Il 2014, iniziato con la promulgazione del decreto legge 4 del 2014 che introduceva la legge sul rientro dei capitali, nota anche come legge sulla voluntary disclosure, si è concluso, dopo mesi di discussioni, proprio all’insegna della regolarizzazione volontaria dei capitali. Lo scorso 4 dicembre, infatti, L’Aula di palazzo Madama ha approvato, con 119 sì, una misura che propone a chi ha nascosto attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato, ma anche in Italia (in questo caso si parla di voluntary domestica), di autodenunciarsi in cambio di sconti su sanzioni e pene. Un procedimento di “pacificazione fiscale” tra il contribuente e l’amministrazione, su iniziativa del contribuente stesso, nato negli Stati Uniti negli anni Novanta, e tornato d’attualità nei programmi di emersione per i depositi esteri promossi da vari Paesi europei negli ultimi anni.
I chiaroscuri della nuova normativa sono stati oggetto di dibattito in occasione della tavola rotonda “ Voluntary Disclosure: luci ed ombre della nuova normativa (monitoraggio fiscale, effetti premiali e rischi penali)”, organizzata lo scorso 12 dicembre da TopLegal in collaborazione con l’insegna penale Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi e con lo studio legale e tributario Biscozzi Nobili. All’incontro, moderato dal vice Direttore generale dell’Unione Fiduciaria, Fabrizio Vedana, sono intervenuti in qualità di relatori i partner di Biscozzi Nobili, Eugenio Briguglio e Marco Abramo Lanza; e Massimo Dinoia e Armando Simbari, soci di Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi.
Come emerso nel corso dell’incontro, il messaggio di fondo che questa nuova prospettiva di collaborazione tra cittadino e amministrazione finisce per trasmettere è quello della lungimiranza: poiché in futuro la tendenza andrà sempre più verso una maggiore collaborazione tra i Paesi, meglio attrezzarsi ora che non si è passibili di pena completa. Quella del legislatore è una scommessa culturale: viene messa in dubbio l’idea stessa che, in un mondo sempre più globale, possano ancora esistere territori sicuri dove occultare ricchezze sottratte a tassazione in Italia.
Scegliere oggi di mantenere le attività illegalmente in questi luoghi porterebbe, invece, con sé incognite enormi, dal rischio– paese all’impossibilità pratica di recuperare le somme estere. Inoltre, le misure adottate dall’Ocse e dai maggiori Paesi per la trasparenza fiscale stanno già iniziando a produrre alcuni frutti. Basti pensare che tra i firmatari di alcune intese internazionali, volte a trasmettere tutte le informazioni su conti correnti e movimentazioni finanziarie, figurano Paesi come il Lussemburgo, San Marino, il Lichtenstein, le isole Cayman, Hong Kong, Singapore, Monaco e la Svizzera. Tutti Paesi un tempo considerati porto franco per eludere i controlli del Fisco.
Per quanto la voluntary disclosure rappresenti la nuova e, presumibilmente, ultima opportunità per regolarizzare la propria posizione, il limite della risposta dei contribuenti alla normativa sarà dato dall’ammontare di quanto si deve pagare, poiché per beneficiare degli sconti penali previsti dalla legge la disclosure deve essere completa. D’altro canto, però, non approfittarne esporrebbe il contribuente a un duplice rischio: perdere la disponibilità concreta dei propri mezzi finanziari ed esporsi ai sempre maggiori rischi di essere accertati e sanzionati (anche penalmente) in modo ancor più aspro. A penalisti e tributaristi, che nel 90% dei casi saranno chiamati a lavorare in tandem, spetterà il compito certosino di ricostruire il quadro della situazione pendente. Là dove, secondo gli esperti del settore, ogni operazione rappresenterà necessariamente un quadro a sé stante, impossibile da replicare in ciclostile.
Ampliamento della non punibilità
Mentre il d.l. 4 del 2014 stabiliva soltanto una riduzione di pena per la dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti e per dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, il testo definitivo ha esteso la non punibilità anche all’omesso versamento di ritenute certificate e all’omesso versamento di Iva. Rendendo la collaborazione volontaria più “appetibile” sotto il profilo dei riflessi penalistici. Il nuovo testo estende, inoltre, la non punibilità anche nei confronti di tutti coloro che hanno concorso a commettere i reati “coperti”. Sono, quindi, tutelati anche coloro che hanno lavorato al fianco del contribuente in operazioni da cui sono derivati capitali sottratti a tassazione. Si parla, quindi, anche di commercialisti e fiscalisti che, con il vecchio testo, rischiavano di essere coinvolti in un processo penale nel caso in cui il contribuente, coperto da non punibilità, avesse eseguito una voluntary disclosure. Il nuovo testo non prevede, invece, l’estensione della non punibilità al reato tributario di emissione di fatture per operazioni inesistenti. E questo potrebbe implicare il rischio che rimangano scoperte tutte quelle operazioni inquadrare in questa fattispecie conosciute come “ frodi carosello”, attuate mediante vari passaggi di beni in genere provenienti ufficialmente da un Paese dell’Unione europea, al termine dei quali l’impresa italiana acquirente detrae l’Iva nonostante il venditore compiacente non l’abbia versata.
Una nuova fattispecie: l’autoriciclaggio
La voluntary disclosure ha portato con sé una novità di non poco conto: l’introduzione del delitto di autoriciclaggio. Così come era stato auspicato in più occasioni anche dal Procuratore Aggiunto di Milano, Francesco Greco. Quella che può definirsi “ la linea Greco” verteva sull’introduzione di un sistema di incentivazione al rientro dei capitali fondato sul metodo del bastone e della carota, là dove la carota, vale a dire meccanismi premianti, dovevano essere previsti per chi decideva di denunciare spontaneamente le proprie disponibilità estere; mentre il bastone, l’inasprimento delle pene, doveva colpire gli inadempienti, con l’introduzione della fattispecie dell’autoriciclaggio. In realtà, come sottolineato da Armando Simbari, l’introduzione del nuovo reato con questa formulazione va ben oltre “ la linea Greco”, poichè i suoi effetti sono generalizzati e non si limitano soltanto a chi non voglia aderire alla voluntary disclosure.
