Dalla commodity al costo: il percorso è obbligatorio. La battuta riepiloga l’evoluzione del dibattito che da tre anni mette a confronto l’establishment del mondo legale tramite l’appuntamento annuale del TopLegal Summit. Le edizioni precedenti del Summit hanno fatto emergere due principali criticità collegate fra loro che si sono manifestate progressivamente negli ultimi anni. La prima riguarda la percezione di un numero sempre più crescente di servizi legali come commodity, termine che sintetizza la forza dei cambiamenti avvenuti con la crisi e che ha capovolto il rapporto fra consulente e cliente rafforzando notevolmente il potere contrattuale delle direzioni legali. La seconda verte sulla tensione sui costi dei servizi legali che ha fatto emergere tutta la disarticolazione tra domanda e offerta.
L’ultimo Summit tenutosi a Milano lo scorso 28 maggio, dal titolo « Nuovi modelli di partenariato: superare la barriera dei costi fissi », si è posto l’obiettivo di ragionare sulla possibile convergenza degli interessi di consulenti e clienti su un obiettivo comune. In particolare, è stata sondata la possibilità di razionalizzare i costi attraverso nuovi modelli di partenariato fondati sul valore dei servizi e sui rapporti strategici tra cliente e consulente.
Costi, efficienze e valori
Dalle due tavole rotonde, è emerso un quadro complesso perché, in realtà, la partita attuale si gioca solo in parte intorno ai costi. Non sorprende che siano stati gli studi legali a mettere in discussione per prima la focalizzazione sul costo durante il dibattito, adducendo che il valore del servizio legale non equivale al taglio dei costi. Anche i clienti hanno dubbi sull’inseguimento di una politica esclusivamente finalizzata sul taglio dei costi, ma per il motivo opposto: perché spesso mettono in dubbio il presunto valore del servizio offerto. I General counsel ribadiscono che non guardano soltanto ai costi ma ad altri requisiti che nulla c’entrano con l’abbassamento dei costi – la competenza, il rispetto dei tempi e dei budget, per esempio – nonché al valore aggiunto, sebbene ritengono che il valore abbia ora assunto una forma nuova che gli studi legali fanno fatica a riconoscere (si veda box). Nonostante questa presa di posizione da parte dei clienti, i dati dimostrano che i cambiamenti registrati nel rapporto con i consulenti esterni sono avvenuti quasi esclusivamente sul piano dell’abbassamento delle parcelle. Per di più, nel deficit di soddisfazione generato dalle aspettative dei clienti di fronte alle prestazioni dei consulenti esterni, continua a manifestarsi un disallineamento tra domanda e offerta. Le soluzioni a favore di una maggiore efficienza fornite dai responsabili legali, nonché dalle loro controparti a capo degli studi legali tra i più influenti in Italia, si sono articolate nella loro triplice forma: primo, la volontà da entrambe le parti ad abbassare o rendere variabili i costi di produzione; secondo, l’aumento dell’efficienza e della produttività attraverso processi di lavoro innovativi; infine, l’allineamento del modello di business dello studio a quello del cliente.
Lo sforzo di incidere sui costi fissi per renderli più variabili rappresenta un tentativo nuovo, e gli spazi in questo ambito sembrano piuttosto limitati. Per le direzioni, come anche per gli studi legali, si tratta di intervenire sulla forza lavoro, ad esempio, sperimentando forme di collaborazione alternative e politiche di esternalizzazione. Sul fronte dell’efficienza i margini di miglioramento sono molto più ampi; fatto riconosciuto dagli stessi studi legali che hanno ammesso che in passato ci sono stati sprechi e che si possa migliorare il costo di produzione senza tagli lineari. In questo ambito si cercano soluzioni informatiche e tecnologiche ma queste talvolta riscontrano resistenze culturali da parte dei professionisti. Infine, la richiesta agli studi legali da parte dei clienti di allineare la loro struttura ed operatività agli interessi dei propri assistiti verte sulla condivisione non solo del business model ma anche dei valori etici e di governance, fattore fondamentale per fare collimare l’offerta con la domanda.
