LOTTOMATICA, LE RAGIONI DELL'APPELLO ALLA SENTENZA DI CORTE DEI CONTI

Claudia Ricchetti, Senior Vice President Legal and European Regulatory Affairs di Lottomatica, commenta il ricorso

22-02-2012

LOTTOMATICA, LE RAGIONI DELL'APPELLO ALLA SENTENZA DI CORTE DEI CONTI

Dopo la pubblicazione della sentenza emessa da Corte dei Conti, relativa all'inchiesta sui videopoker, che ha condannato per 2,5 miliardi complessivi dieci concessionari (Lottomatica, Snai, Sisal, Cirsa, Codere, Cogetech, Gmatica, Gamenet, Bplus, Hbg). TopLegal.it ha raggiunto Claudia Ricchetti (in foto),Senior Vice President Legal and European Regulatory Affairs di Lottomatica, per spiegarci la vicenda e commentare la sentenza.

Per Lottomatica, come dice Ricchetti, «La sentenza ci ha lasciato perplessi, faremo appello, come pure faranno appello  tutti i concessionari. L’appello sospende ex lege l’esecutorietà della sentenza».

Ma quando è iniziata la vicenda?
La sentenza della Corte dei Conti arriva alla fine di un contenzioso avviato dal Procuratore Regionale del Lazio nel 2007 che aveva suscitato grande clamore per l’esorbitante richiesta: 98 miliardi di euro complessivi nei confronti di tutti i concessionari  per la gestione delle slot machines (cd New Slot). Si è parlato di un clamoroso caso di evasione fiscale ed invece si è sempre e solo trattato di danni legati ad asseriti inadempimenti contrattuali.
Per spiegare meglio l'accaduto è necessario sapere che nel 2004, lo Stato ha deciso di avviare un’importante e coraggiosa operazione di emersione del gioco illegale: quello dei cd videopoker. Viene quindi, avviata una gara per individuare i soggetti cui affidare il compito di collegare in rete le slot machines.

Quali erano le motivazioni che hanno condotto a queste decisioni da parte dello Stato?
Le finalità che lo Stato voleva perseguire e che ha perseguito, erano: di consentire l’installazione ed il funzionamento, solo ed esclusivamente di apparecchi che avessero determinate caratteristiche e che garantissero un ritorno minimo di vincite ai giocatori (75%), di far emergere una grossa fetta di gioco illegale riconducendolo sotto il controllo dello stato attraverso soggetti selezionati ed in possesso di determinati requisiti e di aumentare le entrate erariali attraverso la tassazione degli importi giocati, in modo legale, che sino a quel momento erano sottratti da ogni tassazione.
Il risultato è stato straordinario, come è dimostrato dai dati pubblicati annualmente dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

Quindi cosa dovevano fare, in concreto, i concessionari?

Ai concessionari è stato affidato il difficile compito di controllare e remunerare i proprietari degli apparecchi e i titolari degli esercizi commerciali nei quali gli apparecchi erano installati, recuperare gli importi giocati al netto delle vincite erogate, controllare la regolarità del gioco e riversare all’erario le imposte sul gioco, di cui sono direttamente responsabili (sono soggetti passivi di imposta), che si aggirano intorno al 13% medio della raccolta. Solo un dato che fa grazia di tutto: la raccolta nel 2005 è stata di circa 11,5 miliardi, di cui 8,6 miliardi restituiti in vincite e 1,5 miliardi andati all’erario, nel 2011 la raccolta è stata di circa 45 miliardi di cui 3,2 miliardi all’erario e  35,7 miliardi  restituiti in  vincite.
Un’operazione come questa che non ha altri precedenti al mondo, pur essendo stata caratterizzata da alcune difficoltà operative nella fase di avvio, non ha creato alcun disservizio o danno all’erario che, al contrario, ha visto aumentare in modo esponenziale le proprie entrate e può dire di avere realizzato il controllo di questa parte di gioco.

Cosa è successo, quindi?

