Succedeva: maggio 2012

LEHMAN REDUX

Dewey & LeBoeuf, il disastro annunciato del più grande fallimento di uno studio legale nella storia

08-05-2014

LEHMAN REDUX

Forse qualche dubbio sulla sostenibilità del proprio studio è sorto per i dirigenti di Dewey & LeBoeuf quando nel 2008 falliva Lehman Brothers. La banca d’investimento, dopo avere perso una scommessa gigantesca sul mercato immobiliare, crolla per un vuoto di fiducia di Wall Street. Le immagini degli impiegati con le scatole di cartone in mano sono emblematiche della fine di un’epoca.

Ma a fallire non sono solo i titani della finanza. Solo quattro anni dopo il crac Lehman, e grazie ad una gestione che sperava in una struttura finanziaria, governance e politica di remunerazione che andavano tutte nella direzione sbagliata, la dirigenza di Dewey & LeBoeuf crea il più grande fallimento di uno studio legale nella storia. E tornano in strada i dipendenti con le scatole in mano.

Figlia di una fusione nel 2007 tra Dewey Ballantine (fondato nel 1909) e LeBoeuf Lamb Greene & MacRae (le cui origini risalgono al 1929), al suo apice la mitica law firm contava 3.000 persone di cui 1.400 avvocati in 26 uffici sparsi in 15 paesi. Dopo cinque anni di vita, il 28 maggio del 2012 Dewey & LeBoeuf chiede la bancarotta assistita. La causa immediata del collasso è la decisione delle banche creditrici, Jp Morgan, Citi, Bank of America e Hsbc, di non estendere le linee di credito.

I beni dello studio ammontano a 193 milioni di dollari a fronte di debiti per 245 milioni. Ma la stretta creditizia è solo l’ultima delle sciagure. Tra i più grandi mali autoinflitti, i debiti ammassati per sostenere la caccia ai rainmaker a suon di garanzie sontuose pluriennali in forma di pacchetti retributivi fuori misura – fino a cinque milioni di dollari all’anno – che prescindono dalle prestazioni nonchè dal ridimensionamento del mercato e del calo del fatturato dello studio.
Di lunga gestione, la crisi Dewey esplode pubblicamente il 27 gennaio 2012 durante una riunione dei soci convocata al 22° piano della sede di New York. Sebbene la maggior parte di essi sanno già che lo studio affronta un momento difficile, pochi sono preparati per il discorso che terrà loro il presidente Steven Davis. Con una presentazione PowerPoint alla mano, Davis dipinge un quadro cupo degli affari: dei circa 250 milioni di dollari di ricavo netto per il 2011, la metà è vincolata per le pensioni e i compensi prestabiliti ad alcuni soci per i due anni precedenti. Rimane solo una metà della torta da distribuire fra i membri della platea delusa. Peggio ancora. Lo studio è ormai sull’orlo del baratro. «Dovete farvi vostro questo problema», esorta Davis.

Una tale trasparenza è insolita per uno studio che, a furia di accumulare prestiti per pagare se stesso, già nel 2009 si scopriva insolvente. Nel 2010, Dewey chiude un collocamento privato sul mercato obbligazionario da 125 milioni di dollari per rifinanziare il suo debito, ma senza che nelle 58 pagine del prospetto vengano riportati i rischi agli investitori, tra cui le garanzie offerte ai soci top. Con le sue rivelazioni Davis scoperchia il vaso di Pandora. Invece di farsi carico del problema, i soci di Davis preferiscono salvarsi ciascuno per conto proprio.

Lo svuotamento della partnership irrefrenabile e le uscite assomigliano a una fuga bancaria che crea uno schema Ponzi per chi rimane. Si tenta il rinegoziamento di alcune garanzie ma non basta. Il vuoto di fiducia giunge al suo culmine quattro mesi dopo quando arriva ad oltre 200 (due terzi dello studio) il numero di soci che hanno alzato i tacchi portandosi via i clienti.
Nel frattempo si consuma un dramma anche in Italia.

Verso metà aprile 2012 arriva lo spartiacque quando la practice italiana scarica la casa madre. Sull’uscita dalla Llp internazionale, già il 4 aprile la stampa riportava l’indiscrezione che la sede italiana stia valutando un rottura (si sono già mossi gli headhunter per contattare i grandi studi e, oltre a Dla Piper ed Ernst & Young, spunta anche il nome di White & Case). Tuttavia, il futuro dello studio americano è segnato quando, pochi giorni dopo, da New York si comunica ai soci rimasti che non ci sono obblighi di rimanere legati all’insegna nell’attuale stato di precarietà.

Ad inizio maggio, suona il liberi tutti in casa Dewey & LeBoeuf e tramonta definitivamente l’ipotesi di un salvataggio. Nel frattempo, la Procura di Manhattan apre un’indagine sull’operato del presidente Davis ma almeno sul fronte italiano vi è un lieto fine. Il 14 maggio trapela la trasformazione di Dewey Italia in Grimaldi. Bruno Gattai, managing partner della sede italiana del network americano, con un colpo solo salva la sua squadra nonchè quello che rimane di un Grimaldi in profonda crisi. La nascita del Grimaldi bis, guidato da Gattai (che uscirà per fondare il proprio studio a fine anno) e il responsabile della sede romana Stefano Speroni, viene ufficializzata il 23 maggio.
Ad approfittare del disfacimento di Dewey ci sono anche le decine di concorrenti in cui sono confluiti i soci in uscita.

Fughe che forniscono il motivo per azioni legali contro Baker & McKenzie, Eversheds, Latham & Watkins, Mayer Brown e White & Case, i quali si sarebbero avvalsi del trasferimento di mandati Dewey ancora attivi. Ma ad avvantaggiarsene principalmente sono i consulenti chiamati a gestire il fallimento. Le parcelle pagate ai consulenti della law firm americana per i primi cinque mesi di lavoro superano 14 milioni di dollari.

A distanza di due anni dal fallimento, i nuovi tasselli del crac continuano ad emergere. Contro una ventina di soci che avevano deciso di non aderire all’accordo fallimentare da 71 milioni di dollari nel 2012, pesano ancora azioni revocatorie. Infine, a marzo di questo anno, si è accertata la colpevolezza di alcuni dirigenti per avere manipolato i dati finanziari dello studio negli anni precedenti alla sua scomparsa.

Infine, e a differenza di Lehman, il fallimento di Dewey non ha causato un panico generalizzato del mercato ne ha provocato nuove iniziative politiche e di regolamentazione senza precedenti. Ma il caso ha messo a nudo tutta la fragilità di uno studio legale il cui unico collante è stato il denaro.

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