Un contesto difficile
Le tre proposte del Summit sono emerse da un contesto preciso di mercato delineato nella presentazione di apertura. Se la sfida dell’efficienza si è posta con insistenza per gli studi legali a partire dalla crisi, ora riguarda sempre di più anche le direzioni legali. Il Summit ha confermato le conclusioni della recente ricerca del Centro Studi TopLegal ( pubblicata in sintesi sul numero di maggio, ndr) che ha sondato circa 90 direzioni legali su squadre, carico di lavoro e budget. La politica di autonomia ed autogestione delle direzioni legali attraverso l’espansione interna sembra ora aver raggiunto il proprio limite. In passato l’ampliamento delle direzioni più evolute ha avuto per riflesso la riduzione della spesa legale; ora, la politica di assunzioni costante è giunta al termine e, di fronte al continuo aumento del lavoro, il numero di risorse interne e i budget registrano un sostanziale stallo. Questa tendenza è trasversale a tutte le aziende a cui viene imposto l’imperativo di gestire una crescita ininterrotta con la contrazione dei costi.
Per quadrare queste esigenze, bisogna aumentare i margini di efficienza e di innovazione, discorso che vale ancora di più per gli studi legali, i quali hanno subito negli ultimi cinque anni una ristrutturazione interna notevole e che sta generando controindicazioni strutturali serie per il lungo termine. Secondo i General counsel, interpellati da TopLegal per indicare i modi in cui sono state introdotte innovazioni nell’approccio dei consulenti esterni, gli studi sono intervenuti quasi esclusivamente sul piano dei costi – principalmente attraverso l’uso delle parcelle alternative – e molto meno sul lato dei servizi (si veda la Tabella 1). Si potrebbe quindi concludere che il rapporto consulente/cliente stia continuando a correre sull’unico filo del prezzo con conseguenze importanti per gli studi.
In un mondo ideale, i compensi alternativi fungerebbero da driver all’innovazione perché richiedono per necessità una riflessione sull’intera attività dello studio. Vanno ponderati, per esempio, l’organizzazione interna del lavoro ( le risorse, i processi di lavoro, le soluzioni tecnologiche), la prestazioni dei singoli soci, la capacità di cross- selling, fino all’istituzionalizzazione del cliente. Ma il dubbio è che nel braccio di ferro sui budget, gli studi abbiano semplicemente fatto un passo indietro. Tale esito sarebbe il peggiore di tutti i mondi possibili perché significherebbe minori ricavi senza maggiori efficienze. In questo caso, la tensione sul prezzo non sarebbe affatto superata ma si tratterebbe di una mossa di retroguardia di fronte alla necessità. Si passa semplicemente dallo scontro sul prezzo allo sconto.
Questa conclusione trae conferma da due ulteriori fattori. Innanzitutto, il parere degli stessi General counsel che sottolineano come l’abbassamento dei costi arrivino quasi sempre su richiesta del cliente piuttosto che per iniziativa degli studi. Per di più, le analisi di TopLegal sulle compagini e i fatturati dei primi 25 studi legali per fatturato in Italia (si veda TopLegal, numero di giugno, ndr.) fanno emergere il proseguimento di una ristrutturazione interna quasi a senso unico. Nel 2008, le squadre degli studi raggiungono il numero massimo (3.544 professionisti), ma l’anno successivo, quando la crisi si fa sentire nel mercato legale italiano, si inverte la tendenza di crescita e si inizia a decurtare le compagini. Nel 2013, il totale dei professionisti nei primi 25 studi si attesta a 2.717, mentre la leva equity media si è accorciata di quasi un terzo. A pagare sono gli associate e, ultimamente, i salary partner; al contrario, il ristretto circolo di soci equity ha continuato la sua crescita sostenuta senza contraccolpi, aumentando del 12% nel periodo di riferimento ( Tabella 2).
