiana con 65 miliardi di euro di capitalizzazione. Gli studi in prima linea sono Pedersoli e Chiomenti per Intesa, e Freshfields e Tosetto Weigmann per San Paolo.

La centralità degli attori bancari nei grandi deal nel periodo 2006-2007 è evidente: su 12 delle più importanti operazioni di M&a in Italia, dieci riguardano fusioni tra banche. Al contempo si trasformano anche le dinamiche del mercato legale italiano, organizzatosi in svariati gruppi di studi d’élite con squadre che agiscono all’unisono per guidare le rilevazioni bancarie più importanti (ma anche le grandi privatizzazioni come Alitalia e Telecom) che giungono sul mercato. Si tratta di un ristretto numero di studi – il quartetto Chiomenti, Pedersoli, Pavesi Gitti Verzoni e Lombardi Molinari – raggruppati in una struttura variabile per proporsi quasi come se fossero una singola squadra di consulenti.

A seguito della fusione Intesa San Paolo, nel 2007 si uniscono Unicredit e Capitalia, operazione da oltre 22 miliardi che vede impegnato Chiomenti con la controparte di Grimaldi. Chiomenti torna al tavolo delle negoziazioni per la fusione di Banca Popolare di Verona e Novara e Banca Popolare Italiana da 8 miliardi insieme a Pavesi Gitti Verzoni, il quale assiste anche Banca Lombarda Piemontese per la fusione da 6 miliardi con Bpu Banca, questa volta seguita da Pedersoli. Tocca invece a Lombardi Molinari guidare la fusione da 5,6 miliardi di Banca Popolare di Milano e Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Sempre nel 2007, Chiomenti e Pedersoli si uniscono per la dismissione da 3,8 miliardi delle sussidiarie regionali di Intesa a favore di Crédit Agricole (seguita da Bonelli Erede Pappalardo). Di nuovo Chiomenti, questa volta con la controparte di Lombardi Molinari, chiude l’acquisizione di Banca Intra a favore di Veneto Banca da oltre 2 miliardi.
Per gli studi che si aggiudicano le maxi fusioni bancarie, si prolunga la stagione d’oro iniziata con il nuovo millennio. La fusione Intesa San Paolo fa guadagnare ai consulenti compensi per circa 100 milioni di euro, mentre le parcelle emesse dai consulenti per la fusione di Banca Lombarda con il gruppo Bpu ammontano a 20 milioni di euro. Ma per il mondo della consulenza, la festa durerà ancora per poco. Già nel 2008 inizia un periodo difficile di trasformazione. In un primo momento gli studi penseranno a cambiamenti, dovuti senz’altro, ma piuttosto di natura congiunturale. Nel giro di qualche anno, ci si accorge che si tratta invece di adattamenti strutturali.

E in questa ottica, sebbene possa presto tornare il fenomeno aggregativo nel credito, grazie agli esami a cui le realtà italiane saranno sottoposte dalla Banca Centrale Europea in previsione della creazione dell’Unione bancaria, difficilmente le fusioni a venire saranno accompagnate da una nuova ondata di maxi parcelle. Quelle oramai appartengono ad un’altra epoca. 

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