La riforma della discordia

LEGGE FORNERO

Dopo l’approvazione della legge di riforma del mercato del lavoro del Governo Letta, l’ex Ministro Elsa Fornero parla in esclusiva a TopLegal, facendo un bilancio delle partite vinte e di quelle perse.

01-11-2013

LEGGE FORNERO

di Maria Buonsanto

L'Italia perde competitività e uno dei punti deboli rimane il lavoro. Dal 23 agosto è entrata in vigore la nuova legge sul mercato del lavoro messa a punto dal Governo Letta. A poco più di un anno di distanza, si è intervenuti su più punti della legge 92/12, la cosiddetta Riforma Fornero, una delle più bersagliate del Governo Monti.


Riduzione della pausa obbligatoria tra un con­tratto a termine e l’altro; possibilità di prorogare il contratto senza causale a tempo determinato; limite di 400 giornate di effettivo lavoro in tre anni per l’impiego a chiamata; obbligo di conva­lida delle dimissioni per collaboratori e associati in partecipazione. Sono questi i cardini del nuovo testo di legge, che ha l’obiettivo dichiarato di ar­ginare un tasso di disoccupazione che ormai ha raggiunto stabilmente il 12 per cento.

Per promuovere l’occupazione, in particolare quella giovanile, sono stati così introdotti incen­tivi e alcuni correttivi al quadro normativo defi­nito dal Governo Monti, senza però stravolgerlo nella sua impostazione generale. La Riforma For­nero ha, infatti, il merito di aver eliminato alcuni colli di bottiglia. Per la prima volta, come diffu­samente riconosciuto dai giuslavoristi, sono stati toccati i diritti delle generazioni correnti senza scaricare tutto sui giovani o sulle generazioni future. L’obiettivo è di creare un mercato più in­clusivo di contro all’attuale segmentazione, e più dinamico rispetto all’odierna stagnazione.

L’economista ed ex Ministro Elsa Fornero, la prima ad aver rotto la tradizione dei giuslavoristi al Ministero del Lavoro, ha incontrato TopLegal nel Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, di cui è Honorary Fellow, ricoprendo la carica di co­ordinatore scientifico del Centro di ricerca su previdenza e politiche sociali (CeRP), per fare un bilancio sulle partite perse e quelle vinte dal suo progetto di riforma. Con la consapevolezza che « nonostante gli obiettivi economici macro da raggiungere fossero chiari, la loro traduzione in norma ha lasciato margini di incertezza ».

La riforma, anche a causa dell’assenza di un budget destinato alle consulenze esterne, è stata messa a punto con la collaborazione e la consul­tazione (a titolo gratuito) di uno sparuto numero di giuslavoristi. Ad aver scritto il testo due insi­der del Ministero del Lavoro, il capo di gabinetto Francesco Tomasone e il viceministro Michel Martone, con la collaborazione del giuslavorista Riccardo Del Punta, unico esterno ad aver usu­fruito di un modesto rimborso spese. Sono stati consultati, inoltre, Tiziano Treu, Giuliano Cazzola e Maurizio Castro

Il testo che ne è risultato si fonda su quattro elementi portanti e uno che li pervade tutti: il valore del monitoraggio e della valutazione. I quattro elementi sono: la flessibilità in entrata; la flessibilità in uscita; le politiche attive; e gli ammortizzatori sociali (nei termini di occupabi­lità delle persone e non di garanzie a tutela dello stato di disoccupazione). « I due grandi obiettivi della riforma – chiosa Fornero – erano creare inclusività e dinamismo nel mercato del lavoro, riducendo i tempi di attesa per il primo ingresso in esso e quelli di transizione tra lo stato di di­soccupazione e una nuova occupazione ». Sono questi i due elementi cardine su cui si fonda an­che il modello tedesco. Per ottenerli, la riforma ha agito su due livelli: flessibilità e ammortiz­zatori sociali (Aspi – assicurazione sociale per l’impiego – e Mini-Aspi) in primis.

Gli aspetti di successo della norma si misura­no su tre fronti. Il primo è l’ampliamento degli ammortizzatori: secondo recenti studi condotti dall’Università statale di Milano nel post rifor­ma, grazie al Mini-Aspi, oltre 1,7 milioni di la­voratori in più dovrebbero accedere ai sussidi. Il secondo merito riguarda la parziale modifica all’art.18 nelle parti riguardanti le conciliazioni, i licenziamenti individuali per motivi economici e disciplinari e l’introduzione di un rito speciale per le cause di lavoro, con lo scopo di ridurre i tempi del processo e l’alea di incertezza dei datori di lavoro. Infine, il terzo campo di riuscita è l’in­centivo all’apprendistato per combattere l’abuso dei contratti flessibili. Interessante, per esempio, il tentativo della Lega Pro ( prima e seconda di­visione) e dell’Associazione calciatori (Aic) – con la consulenza di Victor Uckmar – di applicare il contratto di apprendistato, così come previsto dalla Riforma Fornero, ai calciatori.

Proprio la riduzione della flessibilità in entrata, però, rappresenta uno degli aspetti più contestati. Alcuni attori del mercato lavoristico sostengono che la riduzione delle assunzioni nei contratti parasubordinati non sia stata interamente com- pensata da altre forme di contratto, portando un travaso nelle partite Iva. Altra contestazione mossa da alcuni giuslavoristi è quella di aver irri­gidito troppo rispetto alla precedente legge Bia­gi la flessibilità in ingresso: con l’obiettivo (sulla carta giusto) di garantire una maggiore stabilità per i giovani, la riforma Fornero avrebbe posto nei fatti vincoli eccessivi alle imprese, con l’effet­to negativo di ridurre l’occupazione.