Che la ristrutturazione e la riduzione delle parcelle non abbiano portato ad una maggiore efficienza lo dimostra l’incrocio dei dati ufficiali aggiornati sulle compagini e i fatturati degli studi ( Tabella 3). Il quadro è preoccupante: emerge sempre di più una struttura da piramide rovesciata con uno sbilanciamento di seniority rispetto alle reali esigenze. Inoltre, lo snellimento delle compagini non è avvenuto per una strategia che punta su servizi di alto valore aggiunto ed una maggiore redditività dello studio. Al contrario, mentre i fatturati rimangono sostanzialmente fermi, diminuiscono gli utili e le insegne sono diventate meno redditizie.
Le proposte innovative
Partendo da questo contesto difficile, e chiamati a confrontarsi sulla necessità di innovare nuove modalità per rendere variabili i costi fissi ed istituire nuove efficienze, direzioni e studi legali hanno proposto varie soluzioni organizzative ed operative.
Sul piano della forza lavoro, le direzioni legali stanno già sperimentando nuove forme di collaborazione. In testa alle proposte sono gli avvocati a contratto, privilegiati soprattutto dalle piccole e medie imprese italiane. Per entrambi clienti e studi legali, costituisce un’altra soluzione alternativa importante per gestire le squadre il secondment – con tutte le riserve degli studi per questa « arma a doppio taglio », perché dedicare al cliente le migliori risorse significa depotenziare la squadra. Insieme all’esternalizzazione delle attività commodity, si è inoltre auspicato il possibile allargamento dell’esternalizzazione per fare confluire anche intere squadre di professionisti in-house verso lo studio legale di riferimento.
Altre proposte di innovazione nei processi di lavoro hanno riguardato la maggiore implementazione di sistemi gestionali e informatici. Tra questi, l’introduzione del project management per evitare duplicazioni di attività o per eliminare attività non rilevanti, nonché i sistemi di e-billing e di reportistica per l’elaborazione centralizzata dei documenti e l’ottimizzazione dell’accesso e della distribuzione delle conoscenze. Se da un lato, come affermano gli studi legali, l’interscambio con i clienti più sofisticati aumenta la possibilità di efficienza, dall’altro un limite culturale ha finora impedito l’evoluzione di un rapporto più efficiente con i clienti. Un freno alla diffusione del knowlegde management sorge nella resistenza ancora diffusa di professionisti restii alla condivisione delle conoscenze. Analogamente, l’espansione della figura del client relationship manager sarà impedita fin quando prevale l’atteggiamento tra i professionisti che il cliente appartiene al singolo socio e non allo studio.
Ma il passo più significativo verso l’efficienza riguarda l’allineamento dei modelli di business dell’azienda e dello studio legale. Gli studi sono chiamati a rispecchiare nella loro struttura e nelle loro politiche gestionali il modello e i valori dei propri clienti. Mentre i General counsel hanno sottolineato che le scelte di politica retributiva interna dello studio non li riguardano, hanno per contro insistito che gli studi dovrebbero assumersi la responsabilità di gestire i propri affari in base alle esigenze dei loro clienti. Oltre all’efficienza gestionale, entra in gioco nel discorso sull’innovazione la capacità di creare il valore umano e sociale. Per le multinazionali e altri clienti italiani più esposti alle correnti culturali più all’avanguardia, non può essere irrilevante ai fini di selezionare un consulente esterno le politiche di genere dello studio, soprattutto il numero di soci equity donne. Vanno valutati anche l’impegno a favore della responsabilità sociale d’impresa ( corporate social responsibility), nonché il modo in cui vengono trattati i collaboratori. Come dire, il plusvalore economico dello studio legale si costruisce anche attraverso il rinnovo socio-valoriale.
TopLegal Summit: le buone notizie
Niente tagli lineari: le porte ai mandati sono aperte. Basta solo saperci entrare
Durante le due tavole rotonde della terza edizione del TopLegal Summit sono emersi diversi spunti di riflessione nonché, come si poteva aspettare dalla trasversalità degli interventi, una diversità di posizioni. Sulle best practice attinenti al rapporto tra cliente e consulente esterno, sebbene sia mancato per certi aspetti un consenso tra i direttori legali, tuttavia sono emerse visioni che nel loro insieme saranno alquanto incoraggianti per gli studi legali.
