di Maria Buonsanto
L'Italia perde competitività e uno dei punti deboli rimane il lavoro. Dal 23 agosto è entrata in vigore la nuova legge sul mercato del lavoro messa a punto dal Governo Letta. A poco più di un anno di distanza, si è intervenuti su più punti della legge 92/12, la cosiddetta Riforma Fornero, una delle più bersagliate del Governo Monti.
Riduzione della pausa obbligatoria tra un contratto a termine e l’altro; possibilità di prorogare il contratto senza causale a tempo determinato; limite di 400 giornate di effettivo lavoro in tre anni per l’impiego a chiamata; obbligo di convalida delle dimissioni per collaboratori e associati in partecipazione. Sono questi i cardini del nuovo testo di legge, che ha l’obiettivo dichiarato di arginare un tasso di disoccupazione che ormai ha raggiunto stabilmente il 12 per cento.
Per promuovere l’occupazione, in particolare quella giovanile, sono stati così introdotti incentivi e alcuni correttivi al quadro normativo definito dal Governo Monti, senza però stravolgerlo nella sua impostazione generale. La Riforma Fornero ha, infatti, il merito di aver eliminato alcuni colli di bottiglia. Per la prima volta, come diffusamente riconosciuto dai giuslavoristi, sono stati toccati i diritti delle generazioni correnti senza scaricare tutto sui giovani o sulle generazioni future. L’obiettivo è di creare un mercato più inclusivo di contro all’attuale segmentazione, e più dinamico rispetto all’odierna stagnazione.
L’economista ed ex Ministro Elsa Fornero, la prima ad aver rotto la tradizione dei giuslavoristi al Ministero del Lavoro, ha incontrato TopLegal nel Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, di cui è Honorary Fellow, ricoprendo la carica di coordinatore scientifico del Centro di ricerca su previdenza e politiche sociali (CeRP), per fare un bilancio sulle partite perse e quelle vinte dal suo progetto di riforma. Con la consapevolezza che « nonostante gli obiettivi economici macro da raggiungere fossero chiari, la loro traduzione in norma ha lasciato margini di incertezza ».
La riforma, anche a causa dell’assenza di un budget destinato alle consulenze esterne, è stata messa a punto con la collaborazione e la consultazione (a titolo gratuito) di uno sparuto numero di giuslavoristi. Ad aver scritto il testo due insider del Ministero del Lavoro, il capo di gabinetto Francesco Tomasone e il viceministro Michel Martone, con la collaborazione del giuslavorista Riccardo Del Punta, unico esterno ad aver usufruito di un modesto rimborso spese. Sono stati consultati, inoltre, Tiziano Treu, Giuliano Cazzola e Maurizio Castro.
Il testo che ne è risultato si fonda su quattro elementi portanti e uno che li pervade tutti: il valore del monitoraggio e della valutazione. I quattro elementi sono: la flessibilità in entrata; la flessibilità in uscita; le politiche attive; e gli ammortizzatori sociali (nei termini di occupabilità delle persone e non di garanzie a tutela dello stato di disoccupazione). « I due grandi obiettivi della riforma – chiosa Fornero – erano creare inclusività e dinamismo nel mercato del lavoro, riducendo i tempi di attesa per il primo ingresso in esso e quelli di transizione tra lo stato di disoccupazione e una nuova occupazione ». Sono questi i due elementi cardine su cui si fonda anche il modello tedesco. Per ottenerli, la riforma ha agito su due livelli: flessibilità e ammortizzatori sociali (Aspi – assicurazione sociale per l’impiego – e Mini-Aspi) in primis.
Gli aspetti di successo della norma si misurano su tre fronti. Il primo è l’ampliamento degli ammortizzatori: secondo recenti studi condotti dall’Università statale di Milano nel post riforma, grazie al Mini-Aspi, oltre 1,7 milioni di lavoratori in più dovrebbero accedere ai sussidi. Il secondo merito riguarda la parziale modifica all’art.18 nelle parti riguardanti le conciliazioni, i licenziamenti individuali per motivi economici e disciplinari e l’introduzione di un rito speciale per le cause di lavoro, con lo scopo di ridurre i tempi del processo e l’alea di incertezza dei datori di lavoro. Infine, il terzo campo di riuscita è l’incentivo all’apprendistato per combattere l’abuso dei contratti flessibili. Interessante, per esempio, il tentativo della Lega Pro ( prima e seconda divisione) e dell’Associazione calciatori (Aic) – con la consulenza di Victor Uckmar – di applicare il contratto di apprendistato, così come previsto dalla Riforma Fornero, ai calciatori.
Proprio la riduzione della flessibilità in entrata, però, rappresenta uno degli aspetti più contestati. Alcuni attori del mercato lavoristico sostengono che la riduzione delle assunzioni nei contratti parasubordinati non sia stata interamente com- pensata da altre forme di contratto, portando un travaso nelle partite Iva. Altra contestazione mossa da alcuni giuslavoristi è quella di aver irrigidito troppo rispetto alla precedente legge Biagi la flessibilità in ingresso: con l’obiettivo (sulla carta giusto) di garantire una maggiore stabilità per i giovani, la riforma Fornero avrebbe posto nei fatti vincoli eccessivi alle imprese, con l’effetto negativo di ridurre l’occupazione.
