MONCLER, SEA E RHIAG (RI)ANIMANO LA BORSA E I TEAM DI CAPITAL MARKETS DELLE LAW FIRM

Ma il 2011, dopo lo stop improvviso di Philogen e l'annunciato delisting di Bulgari, è ancora senza matricole

06-04-2011

MONCLER, SEA E RHIAG (RI)ANIMANO LA BORSA E I TEAM DI CAPITAL MARKETS DELLE LAW FIRM

Saranno Latham & Watkins, per conto della società e Linklaters, al fianco delle banche, a gestire i profili legali dell’Ipo di Moncler. La quotazione della società d’abbigliamento guidata da Remo Ruffini, dovrebbe essere, assieme a Rihag e Sea, tra i protagonisti dell'attesissima ripartenza del mercato delle quotazioni in Borsa Italiana. Gli ultimi due anni, infatti, sono stati piuttosto fiacchi e il fronte delle Ipo è diventato uno dei meno redditizi per i dipartimenti di Capital markets degli studi legali d’affari attivi in Italia.

Il 2011 non solo non ha ancora la sua prima matricola ma, come si legge nella storia di copertina di TopLegal di questo mese (appena uscito in edicola), non è cominciato nemmeno sotto i migliori auspici: prima c’è stato l’improvviso annullamento della quotazione di Philogen, poi è arrivata la notizia dell’Opa lanciata da Lvmh su Bulgari che porterà al delisting del prestigioso brand della gioielleria, uno dei marchi a più alta capitalizzazione con i suoi oltre 3,6 miliardi di euro.

Non sorride Borsa Italiana e non sorridono nemmeno gli avvocati che si occupano di Equity capital markets. L’attività sul fornte Ipo si è praticamente azzerata. Il tasso di “mortalità” delle operazioni nel settore si attesta al 90%. L’unico fronte che sembra produrre mandati, seppur ancora con il contagocce, è quello dei mercati non regolamentati destinati alle Pmi. Ma parliamo di un segmento in cui le parcelle degli studi legali difficilmente superano i 50mila euro.

Tant’è, ma l’atteggiamento, in quel di Borsa italiana, resta ottimistico. Secondo l’a.d. Raffaele Jerusalmi nel 2011 potrebbero concludersi almeno 7-8 processi di quotazione.  Oltre a Moncler, il cui progetto di quotazione è stato ufficializzato il 5 marzo, quest’anno dovrebbero debuttare in Borsa anche Sea, che ha avviato l’Ipo con Bonelli Erede Pappalardo e Rhiag affiancata da Clifford Chance.
Tra le operazioni attese, poi, va ricordata l’Ipo di Ferragamo. Questa aveva cominciato a lavorare al proprio sbarco in Piazza Affari nel 2007 assistita dallo studio Gianni Origoni Grippo, salvo poi sospendere i lavori a tempo indeterminato.

Il mese scorso c’è stato l’ingresso del magnate di Hong Kong, Peter Woo, nel capitale della holding Salvatore Ferragamo Italia. Questa operazione, con cui la griffe della moda, assistita dallo studio Portale Visconti di Milano, ha aperto per la prima volta il proprio azionariato all’esterno, è stata da molti analisti considerata una sorta di preludio alla ripresa del processo di quotazione. Sebbene, per quanto si sappia ufficialmente, Ferragamo non ha mai messo in dubbio la volontà di quotarsi in Italia, la scelta recente di quotarsi a Hong Kong compiuta da un’altra importante protagonista della moda made in Italy, Prada, potrebbe suscitare più di qualche riflessione in quel di Firenze. Del resto, il mercato asiatico con oltre 150 milioni di ricavi rappresenta l’area di vendita più importante per Ferragamo davanti a Usa e Giappone.

E proprio la rilevanza del mercato asiatico, sembra essere stata all’origine della decisione di Maurizio Bertelli, amministratore delegato di Prada, di puntare su Hong Kong per la propria Ipo. I ricavi del gruppo nella “Cina allargata” rappresentano quasi il 20% del totale e secondo gli analisti possono salire al 25% nel 2013. A Hong Kong il mercato retail è molto diffuso, e sono presenti investitori istituzionali internazionali che dedicano ingenti risorse alle società di quell’area. All’operazione stanno lavorando gli avvocati dello studio Bonelli Erede Pappalardo, Sergio Erede e Stefano Simontacchi.