Secondo Brian Sheridan, General counsel di Sorin, la buona notizia è che gli studi non dovrebbero temere i tagli lineari alla spesa legale. Meglio ancora: come tutti i suoi colleghi, sostiene Sheridan, Sorin è ancora disposto a pagare per la qualità e il valore. La spesa legale destinata agli studi legali in Italia della multinazionale biomedicale si attesta attorno ai 2 e 4 milioni di euro annui. In ciascuno degli anni di crisi economica, ha affermato Sheridan, Sorin ha speso cifre pari o superiori rispetto agli anni pre- crisi. Purtroppo c’è anche una cattiva notizia: ciò che i General counsel intendono oggi per qualità e valore si è evoluto, e nella prospettiva di questa trasformazione non tutti gli studi sono competitivi. Secondo Sheridan, bastano competenza, il rispetto dei budget e soprattutto la tempestività. L’asticella per gli studi legali, insiste Sheridan, è piuttosto bassa, lasciando intendere che ciononostante pochi consulenti esterni riescono ad aggiudicarsi la piena soddisfazione di Sorin.
Mentre per Sorin spetterebbe allo studio e non alla direzione, gestire i propri affari in base alle necessità dei clienti, da Snam arriva un altro messaggio altrettanto rasicurante per gli studi esterni che temono i tagli lineari alla spesa legale. Alla direzione legale capeggiata da Marco Reggiani interessa poco la struttura dello studio e le sue geometrie e gerarchie interne. L’importante è che la direzione legale non scarichi sugli studi legali la responsabilità di fare quadrare gli obbiettivi aziendali con la riduzione del budget. In altre parole, il General counsel ha l’arduo compito di raggiungere la sostenibilità evitando semplicemente di trasmettere allo studio legale i meccanismi dei tagli imposti dall’azienda. Al contrario, ha sostenuto Reggiani, il General counsel deve farsi carico della gestione della propria spesa per facilitare il rapporto con il consulente esterno evitando il gioco di forza.
LA COMPRENSIONE CHE MANCA
Il divario tra studi e clienti sull’accezione di valore ancora esiste. Eppure è sul valore che si gioca la sfida per la costruzione di partenariati strategici. Un tempo sordi rispetto alle rispettive esigenze, oggi direzioni e studi legali cercano il modo di ottimizzare le efficienze interne senza andare a discapito dell’altro
Variabilizzare i costi fissi per cercare una maggiore efficienza nella dialettica tra domanda e offerta. È stato questo il tema al centro del terzo appuntamento con il TopLegal Summit. Dal dibattito è emersa con forza una certezza: studi e direzioni legali vanno verso nuovi modelli. Eppure, la ricerca di una strada comune non è cosa facile da trovare. Nel corso del Summit 2014, advisor e clienti hanno riflettuto su cosa dovrà cambiare e come affinché tra loro possa instaurarsi un rapporto strategico, una soluzione auspicabile anche in funzione del raggiungimento di una maggiore efficienza economica. Nonostante gli obiettivi dei due attori del mercato legale sembrino in parte disallineati – poiché entrambi sono ancora vincolati all’ottimizzazione delle rispettive efficienze interne – dal Summit è apparsa chiara la necessità di mettere a punto strumenti per valutare la reciproca soddisfazione. Un passo importante, che getta un ponte verso la costruzione di un rapporto in cui nessuna delle due parti si senta defraudata dall’altra. Soprattutto, un passo in cui il fattore costo rientra solo marginalmente. Per quanto la tensione sul prezzo negli ultimi anni sia stata individuata come una delle maggiori criticità nell’incontro tra domanda e offerta, il Summit ha sdoganato la questione. Studi e clienti sono d’accordo: abbattere i costi si può e si deve. A riguardo, nessuno dei partecipanti alle due tavole rotonde ha sollevato il minimo dubbio. Ma agire sui costi non basta: bisogna costruire forme di partenariato strategico.
