Freshfields

NON CHIAMATELO FACTORY

Il futuro secondo Freshfileds esige qualità e morigeratezza nei costi. Evitare il sottoutilizzo delle risorse mediante l’outsourcing interno per battere la crisi è il nuovo dictat

01-02-2014

NON CHIAMATELO FACTORY

Sì al modello full- service, no a quello legal factory. O legal farm, come iro­nizzerebbero alcuni arguti osservato­ri. Con queste parole che il managing partner Tommaso Salonico, il co-ma­naging partner per la sede meneghina Emiliano Conio e il socio alla testa del corporate Nicola Asti sintetizzano a TopLegal l’attività della sede italiana di Freshfields Bruckhaus Deringer. Ab­bracciata la filosofia del “poche operazioni ma buone”, lo studio nel corso del tempo è uscito da alcuni mercati – equity e capital markets in primis – per puntare sulla pro­fittabilità. Raggiungere una buona marginalità, addirittura « in crescita rispetto al passato» a dispetto di fatturati in calo, a quanto pare si può, secondo i tre soci. La leva con cui raggiun­gere un risultato tanto difficile starebbe nell’ottimizzazione di struttura e costi. « Due sono gli strumenti che consentono a Freshfields di conservare un’alta marginalità, anche a dispetto di fee più basse: l’organizzazione per practice e sector group e la doppia abilita­zione di molti dei nostri professionisti », secondo Salonico. Nel primo caso, la law firm ha optato per un approccio al team, anziché locale, inter­nazionale; una sorta di outsourcing interno che mette a disposizione delle squadre sovraccariche di lavoro quelle delle giurisdizioni in cui il carico è minore. In tal modo, si cerca di far lavorare tutti i professionisti di un practice group al massimo delle loro potenzialità, scongiurando il sottouti­lizzo delle risorse umane che si trasformerebbe in un costo zavorra. Nel secondo caso, « la doppia abilitazione – spiega Conio – offre l’opportunità di una forma di insourcing: la stessa persona può agire su due giurisdizioni diverse». E aggiunge: « Mai come oggi il mercato legale è un mercato globale, che richiede la massima integrazione tra gruppi sia a livello nazionale sia a livello sovra­nazionale. Tale approccio integrato consente di soddisfare l’aspettativa del cliente di ricevere il medesimo livello di servizio a prescindere dalla sede coinvolta in una particolare operazione».

Agire sui costi, però, da solo non basta quando le parcelle sono in caduta libera. È così che lo studio magic circle ha fatto la scelta ben precisa di rimanere ancorato alla parte alta della curva del valore. Riu­scendo così a mantenere il piazzamento anche nel corporate, uno dei settori più esposti al dumping. Dopo le scosse che nel gennaio 2013 avevano minato la tenuta interna dello studio, con le uscite di peso di tre partner italiani (gli specialisti del corporate Mario Ortu e Nicola Barra Caracciolo, confluiti nello studio fondato da Matteo Orsingher, e l’ammini­strativista Marcello Clarich, che ha scelto la stra­da dell’indipendenza), il mercato paventava un nuovo 2007 per l’in­segna. In quell’anno, Freshfields disse addio a un nutrito gruppo di soci: Cesare Vecchio, passato a Delfino; Franco Campomori, ap­prodato in Orrick; Matteo Orsin­gher, messosi in proprio; Bruno Castellini, entrato in Jones Day e Stefano Sennhauser sbarcato in Allen & Overy.

A inizio del 2013, la perce­zione diffusa sul mercato era che il corporate sarebbe uscito indebolito dalla perdita di Ortu, che insieme a Orsingher era stato uno dei grandi timonie­ri della sede italiana della law firm. Ma i fatti hanno smentito le previsioni. Lo studio del ma­gic circle, stando alla classifica stilata in gen­naio da Thomson Reuters, nell’elenco dei pri­mi 25 studi operanti nel mercato m& a italiano per deal portati a termine nel corso del 2013 si posiziona al quarto posto con 16 operazio­ni chiuse per un valore di 7,6 miliardi. Inoltre, Freshfields è il primo studio internazionale a comparire in classifica. Un risultato di tutto rispetto, considerando che il numero di opera­zioni rilevanti diventa sempre più sparuto e il grosso del valore è mosso da pochissimi deal.

