In presenza di un motivo di licenziamento oggettivo, ossia dovuto a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, incombe sul datore di lavoro l’obbligo di verificare la possibilità di una riutilizzazione proficua del lavoratore: c.d. obbligo di repêchage. Tale obbligo, di creazione giurisprudenziale, è divenuto nel tempo un elemento considerato indispensabile per la legittimità del licenziamento, comportando che, persino in situazione di sopravvenuta inidoneità fisica o psichica ovvero disabilità intervenuta, il datore di lavoro è tenuto a verificare la possibilità di reinsediare il dipendente all'interno dell'assetto organizzativo aziendale, assegnandogli mansioni compatibili con il suo stato di salute (Cass. 26675/2018 – più recentemente Ord. n. 31471/2023).
Va sottolineato che, in tali circostanze, il lavoratore potrà altresì essere adibito a mansioni inferiori. Già da tempo, la giurisprudenza ha, infatti, affermato che l’interesse alla conservazione del posto di lavoro dovesse prevalere sull’interesse al mantenimento della professionalità acquisita dal dipendente. Tale orientamento è stato confermato in seguito alla modifica dell’art. 2103 c.c., ammettendo espressamente il demansionamento, in particolare, a seguito dell’iniziativa unilaterale (nel caso in cui la modifica degli assetti organizzativi aziendali incida sulla posizione del lavoratore), oppure mediante accordo in sede protetta (qualora la modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione avvenga nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita).
A questo punto emerge con chiarezza come l’obbligo di repêchage, chiave per un processo decisionale giustificato e ponderato, si inserisca tra i presupposti di validità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tuttavia, è indispensabile rilevare che, nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, l’onere di repêchage trova comunque come limite “la ragionevolezza dell’operazione, che non deve comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero ampliamenti di organico o innovazioni strutturali non volute dall’imprenditore” (Cass. 31521/ 2019). Anche nel caso già menzionato della sopravvenuta inidoneità alle mansioni, il datore di lavoro dovrà essere in grado di dimostrare gli oneri sproporzionati di un’eventuale alternativa destinazione ad altro incarico dell’interessato, sia rispetto all’organizzazione aziendale ed alle sue risorse finanziarie, sia con riguardo alle posizioni lavorative degli altri lavoratori (Cass. 6497/2021).
Da ultimo, occorre segnalare la recentissima ordinanza n. 31561 del 13.11.2023, con la quale la Suprema Corte è tornata sul tema, ribadendo, innanzitutto, che spetta al datore di lavoro provare l’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che su questi incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili. Nello specifico, prima di intimare il licenziamento, il datore di lavoro è tenuto a ricercare possibili alternative occupazionali e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo nel caso in cui il lavoratore non accetti la soluzione alternativa. La Corte ha inoltre evidenziato che la diversità delle esperienze professionali rispetto alla posizione lavorativa disponibile in azienda può compromettere il principio in virtù del quale le energie lavorative del dipendente debbano essere utilmente impiegabili nelle mansioni alternative. Tuttavia, ciò non significa che si possa affidare al datore di lavoro la potestà di far operare la riallocazione su posto vacante secondo una sua valutazione meramente discrezionale, riservata e insindacabile, poiché ciò comporterebbe uno svuotamento dell'obbligo di ripescaggio da ogni suo contenuto normativo e prescrittivo. Infine, sempre secondo i giudici di legittimità, laddove si accerti che il datore di lavoro abbia proceduto ad una serie di assunzioni contestualmente o in prossimità del licenziamento, la verifica in ordine all’incapacità professionale del lavoratore di svolgere le mansioni, anche inferiori, deve essere effettuata in concreto. Tale verifica non può prescindere da un’attenta valutazione delle declaratorie contrattual-collettive. Secondo la Cassazione, invero, l’inquadramento contrattuale “costituisce un elemento che il giudice deve valutare per accertare in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado - sulla base di circostanze oggettivamente verificabili addotte dal datore ed avuto riguardo alla specifica formazione ed alla intera esperienza professionale del dipendente - di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nello stesso livello o in livello inferiore”.
In definitiva, il quadro esposto riflette una costante attenzione alla salvaguardia dell'occupazione e al bilanciamento degli interessi coinvolti, ponendo l'obbligo di repêchage quale ulteriore requisito verificabile al fine dell’intimazione legittima del licenziamento, ma al contempo, si sta tuttavia affermando l’auspicata necessità di considerarne l’applicabilità al caso concreto.
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