“ Ripensare il modello di studio legale”, è stato questo il focus della prima tavola rotonda, moderata da Patrizio Messina, managing partner di Orrick Herrington & Sutcliffe. Il dibattito ha visto la partecipazione di Marco Reggiani, General counsel di Snam; Brian Sheridan, General counsel di Sorin; Angelo Bonissoni, managing partner di Cba studio legale e tributario; Francesco Gianni, name partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners; e Franco Toffoletto, presidente e managing partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci. Utilizzare maggiormente gli strumenti tecnologici, creare forme di outsourcing interno con team preposti alla gestione delle pratiche standardizzate, produrre il servizio evitando sprechi e allocando meglio le risorse. Sono queste alcune delle soluzioni proposte per rendere più efficienti gli studi legali. Tutte soluzioni che certamente comportano anche una migliore allocazione del budget, con ripercussioni significative sul costo del servizio.
Ma non è il costo il punto principale in questione. Almeno non secondo i General counsel. Pur ammettendo tutti che il taglio alle spese legali è innegabile, altrettanto fermamente è stata rimarcata l’importanza della qualità e del valore aggiunto. Due “ beni” per cui i clienti sono ancora disposti a pagare. D’altronde, sono i clienti a decidere come allocare le risorse. Così, di pari passo con l’incremento di funzioni e autonomia all’interno delle aziende, le direzioni affari legali devono evolvere: raggiungendo una maggiore responsabilizzazione rispetto agli obiettivi di spesa, si evita di trasferire il problema dei tagli al budget sugli studi.
È, quindi, necessario “ Ripensare il modello di direzione legale”: avere come cliente un soggetto sofisticato, organizzato secondo una struttura aggregata e non dispersiva della funzione legale e responsabilizzato rispetto alla gestione del budget aiuta lo studio a essere più efficiente. È questo il messaggio fondamentale emerso dalla seconda tavola rotonda, moderata da Stefano Simontacchi, co- managing partner di Bonelli Erede Pappalardo. A partecipare al dibattito: Stefano Ceccacci, Head of group tax affairs di Unicredit; Gloria Dagnini, Senior vice president corporate legal area di Eni; Domenico Fanuele, managing partner di Shearman & Sterling; Agostino Nuzzolo, Direttore affari legali e fiscali di Italcementi; e Galileo Pozzoli, managing partner di Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle.
Se le direzioni affari legali ragionassero esclusivamente in base alla logica del prezzo, si rischierebbe di confondere servizi fungibili e servizi a valore aggiunto. Ma così non è. I clienti non sono interessati tanto agli sconti, quanto alla ricerca di partenariati strategici, che riguardino sia la parte economica sia la parte non economica. Sono state tante le proposte emerse durante il dibattito: un numero di secondment ogni anno; accesso alle risorse di knowledge management da parte del dipartimento legale; corsi e seminari di aggiornamento per gli inhouse; sconti progressivi per volume di lavoro; abort fee e lavoro non- billable.
Ma il nocciolo della questione si riduce a una domanda: il mercato italiano offre le condizioni necessarie per istituzionalizzare un rapporto strategico fra domanda e offerta? Dal Summit è risultato chiaro che, innegabilmente, c’è ancora un divario tra quello che cercano le aziende e quello che dicono gli studi su ciò che viene percepito come valore. Tuttavia, è stato lanciato anche un segnale positivo in questa direzione: studi e clienti non sono più sordi di fronte alle esigenze dell’altro e per la prima volta sono tutti concordi nel ritenere fondamentale implementare meccanismi per giungere ad una reciproca soddisfazione. Perché solo così si possono instaurare forme sostenibili di partenariato.
