Nonostante alcune inaspettate dipartite, Jones Day ha allargato negli anni a ritmi costanti non solo il numero di soci e professionisti ma anche le practice, segno di un consolidamento nelle aree tradizionali di forza e di un’apertura verso i settori più caldi del mercato. Lo studio americano sta portando avanti una campagna acquisti che risale al 2007, intensificata a partire dal 2012 e che non sembra arrestarsi.
Negli ultimi tre anni il managing partner Marco Lombardi ha rinforzato: il contenzioso con Lamberto Schiona (arrivato da Gambino nel 2012), l’energy con Franco Lambertenghi (da Chiomenti nel 2012), e il private equity con Alessandro Corno (da Dla Piper nel 2014). Risale invece a poche settimane fa l’ingresso dei soci Piergiorgio Leofreddi e Vinicio Trombetti, provenienti da Simmons & Simmons e attivi nella finanza alternativa (obbligazioni e finanza strutturata), mentre per i prossimi 24 mesi il faro è posizionato in direzione Corporate Finance. E chissà che qualcosa non venga fatto anche in ambito Real Estate, una delle specializzazioni principali dello studio, a seguito della partenza alla metà di marzo dell’Of Counsel Giovanni M. Marini verso Ughi e Nunziante con la qualifica di partner.
Jones Day, che non è mai stato particolarmente vicino al mondo bancario, ha operato nel tempo una virata verso tale settore, inaugurando nel 2008 (dunque dopo sette anni dal suo sbarco in Italia) la practice di Banking & Finance. Da allora ha fatto sempre più attenzione a individuare le fonti di ricchezza prima ancora che gli sbocchi di investimento, aprendosi al Private Equity e adesso guardando al Corporate Finance. In quest’area ha già seguito: Citi e Citi Global Markets per la fusione di Fondiaria-Sai e Unipol; EDF nell’acquisizione di Delmi da Edison; Snam nell’acquisizione di Transport et Infrastructures Gaz France da Total; e, infine, Eni nell’acquisizione della francese Altergaz ( guidata dalla sede di Parigi).
«Oggi la grossa parte degli investimenti non proviene più dalle banche tradizionalmente concepite ma dagli investitori istituzionali. In più a livello corporate c’è molta liquidità in giro per il mondo, e tale ricchezza cerca un impiego redditizio», ha dichiarato Lombardi. L’accelerazione di questo fenomeno, prima ancora che all’interno dello studio, è avvenuta nel mercato. La practice italiana di Jones Day si è solo messa in scia di questo cambiamento, implementando nel Belpaese delle decisioni strategiche prese a livello globale, sperimentate prima da sedi di maggior peso a livello europeo come Londra e Parigi e poi assunte anche a Milano.
L’insegna americana, che conta oggi 41 uffici sparsi nel mondo, si presenta infatti come una realtà integrata e rigetta l’etichetta del network. «Siamo l’antitesi del franchising», afferma il managing partner italiano, che ogni tre mesi incontra i colleghi del Board europeo con cui condivide le strategie. «Solidarietà interna», «modello unitario», «integrazione amministrativa anche in tema di conflitti» sono le parole chiave per Lombardi, che per trovare un esempio simile cita l’esperienza della prima Arthur Andersen, una partnership dalle caratteristiche definite indipendentemente dai Paesi in cui operava. In effetti il managing partner conferma che una forte della «filiale» italiana è venuta dal far parte di un’organizzazione sovranazionale che ha portato costantemente lavoro. «Storicamente la componente non locale vale almeno la metà del totale e ci ha consentito di ottenere delle quote di mercato a volte in controtendenza rispetto ai competitor».
Oggi lo studio conta 40 professionisti e, oltre a Lombardi, 12 soci. Ben otto di questi provengono da lateral effettuati negli ultimi otto anni e dunque il modello di business appare caratterizzato da due elementi: i lavori provenienti dall’estero e quelli introdotti dalle relazioni dirette dei soci. Il respiro internazionale, pur generando fatturato, ha finora mantenuto basso il profilo della sede italiana, ma le cose nel prossimo futuro potrebbero cambiare. « La ragnatela di relazioni e la massa critica stanno crescendo», afferma Lombardi, che nei prossimi 24 mesi punta a gestire l’integrazione degli ultimi ingressi e a riequilibrare crescita interna ed esterna. Tale necessità potrebbe rappresentare anche l’occasione per iniziare a lavorare su un altro riequilibrio: quello della parità di genere. Attualmente i partner sono esclusivamente uomini e tra i papabili per allargare il novero dei soci ci sono in prima fila proprio le professioniste dello studio.
Nel frattempo lo studio americano ha visto uscire sempre verso Ughi e Nunziante (come socia) proprio una delle associate di più lungo corso, Afra Mantoni, operante in Jones Day dal 2004 ed esperta in pratiche di protezione dei dati e implementazione di procedure di compliance.
Jones Day