Il mercato legale è mobile. E i cambi di casacca, i cosiddetti lateral hire, sono all’ordine del giorno. Ma non è detto che gli investimenti in nuovi professionisti, soprattutto quando si parla di soci di calibro, producano l’effetto sperato. Anzi, a volte il ritorno rischia di essere inferiore all’investimento. Soprattutto considerando i costi che comporta il processo di due diligence che precede l’ingresso e l’“assunzione” di un socio. In termini economici, quando si tratta di capocannonieri, si raggiungono cifre record che solo uno sparuto gruppo di studi può permettersi. Ma ci va di mezzo anche la tenuta della cultura interna dell’insegna, che deve fare i conti con i mutati equilibri del post-integrazione.
Per avere una risposta, almeno parziale, a quella che rappresenta l’insidia dei lateral, basterebbe capire la tenuta dei passaggi, ovvero quanti professionisti a distanza di pochi anni sono ancora soci dello studio in cui si erano spostati. Infatti, una ricerca della società di consulenza inglese Motive legal consulting, pubblicata nel 2011, dimostra – numeri alla mano – che ogni hire che dura meno di cinque anni deve considerarsi un fallimento. Tanto che il managing director di Motive legal consulting Mark Brandon arrivava a suggerire agli studi della City di calcolare il Roi (return on investment) sui lateral prima di avviare campagne espansionistiche.
Analizzando i lateral di soci italiani avvenuti nel 2007, a ridosso della crisi che ha esposto la professione alle più drammatiche ripercussioni economiche nella sua storia, si scopre che a distanza di poco più di un lustro, su 19 soci entrati come singoli professionisti negli studi solo otto non hanno ancora cambiato casacca. Una maggiore solidità, invece, hanno dimostrato gli spostamenti di intere squadre che hanno dato origine a corazzate legali del calibro di Legance (scissione di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners), Latham & Watkins (spin off di Bonelli Erede Pappalardo) e Linklaters (nato da una costola di Pedersoli). La squadra di Linklaters (Andrea Arosio, Dario Longo, Giovanni Pedersoli) è ancora al completo; Latham & Watkins ha perso uno dei cinque soci (Simone Monesi) provenienti da Bonelli Erede Pappalardo (Andrea Novarese, Maria Cristina Storchi, Tommaso Amirante e Fabio Coppola), mentre Legance, dei 17 soci provenienti da Gianni Origoni, ha perso soltanto Denis Fosselard, confluito nelle fila di Ashurst.
Nonostante i risultati non siano sempre quelli sperati, la crescita orizzontale – che avvenga attraverso il reclutamento di un singolo socio, di più partner o di intere squadre – rimane il cardine su cui si impernia la crescita della maggior parte degli studi legali. Le ragioni sono molteplici: aumentare il fatturato; mettere il piede in un settore scoperto; acquisire i clienti del nuovo socio per distribuire attraverso il cross selling lavoro su practice già avviate; o, ancora, conquistare credibilità sul mercato reclutando pesi da novanta. In altre parole, i lateral rappresentano la principale risposta messa in campo dalle insegne per affrontare in tempi stretti i cambiamenti del mercato. Soprattutto in Italia, dove, a differenza di quanto avviene all’estero, l’individualismo e la scarsa propensione a fare sistema hanno portato – come noto – a pochi casi di fusione tra grandi strutture.
Le tendenze 2011-2013
Considerando un arco temporale che va da inizio settembre 2011 a fine agosto 2013, in Italia si sono registrati 119 spostamenti di soci equity. Con un lieve decremento nell’ultimo anno: rispetto ai 52 del 2011-2012, se ne contano 45 (-13,5%). Un dato che però è viziato da due avvenimenti che hanno, quasi da soli, monopolizzato il mercato dei lateral nel 2011-2012: da un lato la diaspora Grimaldi e dall’altro l’implosione di Dewey & Le-Boeuf. Queste riconfigurazioni hanno costretto i professionisti delle due insegne a cercare a strettissimo giro nuova casa in altri studi, portando a volte a matrimoni lampo. Si pensi alla permanenza di appena sei mesi di Bruno Gattai, Luca Minoli, Nicola Brunetti, Gaetano Carrello e Stefano Catenacci nello studio nato dalla fusione del team proveniente dalla squadra italiana della firma americana implosa e del brand capitolino Grimaldi.