Una delle ombre della nuova normativa, per dirla con le parole del senatore Salvatore Sciascia (seduta n. 365 del 4 dicembre), è che l’introduzione dell’autoriciclaggio «è un bastone troppo rilevante rispetto alla carota proposta ». Infatti, così come formulata attualmente, la nuova fattispecie va a colpire i proventi di qualsiasi delitto non colposo. Anche quelli che con la voluntary disclosure non c’entrano proprio nulla. Un’altra perplessità suscitata dal testo è che l’estensione soggettiva del riciclaggio, con la possibilità di perseguire penalmente lo stesso soggetto che ha commesso il fatto presunto, pone problemi sotto il profilo probatorio. Basti pensare a tutti i casi in cui il provento del delitto non consiste in un illecito arricchimento, ma in un illecito risparmio: l’esempio più lampante è quello dei reati tributari, che non sempre comportano il trasferimento di somme illecite, ma spesso soltanto un risparmio d’imposta.
Il nodo da sciogliere
Restando in tema di riciclaggio, per i professionisti c’è un aspetto estremamente delicato su cui ancora non è stata fatta luce: il rapporto tra voluntary disclosure e obbligo di segnalazione delle posizioni sospette di riciclaggio. Bisogna, infatti, capire se avvocati e commercialisti saranno esonerati dall’obbligo. E la cosa non è pacifica poiché nel testo di legge non è scritto nulla. L’art. 41 della 231 obbliga tutti gli intermediari finanziari ad inviare all’Unità di informazione finanziaria ( Uif) una segnalazione di operazione sospetta di riciclaggio, là dove la nozione di riciclaggio è più ampia di quella prettamente penalistica e si avvicina a quella di autoriciclaggio introdotta dalla legge sulla voluntary disclosure.
La stessa 231 esonera, invece, da quest’obbligo i professionisti (commercialisti, avvocati, notai). Fatta questa premessa, il punto cruciale è se, nel caso in cui il professionista che assiste il cliente interessato da voluntary disclosure venga a conoscenza di un fatto sospetto, abbia o meno l’obbligo di segnalare la cosa. Ma la nuova legge, a differenza della 231, non spende alcuna parola sull’argomento. Il problema è chiaro: in caso di obbligo, il professionista dovrebbe venir meno alla confidenzialità che lo lega al cliente. E non solo: l’obbligo graverebbe non soltanto nel caso in cui il contribuente decida di aderire alla disclosure, ma anche in quello di mancata adesione. Ed è questo il caso più critico poiché il professionista si troverebbe, di fatto, a denunciare il proprio cliente che, non avendo aderito alla disclosure, non godrebbe dei benefici da essa previsti. E quindi sarebbe pienamente perseguibile penalmente. In attesa di ricevere maggiori delucidazioni in merito, i professionisti sono concordi nel ritenere necessaria l’estensione anche alla procedura di voluntary disclosure dell’esenzione prevista per loro dalla 231.
Rimpatrio o regolarizzazione?
Come previsto dall’articolo 5- quinquies, comma 4, del testo, le attività oggetto di voluntary disclosure potranno essere trasferite in Italia, in Stato membro dell’Unione Europea o in altro Stato purché aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, oppure rimanere nello stesso Stato in cui si trovano. Come evidenziato da Fabrizio Vedana, al contribuente che decide di collaborare si aprono, pertanto, quattro possibili alternative: trasferire fisicamente in Italia le attività oggetto di voluntary disclosure; trasferire le attività in altro Stato dell’Unione Europea o dello spazio economico europeo; lasciare le attività nello Stato estero in cui si trovano e detenerle in via diretta; e, infine, lasciare le attività nello Stato estero ma intestandole ad una fiduciaria italiana che fungerà da sostituto d’imposta.
La scelta di una di queste opzioni dipenderà da vari fattori tra i quali, oltre alla intrinseca natura del bene ( per un immobile non tutte le opzioni sono realizzabili), ci sono la maggiore o minore fiducia nel gestore/sistema finanziario italiano od estero e la maggiore o minore comodità di prelievo ed immediata spendibilità del denaro depositato in Italia o all’estero. In ragione della scelta che il contribuente effettuerà, saranno diversi anche i soggetti che interverranno nell’ambito dell’operazione di voluntary disclosure.
Se le attività finanziarie verranno trasferite fisicamente in Italia un ruolo centrale verrà assunto dalla banca o dall’intermediario italiano nonché dall’eventuale consulente o promotore finanziario di fiducia del contribuente. Nel caso in cui le attività verranno trasferite in Italia ma solo giuridicamente oppure rimarranno all’estero, assumerà invece un ruolo centrale la società fiduciaria italiana che ne diverrà sostituto d’imposta pur mantenendo la relativa gestione finanziaria in capo alla banca estera. Il ruolo del professionista, invece, sarà rilevante quando le attività, specialmente patrimoniali ( per esempio immobili), rimarranno all’estero e direttamente intestate al contribuente, che dovrà esporle nella sua dichiarazione dei redditi e versare le relative imposte dovute. In questo quadro, non bisogna tralasciare poi i risvolti economici. Dalla scelta fatta, dipenderanno anche e soprattutto i costi della voluntary: il rimpatrio, anche solo giuridico, consentirà infatti al contribuente di ottenere una riduzione maggiore delle sanzioni.
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