di Marco Michael Di Palma
Dopo mesi di attesa, ci sono motivi per ben sperare. Il vaccino anti Covid-19, ora in avanzata sperimentazione, potrebbe presto ottenere l’approvazione e far tornare la certezza e la fiducia. Con l’insediamento di un nuovo presidente alla Casa Bianca terminerà in tutta probabilità anche la guerra sul commercio. Dopo quattro anni, si prospettano di nuovo relazioni transatlantiche distese. Infine, i cospicui fondi di ripresa prolungheranno l’outlook stabile per l’Italia – a patto che l’Europa riesca a superare il veto di alcuni stati membri refrattari. Detto tutto questo, le debolezze inalterate del nostro sistema (debito pubblico, inefficienza dello Stato, inadeguatezza della politica, spreco, clientelismo, ecc.) potrebbero vanificare questi vantaggi contingenti.
Per il momento imperversa ancora la nuova ondata di coronavirus. Non siamo fuori pericolo. Se abbiamo imparato qualche cosa in questi mesi, sicuramente la pandemia ci ha costretto a rivedere alcune convinzioni, a partire dal lavoro da remoto. La dematerializzazione degli studi legali ora si propone senza dubbi come un modello, ma non è certo l’unico modello per l’imprenditoria legale. Alla fine, il Covid-19 si rivelerà un interregno e un acceleratore di tendenze preesistenti. Il vero segno di rottura lo aveva lasciato la crisi finanziaria un decennio fa, portando un rovesciamento profondo dei rapporti di potere tra domanda e offerta. Con questo sconvolgimento facciamo ancora oggi i conti. Unica differenza rispetto alla crisi precedente è il dissesto economico che questa volta potrebbe far uscire di scena più studi legali.
Di fronte a prospettive difficili per il breve-medio periodo, si sta diffondendo una nuova consapevolezza tra gli avvocati d’impresa. La necessità di una rottura è sentita soprattutto tra i professionisti con meno di 45 anni. Molti hanno capito che non ce la faranno da soli e che serviranno spalle larghe per essere competitivi. Motivo per cui hanno avviato colloqui con i colleghi più vicini per sondare la fattibilità di un’aggregazione. È troppo presto per capire se il mercato abbia superato così la sua scarsa propensione al consolidamento, ma si vedono i primi segnali di un cambio di passo.
Secondo l’Osservatorio TopLegal sui passaggi laterali, da inizio anno a metà novembre si sono registrati 67 spostamenti di soci equity, il più alto numero dal 2011. Fino al momento di andare in stampa, le fusioni tra studi legali nello stesso periodo sono state 16. I lateral di equity si sono concentrati prevalentemente tra gli studi piccoli e medio-piccoli. Solo quattro integrazioni hanno riguardato insegne appartenenti ai primi 40 studi del TopLegal Italy Index. Altre tre hanno interessato studi fra i primi 100 classificati nell’Index. I restanti hanno coinvolto soggetti che si collocano al di fuori dei primi 300 studi legali del Paese. Le fusioni sono più prevedibili tra gli studi di fascia media, ma per ora sembrano concentrarsi nelle retrovie del mercato.
Al di là delle operazioni straordinarie, aumenta la voglia di migliorare ed emergere. Una cosa è certa: se prima non bastava il passaparola per competere sul mercato, ora non è più sufficiente mettersi in vetrina. La comunicazione e il marketing privi di progettualità sono dispendiosi e controproducenti. Né basta proporsi con la sola qualità tecnica – vecchio rifugio degli avvocati e che molti continuano a confondere con il servizio al cliente. Solo una minoranza di clienti sostituisce il proprio consulente per ottenere migliori competenze giuridiche o per risparmiare sulle parcelle.
Il motivo più diffuso per l’insoddisfazione resta l’inadeguatezza del servizio dovuta a fattori che esulano dalle competenze professionali e dai costi (le competenze non cognitive, in primis). Per interpretare le esigenze del mercato e migliorare la competitività occorrono conoscenze e strumenti che il più delle volte non sono reperibili in studio. Motivo per cui occorre entrare in un ecosistema di rapporti e far leva su professionalità diverse per creare valore.
Immancabilmente l’anno prossimo vedremo squadre ridimensionate e avvocati a spasso mentre si prova a contenere i costi di fronte a incassi ridotti. Gli attriti all’interno degli studi potrebbero acuirsi ulteriormente per miopia dei soci. L’abbandono da parte di senior associate e counsel, i più esposti alla politica di tagli, sta aumentando sensibilmente. Interi dipartimenti potrebbero svuotarsi di queste fasce in futuro. La gestione dei talenti rimane sempre un tema e non aiuta se i maestri danno il cattivo esempio.
Lo scorso aprile, Il più grande stilista d’Italia veniva immortalato mentre da solo sistemava la propria vetrina in pieno lockdown. L’emblema della moda milanese vestiva un manichino nonostante avesse migliaia di dipendenti per farlo. L’immagine ha fatto il giro del mondo. I commentatori all’unisono hanno visto una preziosa lezione di umiltà, creatività, dedizione e passione. Nessuno si è chiesto se in quel momento non fossero stati rappresentati i limiti di una cultura imprenditoriale superata. Quando si considerano virtù l’accentramento, l’ostinatezza e la carenza del capitale umano, vuol dire che servono nuovi modelli.