« Il lavoro precario non aiuta la produttività né dei lavoratori né delle imprese ed è, invece, sulla produttività che si fonda la crescita di un Paese », risponde Fornero alle critiche. E continua: « Il modello tedesco si fonda su cooperazione e apprendistato. Ed è quello che abbiamo tentato di fare con la riforma: impiegare i soldi statali non in incentivi alle imprese, ma per favorire il contratto di apprendistato, che antepone un interesse collettivo ( l’instaurarsi di una relazione di lavoro più cooperativa tra azienda e capitale umano) a quello dei singoli (cosa che si è persa di vista negli ultimi anni) ».
Ma è soprattutto sulla flessibilità in uscita che, anche a detta di Fornero, si poteva fare di più. La cassa integrazione in deroga, « per la quale la pressione dei sindacati è stata fortissima », e la mancata statuizione di una forma di reddito minimo, « a causa dei vincoli di bilancio », sono i due elementi che hanno reso pressoché invariata la flessibilità in uscita, non riuscendo a disincagliare le problematiche lavoristiche connesse alle ristrutturazioni aziendali.
Stando a un sondaggio condotto da TopLegal tra i principali player del mercato giuslavoristico, i pareri sono divisi al 50 per cento, tra i sostenitori e i detrattori del testo. Chiamata a dare un suo giudizio complessivo sulla “riforma della discordia”, Fornero commenta: « Se si pensa che fatta la norma tutto cambi, ci si sbaglia. È assurdo pensare che le norme nascano buone in astratto. Le riforme sono organismi che vivono nella società, solo così hanno effetto. Se sono respinte non possono produrre i risultati attesi ».
La Riforma Fornero: l’opinione dei giuslavoristi
di Francesco Giubileo
Secondo i più noti giuslavoristi, la riforma del mercato del lavoro rimane un’opera incompiuta. In particolare, il duplice obiettivo di accompagnare una maggiore flessibilità in uscita dal contratto a tempo indeterminato e contemporaneamente realizzare un maggior rigore dei contratti a tempo determinato o para-subordinati si è realizzato solo in parte.
Questo quadro lo fornisce un’indagine di Toplegal per la ricerca Labour (in uscita nel numero di dicembre), la quale ha raccolto le osservazioni dei giuslavoristi italiani invitati a esprimere una valutazione sulla riforma portata avanti dall’ex-ministro Elsa Fornero.
I nodi critici sul contratto standard o a tempo indeterminato riguardano soprattutto il licenziamento «discriminatorio ». Questo prevede ancora la possibilità del lavoratore di ottenere il massimo delle tutele, ovvero il risarcimento e/o il reintegro. Il risultato è stato quello di un generale tentativo, da parte dei legali dei lavoratori, di affidarsi a un ricorso davanti al giudice per motivi discriminatori. Ricorsi che, nella quasi totalità dei casi, non sono stati accolti da parte dei giudici per l’insussistenza di una effettiva discriminazione.
Merito della riforma, al contrario, è stato quello di aver introdotto in Italia un timido dibattito sul tema della discriminazione, anche in chiave comparativa rispetto alle altre legislazioni europee, mentre in passato l’argomento ha sempre avuto un ruolo residuale rispetto a quello sull’applicazione dell’Articolo 18.
Sempre in materia di contenzioso, il tema più discusso è il cosiddetto « Rito Fornero », un procedimento che, oltre aver creato un quarto grado di giudizio, ha visto in alcuni tribunali la presenza dello stesso giudice in più gradi di giudizio. Tuttavia, in un quadro di valutazioni eterogenee, il nuovo rito sembra aver permesso una riduzione della durata dei processi, anche se il suo effetto è in relazione con la natura organizzativa e l’organico disponibile nei vari uffici giudiziari.
Inoltre, la riforma ha introdotto (in realtà, reintrodotto) una procedura di conciliazione, presso la Direzione Territoriale del Lavoro, in materia di licenziamento per giustificato motivo che pare ottenere risultati positivi. Anche in questo caso, l’esito della conciliazione dipende dalle capacità della stessa commissione e dal contesto territoriale.
Rispetto agli obiettivi della riforma, il tentativo di rendere più rigidi i contratti « atipici » sembra non aver prodotto i risultati sperati. In particolare, l’introduzione della causale nel primo contratto a tempo determinato e l’estensione dell’intervallo tra due contratti hanno favorito un elevato turnover della forza lavoro piuttosto che una sua stabilizzazione. Mentre le modifiche al contratto a progetto sembrano aver addirittura prodotto un blocco delle nuove assunzioni.
Sulla base di queste osservazioni, si sono sviluppate le modifiche del nuovo Dl lavoro ( noto come Decreto Giovannini), ma se da una parte tali modifiche serviranno a garantire un numero più alto di proroghe e contratti ai lavoratori atipici, dall’altra, non pochi giuslavoristi evidenziano come sia concreto il rischio di ampliare il dualismo, creando nel mercato del lavoro un vasto numero di lavoratori di « serie B » .
Proprio per evitare una nuova marginalizzazione nel mercato del lavoro, sta raccogliendo un certo interesse la proposta di un contratto unico del lavoro a garanzie graduali, unico strumento in grado, da una parte di assicurare alle aziende condizioni certe nel caso di licenziamento, e dall’altra di assicurare al lavoratore di iniziare subito con un lavoro a tempo indeterminato.
Articolo pubblicato in TopLegal novembre 2013
La riforma della discordia