« Il lavoro precario non aiuta la produttività né dei lavoratori né delle imprese ed è, invece, sulla produttività che si fonda la crescita di un Pae­se », risponde Fornero alle critiche. E continua: « Il modello tedesco si fonda su cooperazione e apprendistato. Ed è quello che abbiamo tentato di fare con la riforma: impiegare i soldi statali non in incentivi alle imprese, ma per favorire il contratto di apprendistato, che antepone un in­teresse collettivo ( l’instaurarsi di una relazione di lavoro più cooperativa tra azienda e capitale umano) a quello dei singoli (cosa che si è persa di vista negli ultimi anni) ».

Ma è soprattutto sulla flessibilità in uscita che, anche a detta di Fornero, si poteva fare di più. La cassa integrazione in deroga, « per la qua­le la pressione dei sindacati è stata fortissima », e la mancata statuizione di una forma di reddito minimo, « a causa dei vincoli di bilancio », sono i due elementi che hanno reso pressoché invaria­ta la flessibilità in uscita, non riuscendo a disin­cagliare le problematiche lavoristiche connesse alle ristrutturazioni aziendali.

Stando a un sondaggio condotto da TopLegal tra i principali player del mercato giuslavori­stico, i pareri sono divisi al 50 per cento, tra i sostenitori e i detrattori del testo. Chiamata a dare un suo giudizio complessivo sulla “rifor­ma della discordia”, Fornero commenta: « Se si pensa che fatta la norma tutto cambi, ci si sba­glia. È assurdo pensare che le norme nascano buone in astratto. Le riforme sono organismi che vivono nella società, solo così hanno effet­to. Se sono respinte non possono produrre i ri­sultati attesi ».


La Riforma Fornero: l’opinione dei giuslavoristi


di Francesco Giubileo


Secondo i più noti giuslavoristi, la riforma del mercato del lavoro rimane un’ope­ra incompiuta. In particolare, il duplice obiettivo di accompagnare una maggiore flessi­bilità in uscita dal contratto a tempo indetermi­nato e contemporaneamente realizzare un mag­gior rigore dei contratti a tempo determinato o para-subordinati si è realizzato solo in parte.



Questo quadro lo fornisce un’indagine di Toplegal per la ricerca Labour (in uscita nel numero di dicembre), la quale ha raccolto le osservazioni dei giuslavoristi italiani invita­ti a esprimere una valutazione sulla riforma portata avanti dall’ex-ministro Elsa Fornero.

I nodi critici sul contratto standard o a tempo indeterminato riguardano soprattutto il licenziamento «discriminatorio ». Questo prevede ancora la possibilità del lavoratore di ottenere il massimo delle tutele, ovvero il ri­sarcimento e/o il reintegro. Il risultato è stato quello di un generale tentativo, da parte dei legali dei lavoratori, di affidarsi a un ricorso davanti al giudice per motivi discriminatori. Ricorsi che, nella quasi totalità dei casi, non sono stati accolti da parte dei giudici per l’in­sussistenza di una effettiva discriminazione.

Merito della riforma, al contrario, è stato quello di aver introdotto in Italia un timido di­battito sul tema della discriminazione, anche in chiave comparativa rispetto alle altre legi­slazioni europee, mentre in passato l’argomen­to ha sempre avuto un ruolo residuale rispetto a quello sull’applicazione dell’Articolo 18.

Sempre in materia di contenzioso, il tema più discusso è il cosiddetto « Rito Fornero », un procedimento che, oltre aver creato un quarto grado di giudizio, ha visto in alcuni tribunali la presenza dello stesso giudice in più gradi di giudizio. Tuttavia, in un quadro di valutazioni eterogenee, il nuovo rito sem­bra aver permesso una riduzione della durata dei processi, anche se il suo effetto è in rela­zione con la natura organizzativa e l’organico disponibile nei vari uffici giudiziari.

Inoltre, la riforma ha introdotto (in realtà, reintrodotto) una procedura di conciliazio­ne, presso la Direzione Territoriale del Lavo­ro, in materia di licenziamento per giustificato motivo che pare ottenere risultati positivi. An­che in questo caso, l’esito della conciliazione dipende dalle capacità della stessa commissio­ne e dal contesto territoriale.

Rispetto agli obiettivi della riforma, il ten­tativo di rendere più rigidi i contratti « atipici » sembra non aver prodotto i risultati sperati. In particolare, l’introduzione della causale nel primo contratto a tempo determinato e l’estensione dell’intervallo tra due contratti hanno favorito un elevato turnover della forza lavoro piuttosto che una sua stabilizzazione. Mentre le modifiche al contratto a progetto sembrano aver addirittura prodotto un blocco delle nuove assunzioni.

Sulla base di queste osservazioni, si sono sviluppate le modifiche del nuovo Dl lavo­ro ( noto come Decreto Giovannini), ma se da una parte tali modifiche serviranno a garantire un numero più alto di proroghe e contratti ai lavoratori atipici, dall’altra, non pochi giuslavoristi evidenziano come sia concreto il rischio di ampliare il dualismo, creando nel mercato del lavoro un vasto nu­mero di lavoratori di « serie B » .

Proprio per evitare una nuova margina­lizzazione nel mercato del lavoro, sta racco­gliendo un certo interesse la proposta di un contratto unico del lavoro a garanzie gradua­li, unico strumento in grado, da una parte di assicurare alle aziende condizioni certe nel caso di licenziamento, e dall’altra di assicu­rare al lavoratore di iniziare subito con un lavoro a tempo indeterminato.

Articolo pubblicato  in TopLegal novembre 2013 


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