Entrando nel merito dei movimenti per settore, conquista il podio il corporate, che con 39 lateral hire si aggiudica il 32,8% della torta. Seguono il banking & finance (i 14 spostamenti rappresentano l’11,8% del totale) e il contenzioso (13 cambi di poltrona equivalgono a una fetta pari al 10,9%). Sotto il podio, si posizionano le practice anticicliche labour (11), energy (10) e ip/tmt (8). Nonostante l’aumento negli ultimi tempi delle pratiche e delle fee che li interessano, si fermano a quota cinque lateral in un biennio i settori amministrativo, antitrust e tax; mentre gli arbitrati hanno generato quattro spostamenti. In coda ci sono real estate (2), regulatory (1) e restructuring (1).
Già a prima occhiata, il dato che balza immediatamente agli occhi è che la maggior parte dei lateral confluiscono proprio in due dei settori a maggior rischio commodity, corporate e banking. Quelli che – per stessa ammissione degli operatori del settore – hanno innescato una lotta giocata sul dumping e sul progressivo livellamento delle tariffe. In altre parole, proprio quei comparti che molto spesso finiscono con l’alzare una ben scarsa marginalità nelle casse di un’insegna. Di contro, però, sono gli stessi che hanno la maggiore capacità di generare nuovo lavoro attraverso il cross selling e sono le practice principe dei rainmaker, gli “uomini della pioggia” in grado di fungere da polo attrattivo per altri talentuosi legali e per clienti d’oro. Insomma, i professionisti in grado di spostare gli equilibri sia nello studio di partenza sia in quello di arrivo.
Analizzando proprio i lateral degli uomini della pioggia, nel biennio si è assistito a tre spostamenti eccellenti. Il primo in ordine temporale è quello di Roberto Cappelli, che nel dicembre 2011 lascia Grimaldi per diventare name partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners. Una negoziazione, quella per l’ingresso di Cappelli, la cui quadratura è stata difficile da trovare: è stato necessario un mese di trattative, evidentemente ruotate attorno all’inserimento nella sigla aziendale del nome del nuovo socio. È sempre dalle fila di Grimaldi che nel maggio 2012 esce Francesco Novelli con un team di circa 20 professionisti per diventare senior partner della practice italiana di Dla Piper e assumere la responsabilità in Italia del settore energia. Un’integrazione che sembrerebbe ben riuscita, tanto che quello di Novelli è tra i papabili nomi per la successione al ruolo di managing partner della law firm anglo-americana in Italia, in seguito alla promozione di Federico Sutti a managing director Europa, Medio Oriente e Africa. Oltre all’ingresso di Novelli, Dla Piper si è aggiudicato anche il terzo spostamento eccellente, quello di Michael Bosco, che dopo aver militato 20 anni in Shearman & Sterling, nell’ottobre del 2012 è entrato in Dla in qualità di socio responsabile dell’equity capital markets in Italia.
Oltre allo scacco matto di tre rainmaker, nella scacchiera legale si sono registrati altri spostamenti strategici. Clifford Chance, dopo l’uscita di Cristoforo Osti, approdato in Chiomenti, recluta da Bonelli Erede Pappalardo Luciano Di Via per rifondare il dipartimento Antitrust. Esce da Grimaldi Annalisa Pescatori, che diventa managing partner della sede milanese di Tonucci. White & Case si assicura Ferigo Foscari, ex Chiomenti, il socio di Giliberti Pappalettera Triscornia Iacopo Canino e Paola Leocani, ex Allen & Overy. Mario Ortu lascia Freshfields per raggiungere Orsingher e Arturo Leone esce da Collodel Leone Ligi Queirolo per rafforzare la practice di tmt romana di Bird & Bird in sostituzione diEutimio Monaco, andato a fondare una sua boutique.
Lorenzo Parola abbandona Grimaldi per Paul Hastings. E, sempre da Grimaldi, Rino Caiazzo viene arruolato in qualità di name partner dalla boutique di Roberto Donnini e Marisa Pappalardo, dopo l’uscita del socio fondatore Luigi Chessa, entrato in Gop. Ancora l’insegna guidata da Francesco Gianni è protagonista di un altro degli spostamenti d’oro: fa il suo ingresso nel dipartimento labour Paola Tradati, ex managing partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci.
Da questa rassegna emerge con chiarezza che nel risiko legale, i lateral hanno una forza strategica fondamentale. E il trend sembra destinato a continuare. Basti pensare che il 2014 si aprirà con il passaggio di Antonio Segni, Andrea Mazziotti di Celso e Federico Vermicelli da Labruna Mazziotti Segni a Lombardi Molinari e associati, che aggiungerà un nome all’insegna, diventando Lombardi Molinari Segni e associati.