« Il 2013 si presenta come il miglior anno per performance finanziaria del corporate», afferma Asti, al fianco di Cinven nella vendita delle atti­vità aeronautiche di Avio a General Electric per un valore di 3,3 miliardi di euro. «Una tempesta perfetta », la definisce Asti, nata dall’interazione tra network – di cui Cinven è storicamente un cliente – e squadra italiana, grazie al rapporto fi­duciario costruito negli anni da Asti con il fondo guidato da Roberto Italia. Un’interazione che, secondo i tre soci, a livello di network ha sempre reso superfluo interrogarsi su quanta parte del lavoro provenga da referral e quanto da clientela locale. « In Freshfields, commenta al riguardo Sa­lonico, il sistema remunerativo, trattandosi di un lockstep puro, non richiede alcun monitoraggio sul referral, perché in alcun modo ciò andrebbe a incidere sui dividendi spettanti ai soci ». Un dato, però, viene fornito, anche se non a livello di sin­gola practice. « Nonostante l’impronta globale e internazionale del nostro studio, approssimati­vamente la metà dei clienti della practice italiana (circa il 40% ndr) è composta da clienti originati localmente», afferma il managing partner, che sottolinea come non a caso uno dei settori mag­giormente in crescita sia anche in Italia il con­tenzioso, « tipicamente area di pratica fortemente radicata nel contesto locale».

A fare da contraltare a un settore in crescita vi è uno in sofferenza. Si tratta dell’amministrativo, che dopo l’uscita di Clarich non è ancora stato ricostru­ito, nonostante le pressioni che – come ammettono gli stessi tre soci – giungerebbero anche dal net­work. L’assenza del dipartimento amministrativo non può che incidere anche sul peso relativo che regola gli equilibri dell’asse Roma-Milano. La sede capitolina, nonostante un trainante dipartimento Antitrust e regolamentare, ha subito un duro con­traccolpo dopo la perdita di Clarich, un professioni­sta difficile da rimpiazzare per uno studio interna­zionale. Secondo Salonico: «Non è facile trovare un gruppo in grado di muoversi parallelamente sui due diversi fronti funzionali alla nostra organizzazione e attività: quella self-standing e quella maggiormente transactional. Cerchiamo figure con uno profilo tale da risultare competitive rispetto ai medesimi servizi rinvenibili rivolgendosi a una boutique e, contempo­raneamente, adatte a fornire il supporto trasversale utile anche alle altre practice dello studio» In altre parole, il modello italiano dovrebbe ri­flettere il modello inglese. E in settori a forte voca­zione locale, come l’amministrativo, c’è ancora un gap culturale e linguistico tale da rendere il risulta­to più arduo da raggiungere. Nonostante i passi in avanti verso un approccio all’inglese fatti da studi e clienti italiani. «Istituzione di un opinion com­mittee e attività di business development sono due esempi di una struttura da noi adottata ben 17 anni fa», afferma. «Tale struttura veniva giudicata quasi negativamente, al limite snobbata, da diverse realtà locali. Oggi queste attività hanno maturato digni­tà all’interno di tutti i maggiori studi, anche locali, sintomo evidente che il modello ha fatto scuola».

Non tutti gli standard inglesi, però, attecchisco­no. In particolare, lo studio magic circle centellina col contagocce l’accesso alla partnership. Le ultime promozioni che hanno toccato l’Italia risalgono al 2011, con la nomina del giuslavorista Luca Capone

Lo scotto da pagare, comune a tanti studi inglesi, è quello di perdere l’expertise di chi sceglie di migrare in altre realtà in cui l’accesso alla partnership è più veloce. D’altra parte, però, se l’appartenenza a un modello governato da logiche rigorose, da un lato, limita alcuni percorsi di carriera, dall’altro è proprio lo stesso modello ‘ disciplinato’ che ha consentito a Freshfields di superare la crisi mettendo in campo un approccio di sistema. Gestire un’insegna con lo­giche globali, considerando tutti i professionisti par­te di un’unica struttura, permette non solo di non subire la crisi, ma addirittura di cavalcarla. È così che lo spauracchio globalizzazione riesce a trasfor­mare i costi in leva per aumentare la marginalità.

Articolo pubblicato in TopLegal febbraio 2014

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Allen & Overy, Freshfields Bruckhaus Deringer, Jones Day, Delfino Willkie Farr & Gallagher, Orrick Herrington & Sutcliffe MarcelloClarich, StefanoSennhauser, TommasoSalonico, MatteoOrsingher, MarioOrtu, NicolaBarra Caracciolo, LucaCapone, NicolaAsti, EmilianoConio, BrunoCastellini, FrancoCampomori, Cesare GiovanniVecchio Avio, General Electric, Cinven


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