PATRIZIO MESSINA ORRICK HERRINGTON & SUTCLIFFE
L’insourcing per ottimizzare i costi degli studi
Per abbattere i costi lo studio può agire sull’organizzazione interna e sulla distribuzione del lavoro. Patrizio Messina, managing partner di Orrick Herrington & Sutcliffe, porta l’esempio della stessa law firm americana, pioniere nella costituzione nell’ormai lontano 2002 di un Global Operation Center (Goc) a Wheeling, in West Virginia. «Quando ho fatto il mio ingresso in Orrick, io stesso ho imparato ad apprezzarne l’estrema utilità», sottolinea Messina. Il Goc è il fulcro da cui viene gestito il lavoro routinario e standardizzato e fornisce supporto a tutte le sedi di Orrick nel mondo. Non solo: Wheeling è casa dei client services team. Team chiave che gestisce tutto il knowledge management dell’insegna dal West Virginia. Così, i clienti dello studio possono accedere ventiquattr’ore su ventiquattro alla banca dati giuridica, ai sistemi di conformità, alla tecnologia di rilevazione, all’analisi dei dati e alla revisione dei documenti. Efficienza e insourcing che Orrick stima abbia fatto generare un risparmio tra i 10 e i 15 milioni di dollari all’anno, principalmente a causa dei salari e delle spese immobiliari notevolmente più bassi di quelli che si pagherebbero in una grande città metropolitana.
Secondo Messina, «l’esempio di insourcing fatto da Orrick rimane abbastanza unico nel panorama legale internazionale, ma fa capire che raggiungere forme di efficientamento interno certamente si può, a tutto vantaggio del rapporto con i clienti».
ANGELO BONISSONI CBA
L’efficienza del servizio passa dalla reciprocità
Andare oltre la questione dei costi e comprendere se c’è mutua soddisfazione. Facile a dirsi, ma non a farsi. L’assenza di comunicazione tra advisor e clienti comporta troppo spesso la mancanza di una reale contezza sui risultati ottenuti dal consulente esterno rispetto alle aspettative attese dalla direzione affari legali. È così che, secondo Angelo Bonissoni, managing partner di Cba, « l’obiettivo che dovrebbe porsi ogni studio è quello di imparare a capire le reali esigenze del mercato e dei clienti attraverso l’utilizzo costante dei follow up ». A detta di Bonissoni, infatti, sarebbe utile un sistema di valutazione e misurazione costante della reciproca soddisfazione. Là dove l’elemento chiave risiede proprio nella reciprocità.
Il rapporto tra domanda e offerta, infatti, non può esaurirsi in una mera valutazione dell’operato dello studio.
In linea con quanto sottolineato dal General counsel di Snam, Marco Reggiani, anche Bonissoni concorda sulla necessità di una maggiore responsabilizzazione delle direzioni affari legali, che vada di pari passo con l’aumento del ruolo attivo di queste all’interno dell’azienda e la crescita di autonomia rispetto all’advisor esterno. «Solo così – afferma Bonissoni – si può arrivare a un’efficacia ed efficienza del servizio».
STEFANO CECCACCI UNICREDIT
Qualità: il mercato non può essere preso in giro
La pressione sul prezzo non è ovunque.
Fatto che non bisognerebbe mai perdere di vista secondo Stefano Ceccacci, Head of Group Tax Affairs di Unicredit, intervenuto al dibattito come portatore di un’esperienza che taglia trasversalmente private practice e azienda, data la sua lunga permanenza nello studio Maisto. Ceccacci distingue nettamente tra lavoro a bassa qualità, da una parte, e lavoro a valore aggiunto dall’altra. Nel primo caso per la selezione dell’advisor sarà sufficiente la funzione procurement e cost management aziendale, là dove effettivamente l’elemento discriminante è dato dal prezzo; nel secondo caso, invece, subentrano i rapporti fiduciari (« terreno da gioco per il vero rainmaker »). Anche se, precisa, « chi sceglie l’advisor esterno dovrebbe poi essere pronto ad assumersi il rischio di uscire dai normali percorsi, approcciando e lasciandosi approcciare da consulenti terzi ». Sulle pratiche in cui gioca un ruolo fondamentale il valore aggiunto, « il prezzo certo deve essere elastico, ma non è quello il quid ». L’unica discriminante diventa la qualità ed è proprio la qualità a fare una prima selezione dei possibili interlocutori esterni. « La qualità – conclude Ceccacci – è qualcosa che non si può fingere. Il mercato non può essere preso in giro ».