Per quanto strategici, però, c’è da chiedersi quanto questi riposizionamenti siano utili per affrontare in maniera sistemica la crisi. Anziché guardare all’esterno e aprire a posizioni che determinano un ampliamento della base equity (cui non necessariamente potrebbe corrispondere una proporzionale crescita del fatturato e dell’utile), forse occorrerebbe volgere lo sguardo all’interno della struttura e agire su variabili come l’innovazione, la creazione di nuovi modelli di business e la ristrutturazione interna delle insegne. I lateral altrimenti rischiano di essere solo dei palliativi, non la cura.
Logica laterale: il lato oscuro della campagna acquisti
Il passaggio laterale di soci è una delle principali leve che consentono a uno studio legale di aumentare il proprio giro d’affari. Una volta la partenza di un socio equivaleva a compiere un atto di alto tradimento. Il fenomeno ora è, invece, sempre più diffuso e, per chi riesce a fare un colpo sul mercato degli acquisti, genera visibilità e notorietà all’insegna. La proliferazione di passaggi è una conseguenza anche della crisi economica: da una parte frutto del riposizionamento di mercato e della necessità di presidiarne nuove aree; dall’altra, dell’incapacità di alcuni studi nel venire incontro alle aspettative dei propri soci.
Prendendo in considerazione i soli passaggi di soci equity tra gli studi appartenenti ai primi cento in Italia per fatturato ( TL100) e comparando i margini delle insegne coinvolte, non sorprende scoprire che negli ultimi due anni la maggioranza dei soci equity – il 56% – ha scelto di spostarsi verso realtà con una redditività superiore allo studio di provenienza.
Rimane però un cospicuo 44% di soci equity che nello stesso periodo ha compiuto un movimento al contrario, entrando in uno studio con margini più bassi. Anche questi passaggi hanno una loro logica di opportunità. Talvolta si tratta di soci che, per non perdere i propri clienti, preferiscono esercitare in studi che praticano parcelle meno onerose. Altre volte, gli spostamenti verso il basso sono dovuti alla fuga di figure più junior da studi che hanno sbagliato politica remunerativa perché sacrificano i rainmaker di domani per tutelare quelli di oggi.
Lo stesso opportunismo emerge anche da parte degli studi che rinunciano alla crescita interna dei giovani talenti. Visto dalla prospettiva dello studio, il lateral hiring è la conseguenza ineluttabile di un meccanismo di equilibrio comune a tutte le associazioni. In ogni studio legale, i soci che fatturano di più hanno un’influenza preponderante sulle scelte dell’insegna a cui il managing partner è costretto a dare ascolto. Nella sua essenza, questa influenza si esprime come necessità di tenere alto il fatturato e gli utili, o per lo meno di aumentare redditi e profitti nell’arco di tempo più breve possibile, pena defezioni. E per tenere alti fatturato e utili o aumentarli in poco tempo si ricorre, appunto, a sostituire soci meno performanti con i lateral hire.
La necessità di questo equilibrio sorge da una consapevolezza della fragilità connaturata dello studio legale, il quale non è una realtà economica qualsiasi. Al vertice del mercato, uno studio legale può vantare margini e profitti molto ben oltre i livelli di altre realtà economiche, ma una volta privo della fiducia dei suoi soci influenti, invece di andare in perdita, tende a sgretolarsi e prima o poi sparisce completamente dal mercato.
Rimane, però, un paradosso intorno al lateral hiring: sottrarre soci ai concorrenti potrebbe rivelarsi controproducente. Quando sono tanti gli studi a inseguire la medesima politica sul mercato del lavoro, subentra la legge dei ritorni diminuenti e si riducono le possibilità di migliorare i bilanci. Per di più, diventa difficile distinguere quei soci sul mercato che sono stati mandati via dal proprio studio perché poco produttivi da altri professionisti che potrebbero contribuire alla crescita finanziaria del nuovo studio. Il paradosso del lateral hiring induce spesso errori di valutazione da parte di managing partner. Basta considerare il numero di lateral hire che disattende le aspettative o addirittura abbandona lo studio dopo solo pochi anni.
Non vi è una correlazione tra le dimensioni e la redditività di uno studio. Il lateral hiring rimarrà una leva necessaria ma non sufficiente per la crescita. Fare lateral hiring può rivelarsi controproducente. Non farlo, potenzialmente disastroso.
Articolo pubblicato in TopLegal ottobre 2013
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