Volontary disclosure

LUCI E OMBRA DELLA COLLABORAZIONE VOLONTARIA

La nuova legge sulla pacificazione fiscale tra contribuente e amministrazione è fatta. Se il grande passo in avanti è rappresentato dall’ampliamento della non punibilità, alcuni passaggi destano maggiori perplessità

19-02-2015

LUCI E OMBRA DELLA COLLABORAZIONE VOLONTARIA

Il 2014, iniziato con la promulgazione del decre­to legge 4 del 2014 che intro­duceva la legge sul rientro dei capitali, nota anche come legge sulla voluntary disclosure, si è concluso, dopo mesi di discus­sioni, proprio all’insegna della regolarizzazione volontaria dei capitali. Lo scorso 4 dicembre, infatti, L’Aula di palazzo Ma­dama ha approvato, con 119 sì, una misura che propone a chi ha nascosto attività finan­ziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato, ma anche in Ita­lia (in questo caso si parla di voluntary domestica), di au­todenunciarsi in cambio di sconti su sanzioni e pene. Un procedimento di “pacificazio­ne fiscale” tra il contribuente e l’amministrazione, su iniziati­va del contribuente stesso, nato negli Stati Uniti negli anni No­vanta, e tornato d’attualità nei programmi di emersione per i depositi esteri promossi da vari Paesi europei negli ultimi anni.

I chiaroscuri della nuova normativa sono stati oggetto di dibattito in occasione della tavola rotonda “ Voluntary Di­sclosure: luci ed ombre della nuova normativa (monitoraggio fiscale, effetti premiali e rischi penali)”, organizzata lo scorso 12 dicembre da TopLegal in col­laborazione con l’insegna pe­nale Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi e con lo stu­dio legale e tributario Biscozzi Nobili. All’incontro, modera­to dal vice Direttore generale dell’Unione Fiduciaria, Fabrizio Vedana, sono intervenuti in qualità di relatori i partner di Biscozzi Nobili, Eugenio Briguglio e Marco Abramo Lanza; e Massimo Dinoia e Armando Simbari, soci di Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi.

Come emerso nel corso dell’incontro, il messaggio di fondo che questa nuova pro­spettiva di collaborazione tra cittadino e amministrazione finisce per trasmettere è quel­lo della lungimiranza: poiché in futuro la tendenza andrà sempre più verso una maggio­re collaborazione tra i Paesi, meglio attrezzarsi ora che non si è passibili di pena comple­ta. Quella del legislatore è una scommessa culturale: viene messa in dubbio l’idea stessa che, in un mondo sempre più globale, possano ancora esi­stere territori sicuri dove oc­cultare ricchezze sottratte a tassazione in Italia.

Scegliere oggi di mantenere le attività illegalmente in que­sti luoghi porterebbe, invece, con sé incognite enormi, dal rischio– paese all’impossibilità pratica di recuperare le somme estere. Inoltre, le misure adot­tate dall’Ocse e dai maggiori Paesi per la trasparenza fiscale stanno già iniziando a produr­re alcuni frutti. Basti pensare che tra i firmatari di alcune in­tese internazionali, volte a tra­smettere tutte le informazioni su conti correnti e movimen­tazioni finanziarie, figurano Paesi come il Lussemburgo, San Marino, il Lichtenstein, le isole Cayman, Hong Kong, Singapore, Monaco e la Svizze­ra. Tutti Paesi un tempo consi­derati porto franco per eludere i controlli del Fisco.

Per quanto la voluntary di­sclosure rappresenti la nuova e, presumibilmente, ultima opportunità per regolarizzare la propria posizione, il limite della risposta dei contribuen­ti alla normativa sarà dato dall’ammontare di quanto si deve pagare, poiché per bene­ficiare degli sconti penali pre­visti dalla legge la disclosure deve essere completa. D’altro canto, però, non approfittarne esporrebbe il contribuente a un duplice rischio: perdere la di­sponibilità concreta dei propri mezzi finanziari ed esporsi ai sempre maggiori rischi di esse­re accertati e sanzionati (anche penalmente) in modo ancor più aspro. A penalisti e tribu­taristi, che nel 90% dei casi saranno chiamati a lavorare in tandem, spetterà il compito certosino di ricostruire il qua­dro della situazione pendente. Là dove, secondo gli esperti del settore, ogni operazione rap­presenterà necessariamente un quadro a sé stante, impossibile da replicare in ciclostile.