GLORIA DAGNINI ENI
Per gli in house più lavoro e meno risorse
La contrazione e il contenimento dei costi c’è, è innegabile. A confermarlo è Gloria Dagnini, Senior vice president corporate legal area di Eni. Una contrazione le cui ripercussioni non ricadono soltanto sugli advisor legali esterni ma coinvolgono in prima istanza la stessa direzione affari legali di Eni che comprende circa 300 professionisti tra Italia e sedi estere. «Fino all’anno scorso – spiega Dagnini, confermando un’indagine di TopLegal sulle direzioni legali in Italia – c’era una politica di assunzioni costante. Da quest’anno, nonostante il volume di lavoro sia in aumento, soprattutto nelle tematiche attinenti compliance e penale, la campagna acquisti ha subito una battuta d’arresto». Ne deriva che con le stesse risorse – l’8% delle quali proviene da secondment o altre forme alternative di collaborazione – va gestito più lavoro. Per farlo serve aumentare l’efficienza. La riorganizzazione interna della direzione affari legali affonda le radici nel 2006, e ha portato alla costituzione di quattro direzioni che fanno capo al General counsel Massimo Mantovani. La direzione ha agito su un duplice fronte: ha potenziato le competenze interne sulle aree trasversali al business, mentre ha esternalizzato molte attività seriali. Sul fronte esterno, monitora in maniera metodica la consulenza esterna ricevuta attraverso un sistema di feedback. «Solo così la direzione può aumentare le probabilità di allocare in maniera ottimale il budget dedicato agli advisor».
DOMENICO FANUELE SHEARMAN & STERLING
Per creare partnership servono clienti sofisticati
Il partenariato tra advisor e clienti non deve ridursi alla flessione delle fee. Shearman & Sterling, come rivelato dal managing partner Domenico Fanuele, ha un numero significativo di contratti con i suoi maggiori clienti che regolano un ampio spettro di rapporti. La parte non economica prevede: un numero stabilito di secondment ogni anno; accesso alle risorse di knowledge management da parte del dipartimento legale; corsi e seminari di aggiornamento in-house. Quella economica, invece, consente il congelamento del costo delle ore billabili per anni; sconti progressivi per volume di lavoro; sconti per operazioni non di successo pre-concordate e lavoro non-billable. Certo, come sottolinea Fanuele, queste soluzioni richiedono avere come cliente «un soggetto sofisticato in grado di capire dove ed entro quali limiti può essere chiesta flessibilità agli studi». Significativa, in tal senso, è la strada percorsa da molte grandi multinazionali, che stanno tentando di efficientare gestione e controllo delle parcelle attraverso sistemi di e-billing, «arrivando attraverso l’armonizzazione della reportistica a una maggiore comprensione della parcella stessa». Mentre, sul fronte del controllo dei costi esterni, si sta diffondendo la disaggregazione ( unbundling) dei servizi legali, affidati a vari studi che per la singola parte possono essere più economici. Un trend che potrebbe portare le law firm di prima fascia a stanziarsi solo sulla parte alta della curva del valore.
FRANCESCO GIANNI - GIANNI ORIGONI GRIPPO CAPPELLI & PARTNERS
La leva bassa degli studi crea valore
Gli studi italiani sono stati abituati a produrre con qualche spreco. A sdoganare questo punto cruciale per la ridefinizione del costo del servizio è Francesco Gianni, senior partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners. «In Italia – sottolinea – si può raggiungere una maggiore efficienza del costo di produzione semplicemente allocando meglio le risorse». Quindi, per gli studi diventa fondamentale compiere un’analisi interna che tocchi modello e struttura dell’insegna. È partendo da questo scenario che si possono leggere, secondo Gianni, alcune delle tendenze del mercato legale che hanno caratterizzato gli ultimi anni del suo sviluppo. Come emerso nel corso dell’indagine annuale condotta da TopLegal sui bilanci delle insegne, relativamente alla composizione delle squadre, la leva dal 2008 ha subito una flessione del 32%. Il dato – a detta di Gianni – non va letto come un taglio lineare ai costi, ma come frutto del bisogno, espresso più volte dai clienti, di dialogare con team esterni dotati di una maggiore seniority. Quindi, la riduzione della leva risponde a un’esigenza di maggiore efficienza strutturale rispetto alle richieste della domanda, che non è più pronta a sobbarcarsi il costo di una sovrastrutturazione degli studi. E anche questo, secondo Gianni, è uno di quei processi che contribuiscono alla creazione di valore per i clienti.
