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Minibond, le attese per il 2019

Il bilancio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Ora si guarda a cartolarizzazioni e Eltif

06-03-2019

Minibond, le attese per il 2019




Aumentano gli emittenti di minibond, ma cala la dimensione media del collocamento e si è quindi ridotto il flusso totale della raccolta. Nel complesso però il 2018 — è il bilancio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano — è stato un altro anno positivo per il comparto, in un contesto in cui la raccolta obbligazionaria si è dimezzata rispetto al 2017 (da 36,4 miliardi di euro a 15,5 miliardi di euro). Il comparto è stato tra l’altro interessato da alcune novità legislative: la riforma dei Pir; le modifiche nelle norme sulla cartolarizzazione; la possibilità per i portali autorizzati di equity crowdfunding di collocare mini-bond (in sezioni riservate a investitori professionali). 

«Il mercato è cresciuto non solo in termini dimensionali, ma anche in termini qualitativi — si legge nella ricerca diretta dal professore Giancarlo Giudici — Ora i mini-bond sono utilizzati in un’ampia gamma di operazioni; accanto al rifinanziamento del debito o alla raccolta di capitale per investimenti implementati da aziende pienamente operative, troviamo ormai tipologie molto variegate di casi, per il finanziamento di operazioni che vanno dalle startup ai buyout, fino al turnaround, spesso in abbinamento con equity kicker».

Chi emette minibond
I minibond sono stati protagonisti della disintermediazione delle Pmi dalla dipendenza del canale bancario. Secondo le stime dell’Osservatorio negli ultimi cinque anni le piccole e medie imprese italiane hanno raccolto con titoli mobiliari di debito più di 4,6 miliardi di euro, una somma che comincia a diventare non più trascurabile rispetto allo stock delle passività finanziarie. La ricerca condotta annualmente dall’Osservatorio Mini-Bond considera i titoli obbligazionari (di qualsiasi scadenza) e le cambiali finanziarie emessi dalle imprese italiane, con un focus su quelle di piccola-media dimensione. In particolare, sono state 176 le emittenti del 2018, suddivise quasi equamente fra Pmi (secondo la definizione adottata a livello europeo) e non-Pmi. Nel paniere complessivo si trovano peraltro 22 società che hanno collocato titoli con diverse caratteristiche nello stesso istante o che si sono rivolte al mercato in momenti successivi durante il 2018. Le imprese che per la prima volta hanno collocato mini-bond nel 2018 risultano essere ben 123, in aumento rispetto al 2017, mentre 53 imprese non erano nuove all’esperienza. Nel 2018 sono state 5 le imprese quotate in Borsa sui listini azionari che hanno condotto emissioni di mini-bond.

Nessun Effetto Pir 
L’euforia del mercato verso i Pir (Piani Individuali di Risparmio) introdotti dal 2017 nel mondo del risparmio gestito italiano non ha purtroppo impattato in modo significativo sulla filiera dei mini-bond. Lo indica lo studio del Politecnico citando una ricerca condotta dalla School of Management dello stesso Politecnico di Milano in collaborazione con Intermonte Sim. «Nessuna fra le forme di finanziamento “alternativo” rispetto al credito bancario (mini-bond, crowdfunding, private equity) — si legge — ha ottenuto significativi vantaggi dai Pir» L’attenzione dei fondi Pir-compliant si è concentrata soprattutto sui titoli azionari quotati e per quanto riguarda le obbligazioni appare che solo un ristretto numero di fondi ha scelto di investire in mini-bond emessi da Pmi.

Inoltre, la legge di bilancio per il 2019 (legge 145/2018) ha modificato la normativa sui Pir, introducendo nuovi vincoli nella composizione degli investimenti, in particolare rispetto agli strumenti finanziari emessi dalle Pmi e scambiati sui listini non regolamentati e ai fondi di venture capital. «L’effetto al momento — commenta lo studio — è stato quello di bloccare l’avvio di nuovi fondi e le sottoscrizioni da nuovi investitori, in attesa dei decreti attuativi». 

Dalla legge di bilancio sono però arrivate due novità che, fa notare l’Osservatorio, possono avere un impatto sulla filiera dei minibond. Innanzitutto sono state introdotte alcune modifiche alla Legge 130/99 che disciplina le cartolarizzazioni. In particolare, si dà l’opportunità alle società di cartolarizzazione di erogare direttamente finanziamenti sia a società per azioni sia a Srl, e non solo di acquistarne crediti. «Si tratta di una novità — si legge nello studio — che potrebbe supportare le operazioni di cartolarizzazione di mini-bond».

In secondo luogo, viene data la possibilità ai portali di equity crowdfunding autorizzati dalla Consob di collocare obbligazioni emesse da Pmi, e quindi minibond, «agli investitori professionali e a particolari categorie di investitori eventualmente individuate dalla Consob (...) in una sezione del portale diversa da quella in cui si svolge la raccolta del capitale di rischio».

Le attese per il 2019
Per il 2019 le aspettative degli esperti del Politecnico sono più conservative rispetto al passato, «a causa dei primi segnali negativi che provengono dal ciclo economico, dell’incertezza sulle politiche di sviluppo interne e della possibile concorrenza delle operazioni di direct lending, che si vanno diffondendo sul mercato». Le attese dell’Osservatorio sono quindi per volumi del 2019 saranno abbastanza simili a quelli del 2018. 
Tra gli elementi positivi indicati, l’esistenza di «interi comparti, come i project bond e i basket bond, che non hanno ancora sviluppato il loro potenziale e possono contribuire ad un ulteriore allargamento della frontiera», mentre gli esperti non ritengono che l’ingresso dei gestori dei portali di equity crowdfunding nella filiera possa incrementare in misura significativa il flusso dei collocamenti e attrarre nuovi investitori professionali. «Si può ipotizzare — si legge — che le startup finanziate in passato su questi portali, anche per più round, una volta raggiunto il break-even finanziario potranno diversificare le fonti di finanziamento attraverso i mini-bond, ma non è chiaro quale possa essere il valore aggiunto o il vantaggio competitivo delle piattaforme rispetto agli intermediari oggi esistenti».

Grandi aspettative vengono invece riposte nell’arrivo degli Eltif (European Long Term Investment Funds), ovvero fondi chiusi a medio-lungo termine destinati a finanziare le Pmi non quotate, o quotate ma con capitalizzazione sotto 500 milioni di euro. Non essendo classificati come fondi di investimento alternativi, saranno aperti anche a investitori retail con buona preparazione finanziaria. «Laddove i Pir non sono riusciti — si legge nello studio —, grande speranza si nutre verso gli Eltif nel canalizzare risorse verso le Pmi non quotate e verso i mini-bond».


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