Ormai non ci sono dubbi. Il diritto penale a scopo preventivo è diventato parte integrante della vita aziendale. È quanto emerge con forza nell’ambito di un’approfondita indagine compiuta da TopLegal tra 35 insegne attive nel settore. «L’intervento del penalista, prima richiesto a fronte del verificarsi di specifiche patologie nell’ambito dell’attività d’impresa, oggi diventa costante. Teso a monitorare i profili organizzativi della società al fine di evitare che singoli aspetti dell’attività sfiorino l’area del penalmente rilevante, il penalista ha cambiato il modo di intendere le proprie competenze», sintetizza con efficacia Ciro Pellegrino.
Un ruolo fondamentale l’ha giocato l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2001 che ha accelerato il formarsi di una cultura del diritto penale d’impresa. Da allora, ad allargare le competenze stragiudiziali del penalista sono intervenuti numerosi altri interventi legislativi, nazionali e sovranazionali, dalle norme in tema di anticorruzione alle nuovissime discipline in materia di whistleblowing e privacy. In questo contesto, risulta profondamente mutata anche l’attività del penalista, che oggi si trova a dover strutturare maggiormente la sua offerta, affiancando alla conoscenza penale una cognizione solida del diritto civile, commerciale e fallimentare. Un penalista più generalista, quindi, che non disdegni di arricchire il suo team di esperti tecnici e non solo bravi avvocati.
I temi caldi
La consulenza in materia penale è entrata a pieno titolo nel novero dei fondamentali strumenti di compliance a disposizione delle società. Secondo Andrea Puccio di Puccio Giovannini in quest’ottica, determinanti sono state sicuramente le leve esercitate dal legislatore nazionale che, con l’introduzione di strumenti premiali come, ad esempio, il rating di impresa e il D.lgs. 254/2016 in tema di corporate social responsibility «ha agevolato la diffusione di una cultura della compliance aziendale, non solo tra le organizzazioni complesse, ma anche nelle piccole e medie imprese».
Un’ulteriore spinta è stata data dal legislatore sovranazionale, i cui interventi degli ultimi tempi sono sempre più orientati nel senso della prevenzione del reato, piuttosto che nella direzione, tipicamente penalistica, della repressione della condotta illecita. Basti pensare alle recenti novità in materia di prevenzione alla corruzione, o all’introduzione delle misure tese a incentivare le segnalazioni di condotte illecite all’interno delle aziende ( whistleblowing), la cui logica secondo Enrico Maria Mancuso, responsabile del dipartimento di diritto penale di Pedersoli, è quella di «affermare una cultura imprenditoriale che consideri la business integrity e la trasparenza non più come freni alla redditività, ma piuttosto come pilastri della sostenibilità e del successo dell’attività di impresa nel lungo periodo».
Anche il partner di Dentons, Armando Simbari, ha dovuto ricredersi in merito. «Al momento dell’entrata in vigore della legge – confessa a TopLegal – avevo manifestato più di una perplessità sulla tenuta e sulla reale efficacia del whistleblowing, per ragioni squisitamente culturali. Dubitavo che un sistema di segnalazione interna degli illeciti, tipica dei paesi anglosassoni, potesse fare breccia in un Paese come il nostro in cui storicamente i “panni sporchi si lavano in casa”. A distanza di un anno, invece, mi sono già imbattuto in diverse indagini penali che hanno preso avvio da segnalazioni di questo tipo».
Per quanto rivoluzionario per la nostra cultura, l’istituto del whistleblowing continua ad essere, come sottolinea qualcuno, un «oggetto giuridico difficile da maneggiare». Ne sintetizza le ragioni Paola De Pascalis, of counsel di Pavia e Ansaldo: «La normativa sta ponendo non poche difficoltà nella sua traduzione operativa e pratica: basti pensare al tema dell’organo o del soggetto destinatario delle segnalazioni, alle tipologie di soluzioni informatiche e tecniche per garantire la riservatezza delle stesse, alle interferenze con i regimi normativi già esistenti in ambito giuslavoristico e, ora ancor più, di diritto della Privacy».
In effetti, l’entrata in vigore del Regolamento Europeo 2016/679 in materia di privacy ha aperto un nuovo fronte di complessità nella governance e nella compliance aziendale, rendendo indispensabile l’intervento del penalista anche in questa materia, per la parte in cui il modello privacy impatta sul modello 231, in relazione ad esempio ai reati contro la pubblica amministrazione.
Privacy e cybercrimes, secondo i partecipanti all’indagine TopLegal, diventeranno temi sempre più frequenti in questo momento di rivoluzione digitale. Si tratta, infatti, di una delle aree di maggior crescita del crimine a livello mondiale anche secondo i dati riportati dall’Interpol. Il settore dei reati informatici è quello in cui Mario Zanchetti di Pulitanò Zanchetti vede, oggi, il maggior potenziale di crescita per chi opera nel diritto penale: «In un sistema ormai totalmente dipendente dal cyberspace, molte sono le questioni giuridiche che interessano la materia. Il settore del cybercrime spazia dal mondo dei bitcoin e delle criptovalute alla rivoluzione della blockchain, dal danneggiamento di informazioni, dati, programmi e sistemi informatici alla frode informatica. Tutti ambiti in cui si chiede ai giuristi un altissimo livello di preparazione tecnica per poter comprendere come applicare il nostro diritto a una realtà in continua evoluzione».
Infine, tra le tematiche più innovative che assumono sempre più rilievo nell’ambito del diritto penale, certamente risalta l’intelligenza artificiale, che probabilmente inciderà profondamente nel modo in cui gli avvocati, anche penalisti, svolgeranno il proprio lavoro.
La versione integrale dello Speciale Penale è pubblicato sul numero di dicembre-gennaio di Toplegal Review, disponibile su E-Edicola.
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