Nel secondo trimestre del 2007 e quindi a 2 anni dall’avvio, il Procuratore Regionale della Corte dei Conti, sez. Lazio, ha contestato a tutti i concessionari  in solido con alcuni dirigenti dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato la mancata applicazione delle penali previste dalla concessione per il ritardo nell’avvio a regime del sistema ed il mancato rispetto di livelli di servizio e il mancato pagamento delle penali.
I concessionari presentano un ricorso alla Corte di Cassazione per regolamento giurisdizione ex art 111 della Costituzione, contestando la competenza della Corte dei Conti in una materia che invece riguarda esclusivamente il rapporto tra Stato e Concessionario in merito all’eventuale applicazione di penali. A fine  2009, la Corte di Cassazione conferma la competenza della Corte dei Conti e stabilisce che il bene tutelato non è il mancato pagamento delle penali ma il danno erariale arrecato per il mancato funzionamento del sistema e quindi affermando il principio della coesistenza del danno erariale con le penali previste dalla concessione. Il giudizio davanti alla Corte dei Conti viene riassunto dal Procuratore Regionale. La Corte dispone una consulenza tecnica che viene affidata a Digit PA per verificare l’effettiva esistenza di ritardi e malfunzionamenti nella fase di avvio del sistema e la relativa imputabilità degli stessi. Il 24 novembre scorso, l’ultima udienza e poi la causa è stata trattenuta in decisione.


E la decisione dello scorso 17 febbraio?
La Corte ha accolto parzialmente le domande della Procura Regionale ritenendo sussistente un “consistente danno a carico dell’erario a causa del mancato svolgimento del servizio pubblico di controllo sul gioco d’azzardo con vincite in denaro mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del T.U.L.P.S”, prova ne sarebbe l’utilizzo della tassazione forfettaria, introdotta, secondo la Corte,   proprio per l’impossibilità di dimostrare il volume effettivo delle somme giocate. Ne discenderebbe il “danno da disservizio” quale fattispecie che ricorre “qualora dall’illecito amministrativo-contabile scaturisca una diminuzione di efficienza dell’apparato burocratico, per la mancata o ridotta prestazione del servizio o per la scarsa qualità dello stesso”.
Quindi, soprendentemente,  secondo la Corte il danno ci sarebbe stato solo perché non tutti gli apparecchi sarebbero stati  collegati nella fase di avvio e ciò nonostante la raccolta sia aumentata e la tassazione pagata, per tali apparecchi, in forma forfettaria ma poi riconciliata con la lettura dei contatori di gioco.

 
Invece sulla cifra record da corrispondere?

La Corte quantifica il danno adottando il criterio del compenso percepito dai concessionari per l’attività. Stabilisce, quindi, che il danno è pari all’80% del compenso percepito nel periodo novembre 2004 – gennaio 2007 con delle modifiche in via equitativa, applicando l’art. 1226 del codice civile. In buona sostanza la Corte dice: non avendo reso il servizio, il concessionario non ha diritto al corrispettivo e ciò, sempre e nonostante, l’emersione della raccolta ed l’incremento delle imposte.

Questo il risultato per concessionario:

-       Per BPLUS da circa 680 mln a 845 mln;

-       Per SISAL da 218 mln circa a 245 mln;

-       Per CIRSA da 121 mln circa a 120 mln;

-       Per Lottomatica Videolot Rete 100 mln;

-       Per Gmatica 150 mln;

-       Per Codere 115 mln;

-       Per HBG 200 mln;

-       Per Cogetech 255 mln;

-       Per Gamenet 235 mln;

-       Per SNAI 210 mln.

 

Qual è, dunque, la posizione di Lottomatica sulla sentenza?
Sulla base dei fatti, ci sembra che questi dimostrino abbastanza chiaramente che la sentenza sia basata su valutazioni errate e contraddittorie, non provi in alcun modo il danno che, proprio, perché non provato né dimostrabile, viene quantificato in modo bizzarro.  Basti dire che il compenso dei concessionari che è stato preso a riferimento dalla Corte non è il compenso ma l’importo residuo detratte le vincite e le imposte che viene suddiviso tra tutti i soggetti coinvolti (concessionari, proprietari e manutentori degli apparecchi e esercizi commerciali).



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