Il mercato delle cartolarizzazioni non esiste più dall’inizio della crisi provocata dai mutui subprime. Riaprire tale mercato consentirebbe il potenziale smobilizzo di un tesoretto che vale miliardi. Secondo uno studio del Fondo Monetario internazionale - “A strategy for developing a Market for nonperforming loans in Italy” di Nadège Jassaude e Kennet Kang - dal 2008 i non-performing loans (Npl) in Italia sono cresciuti a un ritmo del 20% annuo raggiungendo l’ammontare di 333 miliardi di euro, pari al 24% del nostro Pil e al 16,8% del totale dei prestiti. Un tesoretto che, se smobilizzato, consentirebbe di iniettare liquidità nell’asfittico sistema economico-finanziario. Tanto che già nel 2014 Mario Draghi indicava alle banche italiane di percorrere questa via per recuperare capitale e mezzi per fare nuovi finanziamenti all’economia e alle imprese. Superando in tal modo l’anello debole della ripresa: a differenza degli Usa, i mercati dei capitali italiani sono meno orientati a finanziare tramite obbligazioni le imprese (i minibond non hanno certo risolto il problema), che sono dipendenti dal credito bancario. Le banche italiane hanno quindi maggiore bisogno di capitale perché non riescono a venire incontro alla domanda di prestiti da parte delle famiglie e delle imprese. La cartolarizzazione serve a questo. Paradossalmente, nonostante il “ritorno” delle cartolarizzazioni significhi un ritorno sul luogo del delitto - da dove la crisi ha preso le mosse - viene considerato dalle autorità finanziarie il mezzo per arginare il rischio di una nuova crisi.
Come sintetizzato a TopLegal da Raffaele Giovanni Rizzi, cofondatore di Rdr Law Firm, «a causa delle regole imposte dalla Banca Centrale Europea e attuate dalla Banca Italia, gli Npl impediscono alle banche di incrementare l'erogazione dei crediti causando un grave danno a tutto il sistema economico. La soluzione per far tornare a funzionare il meccanismo è tendenzialmente unica, ridurre la quantità di questi prestiti non performanti con la loro cessione ed effettuare un aumento di capitale che copra le eventuali perdite che tali cessioni comportano».
A spingere ulteriormente il settore è stata sicuramente la soluzione presentata dal governo, assieme alla commissione Europea, la Gacs (Garanzia sulla cartolarizzazione e sulle sofferenze), che ha rimarcato l’esigenza di una gestione sempre più innovativa e professionale dei crediti deteriorati che, all’interno di un circolo virtuoso, aiuti le banche a liberare i bilanci. A questo scopo è nato il fondo di investimento alternativo Atlante, sotto l’ombrello di Quaestio sgr e con una dotazione patrimoniale di 5 miliardi. Secondo Biagio Giacalone, responsabile capital solutions group di Banca IMI «da un lato il quadro regolamentare impone di ottimizzare la gestione dei crediti non performing, dall’altro lo schema di garanzie pubbliche e il potenziale intervento del Fondo Atlante rappresentano uno stimolo per le banche ad affrontare il mercato dei capitali e i potenziali investitori».
Crediti non performanti, crediti bloccati
L’Italia ha quindi iniziato il suo cammino per sviluppare il mercato degli Npl in tutto il suo potenziale. Un ingente volume di questi crediti arriverà sul mercato, portando con sé una maggiore domanda in termini di servizi. Tuttavia il mercato sembra ancora fermo, poche sono infatti le operazioni realizzate; tante invece quelle incompiute e abbandonate. Dinanzi a un mercato maturo sotto il punto di vista di domanda e offerta, la scarsa realizzazione di operazioni finalizzate a liberare i bilanci delle banche dipende soprattutto dal fattore prezzo e dall’asimmetria informativa che si riscontra in questo ambito.
Per chi gira la ruota
A beneficiare del ritorno degli Npl è tutta la filiera collegata. E, come prevedibile, la domanda di consulenza per gli studi legali è destinata ad aumentare. È sicuramente cresciuta l’esigenza di effettuare più analisi e di rafforzare i processi di due diligence dei portafogli che vengono venduti. Per rispondere alle esigenze di questo settore, gli studi hanno sviluppato un servizio a supporto dei clienti che integra diverse competenze ed expertise. Ma non c'è spazio per tutti. Lo stesso Giacalone afferma infatti che «a fronte di una crescente competitività saranno preferiti quegli studi con un buon track record sulle cartolarizzazioni e sulle operazioni di cessione di Npl, oltre che con una buona presenza a livello internazionale».
Non tutti gli studi sono strutturati in questo modo; né d’altronde - stando a quanto raccolto da TopLegal - è riscontrabile un concreto interesse a strutturarsi con nuovi dipartimenti ad hoc. Le caratteristiche del settore e degli interlocutori sommate alla mancanza di regole e standard ne determinano le possibilità, ma più marcatamente i limiti. Il mercato nato dall’esigenza di liberare il sistema creditizio dal peso degli Npl non è quindi un buon affare per tutti gli studi legali; così come non lo è per tutte le banche. Prima di attrezzarsi per trarne vantaggio serve maggiore chiarezza. O, come la crisi dei subprime ha insegnato, rischierebbe di generarsi una nuova bolla.
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