Ampliamento della non punibilità 

Mentre il d.l. 4 del 2014 stabiliva soltanto una riduzione di pena per la dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti e per dichiarazione fraudolenta mediante altri artifi­ci, il testo definitivo ha esteso la non punibilità anche all’omesso versamento di ritenute certifi­cate e all’omesso versamento di Iva. Rendendo la collaborazione volontaria più “appetibile” sotto il profilo dei riflessi penalistici. Il nuovo testo estende, inoltre, la non punibilità anche nei con­fronti di tutti coloro che hanno concorso a commettere i reati “coperti”. Sono, quindi, tutelati anche coloro che hanno lavorato al fianco del contribuente in ope­razioni da cui sono derivati capi­tali sottratti a tassazione. Si parla, quindi, anche di commercialisti e fiscalisti che, con il vecchio testo, rischiavano di essere coinvolti in un processo penale nel caso in cui il contribuente, coperto da non punibilità, avesse eseguito una voluntary disclosure. Il nuo­vo testo non prevede, invece, l’e­stensione della non punibilità al reato tributario di emissione di fatture per operazioni inesisten­ti. E questo potrebbe implicare il rischio che rimangano scoperte tutte quelle operazioni inquadra­re in questa fattispecie conosciu­te come “ frodi carosello”, attuate mediante vari passaggi di beni in genere provenienti ufficialmente da un Paese dell’Unione europea, al termine dei quali l’impresa italiana acquirente detrae l’Iva nonostante il venditore compia­cente non l’abbia versata. 

Una nuova fattispecie: l’autoriciclaggio 
La voluntary disclosure ha por­tato con sé una novità di non poco conto: l’introduzione del delitto di autoriciclaggio. Così come era stato auspicato in più occasioni anche dal Procurato­re Aggiunto di Milano, France­sco Greco. Quella che può de­finirsi “ la linea Greco” verteva sull’introduzione di un sistema di incentivazione al rientro dei capitali fondato sul metodo del bastone e della carota, là dove la carota, vale a dire meccanismi premianti, dovevano essere pre­visti per chi decideva di denun­ciare spontaneamente le proprie disponibilità estere; mentre il bastone, l’inasprimento delle pene, doveva colpire gli inadem­pienti, con l’introduzione della fattispecie dell’autoriciclaggio. In realtà, come sottolineato da Armando Simbari, l’introduzio­ne del nuovo reato con questa formulazione va ben oltre “ la li­nea Greco”, poichè i suoi effetti sono generalizzati e non si limi­tano soltanto a chi non voglia aderire alla voluntary disclosure.

Una delle ombre della nuova normativa, per dirla con le paro­le del senatore Salvatore Sciascia (seduta n. 365 del 4 dicembre), è che l’introduzione dell’autorici­claggio «è un bastone troppo rile­vante rispetto alla carota propo­sta ». Infatti, così come formulata attualmente, la nuova fattispecie va a colpire i proventi di qualsiasi delitto non colposo. Anche quelli che con la voluntary disclosu­re non c’entrano proprio nulla. Un’altra perplessità suscitata dal testo è che l’estensione soggetti­va del riciclaggio, con la possibi­lità di perseguire penalmente lo stesso soggetto che ha commesso il fatto presunto, pone problemi sotto il profilo probatorio. Basti pensare a tutti i casi in cui il pro­vento del delitto non consiste in un illecito arricchimento, ma in un illecito risparmio: l’esempio più lampante è quello dei reati tributari, che non sempre com­portano il trasferimento di som­me illecite, ma spesso soltanto un risparmio d’imposta.
Il nodo da sciogliere 

Restando in tema di riciclaggio, per i professionisti c’è un aspet­to estremamente delicato su cui ancora non è stata fatta luce: il rapporto tra voluntary disclo­sure e obbligo di segnalazione delle posizioni sospette di rici­claggio. Bisogna, infatti, capire se avvocati e commercialisti sa­ranno esonerati dall’obbligo. E la cosa non è pacifica poiché nel testo di legge non è scritto nulla. L’art. 41 della 231 obbliga tutti gli intermediari finanziari ad inviare all’Unità di informazio­ne finanziaria ( Uif) una segna­lazione di operazione sospetta di riciclaggio, là dove la nozio­ne di riciclaggio è più ampia di quella prettamente penalistica e si avvicina a quella di autori­ciclaggio introdotta dalla legge sulla voluntary disclosure.

