di Valentina Magri
«Siamo moderatamente ottimisti per il 2025». Così Danilo Mangano, presidente e ceo di Xenon Private Equity, che prevede di effettuare oltre 20 investimenti l’anno prossimo attraverso i vari fondi della sgr. A trainare il settore è stata un’evoluzione culturale degli imprenditori, che hanno compreso la ineludibile necessità di crescita per linee esterne e nutrono un attaccamento meno emotivo nei confronti della loro azienda. «Oggi siamo più facilmente ascoltati oppure è l’imprenditore che viene da noi per fare in modo che l’azienda cresca e diventi un gruppo. Non esiste più un aspetto irrazionale di appartenenza esclusiva dell’impresa alla sfera familiare», afferma Mangano.
Il dialogo con il fondo di private equity diventa più semplice nella misura in cui l’imprenditore comprende che può diventare l’azionista di minoranza di un gruppo molto più grande, con i vantaggi di ridurre il rischio, diversificare il business aumentandone significativamente le dimensioni e mantenere il suo ruolo di guida. «Dal Covid in poi si è verificato un ribilanciamento nella sfera di interessi: l’azienda è sempre centrale nei pensieri dell’imprenditore, ma è cambiato il rapporto. In questo contesto, noi abbiamo un grimaldello in più per collaborare con l’imprenditore», spiega Mangano.
A ciò si aggiungono le peculiarità del contesto italiano, particolarmente fertile per il private equity. «Il tessuto imprenditoriale è notoriamente più frammentato che nel resto d’Europa, quindi il private equity può cogliere più facilmente l’opportunità di un consolidamento, tenendo presente che tutti vogliono investire in nicchie perché ritenute più difendibili, ma che ambiti troppo ristretti corrono il rischio di essere penalizzanti», avverte il ceo di Xenon Private Equity.
L’intervista completa è stata pubblicata su TopLegal Digital di novembre 2024 – n. 9. Registrati / accedi al tuo profilo per sfogliarla gratuitamente