Dopo la pronuncia della Corte di Giustizia europea di ieri sulla normativa italiana sui giochi, TopLegal ha chiesto a Claudia Ricchetti (in foto) direttore Legal and European regulatory affairs di Lottomatica un parere sulla decisione. La valutazione sul provvedimento è parecchio distante, per non dire opposta, da quella fornita dai legali del bookmaker Stanley, direttamente coinvolto nella vicenda (vedi articolo). Di seguito, il commento di Richetti.
«La sentenza della Corte di Giustizia sul caso Cifone Costa non boccia affatto la legislazione italiana in materia di giochi. Non viene messo in alcuno modo in discussione il sistema italiano basato sul doppio binario: concessione e licenza di pubblica sicurezza. Si esclude ogni mutuo riconoscimento: il fatto che un operatore sia in possesso di una licenza rilasciata da un altro stato membro non è condizione sufficiente per poter operare in un altro stato membro (punti 10, 11 e 12 della sentenza).
La Corte stigmatizza, poi, una volta per tutte che "Stanley opera in Italia esclusivamente attraverso punti fisici di vendita al dettaglio" e che "è pacifico, tenuto conto del modus operandi della Stanley, spetta in via di principio a quest’ultima l’obbligo di ottenere una concessione per l’esercizio delle attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare la loro attività" (punto 12 della sentenza).
Quanto poi ai singoli quesiti che sono stati posti alla Corte di Giustizia, non vi è nessuna condanna ma una verifica che viene rimandata al giudice nazionale.
Con riferimento alla legittimità alla cd misura di protezione concessa ai cd vecchi concessionari ( si tratta di un numero davvero esiguo 800 punti di raccolta di scommesse contro i 14.000 nuovi punti di raccolta introdotti con la legge Bersani), è vero che la Corte statuisce che "l’obbligo per i nuovi concessionari di insediarsi ad una distanza minima da quelli esistenti ha come effetto di proteggere le posizioni commerciali acquisite dagli operatori già insediati a discapito dei nuovi concessionari", ma precisa anche "che spetterebbe al giudice nazionale verificare che il reale obiettivo di tali norme sia quello di proteggere le posizioni commerciali degli operatori esistenti, anziché quello invocato dal governo italiano, di incanalare la domanda di giochi di azzardo entro circuiti controllati". La Corte precisa, inoltre, che spetta sempre al giudice nazionale verificare che "l’obbligo di rispettare distanze minime, il quale impedisce l’insediamento di punti vendita supplementari in zone fortemente frequentate dal pubblico, sia veramente idoneo a realizzare l’obiettivo invocato e avrà effettivamente come conseguenza che i nuovi operatori sceglieranno di stabilirsi in posti poco frequentati, assicurando così una copertura a livello nazionale".
Riteniamo che questa valutazione potrà essere agevolmente fatta dal giudice nazionale in considerazione del fatto che: a) circa 14000 nuovi punti vendita sono stati richiesti ed assegnati a moltissimi nuovi operatori anche stranieri, che hanno deciso di insediarsi nel mercato italiano; b) che la distribuzione territoriale è stata equa ed equilibrata; c) che la raccolta complessiva delle scommesse è aumentata e ciò anche a prescindere dal fatto che, in un secondo momento, le misure relative alle sottodistanze sono state eliminate.
La Corte ricorda poi che "i giochi d’azzardo comportano rischi particolarmente elevati di reati e di frodi, tenuto conto della rilevanza delle somme che essi consentono di raccogliere e delle vincite che possono offrire ai giocatori", pertanto, la decadenza della concessione prevista per i delitti di mafia "sembra soddisfare le esigenze di lotta alla criminalità".
Il rilievo della Corte è limitato alla causa di decadenza, prevista dalla concessione, “a ogni altra ipotesi si reato suscettibile di fare venire meno il rapporto fiduciario con AAMS”, precisando, anche in questo caso, che "spetta al giudice di rinvio esaminare se un offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente sarebbe stato in grado di comprendere l’esatta portata della norma di riferimento".
Riteniamo che anche in questo caso il giudice nazionale sarà in grado agevolmente di rispondere positivamente alla domanda precisando che la decadenza della concessione non è automatica ma comporta un contraddittorio e che ogni provvedimento assunto dall’Amministrazione è suscettibile di essere impugnato davanti al giudice per la verifica della conformità.
In conclusione: nessuna parola fine e nessuna illegittimità, ma la necessità di una verifica da parte del giudice nazionale che, siamo certi, non potrà, anche in considerazione dell’attenzione sul settore e della necessità di accurati controlli, che confermare la bontà del sistema italiano».