La stessa 231 esonera, invece, da quest’obbligo i professionisti (commercialisti, avvocati, no­tai). Fatta questa premessa, il punto cruciale è se, nel caso in cui il professionista che assiste il cliente interessato da voluntary disclosure venga a conoscenza di un fatto sospetto, abbia o meno l’obbligo di segnalare la cosa. Ma la nuova legge, a differenza della 231, non spende alcuna parola sull’argomento. Il problema è chiaro: in caso di obbligo, il pro­fessionista dovrebbe venir meno alla confidenzialità che lo lega al cliente. E non solo: l’obbligo gra­verebbe non soltanto nel caso in cui il contribuente decida di ade­rire alla disclosure, ma anche in quello di mancata adesione. Ed è questo il caso più critico poiché il professionista si troverebbe, di fatto, a denunciare il proprio cliente che, non avendo aderito alla disclosure, non godrebbe dei benefici da essa previsti. E quindi sarebbe pienamente perseguibile penalmente. In attesa di ricevere maggiori delucidazioni in meri­to, i professionisti sono concordi nel ritenere necessaria l’esten­sione anche alla procedura di vo­luntary disclosure dell’esenzione prevista per loro dalla 231. 


Rimpatrio o regolarizzazione? 
Come previsto dall’articolo 5- quinquies, comma 4, del te­sto, le attività oggetto di volun­tary disclosure potranno esse­re trasferite in Italia, in Stato membro dell’Unione Europea o in altro Stato purché ade­rente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, oppure rimanere nello stesso Stato in cui si trovano. Come eviden­ziato da Fabrizio Vedana, al contribuente che decide di col­laborare si aprono, pertanto, quattro possibili alternative: trasferire fisicamente in Italia le attività oggetto di voluntary disclosure; trasferire le attività in altro Stato dell’Unione Eu­ropea o dello spazio economico europeo; lasciare le attività nel­lo Stato estero in cui si trova­no e detenerle in via diretta; e, infine, lasciare le attività nello Stato estero ma intestandole ad una fiduciaria italiana che fun­gerà da sostituto d’imposta.

La scelta di una di queste opzioni dipenderà da vari fat­tori tra i quali, oltre alla in­trinseca natura del bene ( per un immobile non tutte le op­zioni sono realizzabili), ci sono la maggiore o minore fiducia nel gestore/sistema finanzia­rio italiano od estero e la mag­giore o minore comodità di prelievo ed immediata spen­dibilità del denaro depositato in Italia o all’estero. In ragione della scelta che il contribuente effettuerà, saranno diversi an­che i soggetti che interverran­no nell’ambito dell’operazione di voluntary disclosure.

Se le attività finanziarie ver­ranno trasferite fisicamente in Italia un ruolo centrale verrà assunto dalla banca o dall’in­termediario italiano nonché dall’eventuale consulente o promotore finanziario di fidu­cia del contribuente. Nel caso in cui le attività verranno tra­sferite in Italia ma solo giuri­dicamente oppure rimarranno all’estero, assumerà invece un ruolo centrale la società fidu­ciaria italiana che ne diverrà sostituto d’imposta pur man­tenendo la relativa gestione finanziaria in capo alla banca estera. Il ruolo del professio­nista, invece, sarà rilevante quando le attività, specialmen­te patrimoniali ( per esempio immobili), rimarranno all’este­ro e direttamente intestate al contribuente, che dovrà esporle nella sua dichiarazione dei red­diti e versare le relative imposte dovute. In questo quadro, non bisogna tralasciare poi i risvolti economici. Dalla scelta fatta, dipenderanno anche e soprat­tutto i costi della voluntary: il rimpatrio, anche solo giuridi­co, consentirà infatti al contri­buente di ottenere una riduzio­ne maggiore delle sanzioni.

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