Perché sembra che più nessuno voglia quotarsi? «Non c’è un’unica spiegazione», afferma Enrico Giordano, socio di Chiomenti, che di recente ha seguito l’Ipo di Enel Green Power, «i mercati sono volatili, i multipli che si spuntano sono inferiori rispetto al periodo pre crisi e il mercato sembra attento solo alle grandi società o alle storie d’eccellenza».
«La volatilità», osserva Gianfranco Veneziano di Bonelli Erede Pappalardo, «frena le Ipo perché sono operazioni che non si chiudono rapidamente e quindi la stabilità della congiuntura è un fattore importante». Gli fa eco Domenico Fanuele, managing partner di Shearman & Sterling che aggiunge: «In Italia le quotazioni si concentrano nei picchi borsistici. È successo nel periodo delle grandi privatizzazioni, durante la bolla di Internet e di recente nel 2007. C’è un atteggiamento più opportunistico». Anche se secondo Anton Carlo Frau, socio dello studio d’Urso Gatti e Bianchi, «non si può parlare di atteggiamento speculativo, bensì prudente. Sono i mercati finanziari a generare incertezza». Sul punto si inserisce anche Lukas Plattner, salary partner di Nctm, che ha seguito diverse quotazioni all’Aim e al Mac, come First Capital ed Editoriale Olimpia: «È la crisi finanziaria il principale problema, nel senso che le difficoltà maggiori scaturiscono dalla scarsità di investitori attivi sul mercato. Inoltre i costi che una società deve sostenere per la quotazione sono considerati elevati da molti».

L’unica voce di costo che le società quotande hanno visto abbattersi costantemente negli ultimi quattro anni è quella della consulenza legale. Secondo quanto TopLegal ha potuto appurare, per le aziende che decidono di affrontare un processo di quotazione, la parcella degli avvocati non deve superare una data soglia. E spesso la tariffa è considerata “all in” ovvero comprensiva di tutto il lavoro che l’Ipo richiede, indipendentemente dal livello di complessità della società che si vuole quotare. Cinque anni fa le cose stavano diversamente. Chi  assisteva la quotanda poteva spuntare una parcella tra i 200 e gli 850mila euro; mentre chi assisteva le banche (sponsor e coordinator) poteva fatturare tra 150 e 250 mila euro.

Anche a causa della scarsità di dossier su cui lavorare, poi, molti studi sono disposti a offrire i propri servizi a prezzi da saldo. La ratio è duplice: da un lato si considera il fatto che non di sole Ipo possono vivere i dipartimenti di Capital markets e che quindi quella singola parcella è di per sé ininfluente per il budget di studio; dall’altro si valutano i vantaggi in termini di visibilità e pubblicità indiretta che lo studio può ottenere seguendo un’operazione di particolare prestigio. Non è un caso se, già alcuni anni fa, uno dei più importanti studi legali d’affari italiani si offrì di lavorare gratis all’Ipo di Ferrari che, peraltro, potrebbe tornare presto d’attualità.
 
Il “tariffario”, poi, crolla decisamente se si parla di quotazioni all’Aim o al Mac, listini dedicati alle Pmi e non regolamentati. Qui gli studi legali svolgono il lavoro per non più di 50mila euro, nonostante l’attività e le responsabilità dei professionisti non siano inferiori rispetto a un’Ipo sull’Mta. È una questione di approccio. Molti avocati fanno presente che la parcella per una quotazione all’Aim viene vista più come investimento nel rapporto con il cliente. La quotazione è un momento in cui si suggella una relazione privilegiata tra studio e azienda. Ciò a cui si deve aspeirare, dunque, è continuare ad assistere la società dopo l’ammissione alla quotazione sia nelle questioni di ordinaria amministrazione sia nelle operazioni straordinarie.

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