A distanza di un anno dalla sua costituzione, Gattai Minoli «ha superato ogni più rosea aspettativa di crescita» secondo il fondatore Bruno Gattai. Contrariamente a quanto accade comunemente, lo studio nato nel dicembre del 2012 non è mai stato percepito dal mercato come una start-up, assumendo immediatamente i profili di una realtà consolidata, ad alto gradiente reputazionale. A giocare la parte del leone in questo successo, un’impostazione di stampo tradizionale che ha legato a doppio filo le sorti dello studio al rainmaker e name partner Bruno Gattai. Un professionista che ha traghettato fuori dalla tempesta del crac americano di Dewey & LeBoeuf i suoi soci confluiti in Grimaldi. Una fusione dalla quale Gattai si è staccato pochi mesi dopo assieme a Luca Minoli e a un gruppo di fedelissimi.
A dispetto di una partenza incerta, che dopo appena un mese aveva già registrato l’uscita di un socio, Valerio Fontanesi, passato in Shearman & Sterling, la start-up è riuscita a seguire nel corso degli ultimi 12 mesi alcune delle operazioni più rilevanti del mercato. Tra queste, la cessione di Cerved da Bain Capital a CvC, l’ingresso di Luxottica in Salmoiraghi & Viganò, la ristrutturazione di Fingiochi, Citylife, Italtel e Ivri, i bond high yeld di Cerved e Teamsystem. Un numero eccezionale di deal che ha consentito l’ingresso nella classifica delle operazioni di m&a annunciate nel corso del 2013 stilata da Thomson Reuters. A dare un contributo considerevole al buon piazzamento, l’assistenza a Bain nell’uscita da Cerved, un’operazione da oltre 1 miliardo di euro seguita proprio durante i primi mesi di vita dell’insegna. «Una fortunata coincidenza - afferma Gattai - che ci ha consentito di entrare a gamba tesa nello stesso mercato in cui eravamo soliti muoverci ». Lo studio di 40 professionisti specializzato in corporate, finance e litigation ha puntato su una dimensione agile, che «consente un approccio al lavoro basato sulla qualità pagata a prezzi giusti, grazie a una struttura di costi che ci rende molto più flessibili rispetto ai grandi studi », spiega Gattai. Il fondatore, dopo l’esperienza pluriennale a testa di Dewey, che in Italia contava 120 avvocati e muoveva un giro d’affari di oltre 30 milioni di euro, ammette di non immaginare una realtà che superi i 50 professionisti. Dell’esperienza Dewey, invece, si porta salda l’attenzione al mercato internazionale. Gattai Minoli ha, infatti, avviato una serie di collaborazioni con diversi studi non presenti in Italia, anche se è esclusa ogni ipotesi di partnership esclusiva o di affiliazione a network, «poco in linea con le attuali esigenze di mercato».
Non tutti gli ingredienti del successo di Gattai Minoli, però, sembrano collimare con le nuove direttrici lungo cui si sta snodando la ristrutturazione di tante altre insegne del mercato italiano. In particolare, lo studio potrebbe essere chiamato a pagare lo scotto di una scarsa trasversalità interna ai practice group e del peso innegabile del suo rainmaker. Intanto, la sfida imminente è replicare il successo del primo anno.
Articolo pubblicato in TopLegal febbraio 2014
Gattai Minoli