AGOSTINO NUZZOLO ITALCEMENTI
Per un rapporto win-win serve la reciproca conoscenza
Il problema budget esiste. Non usa mezzi termini né giri di parole Agostino Nuzzolo, Direttore affari legali e fiscali di Italcementi. Ma il problema, ancora una volta, non riguarda soltanto il rapporto con gli studi legali, ma in primis la stessa direzione affari legali interna. «In Italcementi – commenta – dopo la crisi abbiamo iniziato un percorso di riorganizzazione per cercare di rendere le aree legali meno dispersive». Nella direzione legale, infatti, fino a non molto tempo fa, erano presenti funzioni separate per linee di business. Invece, cercare una maggiore efficienza interna e mettere a raccordo tutte le aree è stata, a detta di Nuzzolo, la prima arma a disposizione per ammortizzare anche i problemi legati alla ristrutturazione dei costi e alle inefficienze interne. Agire internamente, però, da solo non basta. È così che diventa fondamentale scegliere dei consulenti esterni con cui instaurare un rapporto continuativo basato sulla fiducia e sulla comprensione delle reciproche esigenze di business. «Come in ogni rapporto, anche nella dialettica tra advisor e clienti è fondamentale parlare e confrontarsi, perché solo confrontandosi ci si può conoscere», afferma Nuzzolo, aggiungendo che «solo attraverso la circolazione di informazioni ed idee si possono gettare le basi per una collaborazione win-win, in cui nessuna delle due parti si senta defraudata dall’altra».
GALILEO POZZOLI CURTIS MALLET PRÉVOST COLT & MOSLE
Il risparmio sui costi a volte porta a scelte non convenienti al business
Le direzioni affari legali si stanno sofisticando, secondo Galileo Pozzoli, managing partner di Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle. «Anche in soggetti come i fondi sovrani che prima non avevano uffici legali; adesso – commenta – noto la comparsa della funzione legale, strutturata per permettere ai fondi di interfacciarsi meglio con gli studi». Il cambiamento si snoda in tre direzioni: l’efficienza verso gli stakeholder interni; nell’organizzazione interna; e nel rapporto con gli studi. A volte, però, queste tre istanze si pongono in conflitto, soprattutto quando entra in gioco il fattore economico. Infatti, la ricerca dell’efficienza di natura economica, secondo Pozzoli, non sempre consente alle direzioni affari legali di prendere la decisione più conveniente per il business. «In ragione di un immediato risparmio di costi a volte vengono operate le scelte sbagliate». A fornire un esempio lo stesso Pozzoli: «Mi è capitata la situazione in cui, pur di non richiedere un parere preventivo, che avrebbe comportato un costo aggiuntivo rispetto al budget, si sono fatte scelte che poi, in effetti, hanno dato luogo a costi nettamente maggiori derivanti dall’intervento riparatore successivo». Tutto nasce spesso dall’assenza di dialogo e fiducia tra le due parti. Advisor e clienti dovrebbero dialogare di più e, per farlo, potrebbe essere utile l’istituzione di un client relationship manager dedicato, figura presente già da qualche tempo negli studi newyorkesi.
MARCO REGGIANI SNAM
La gestione del budget non va trasferita agli studi
I costi vanno ridotti, ma deve essere il General counsel a pianificare l’allocazione delle risorse a sua disposizione. Il messaggio è chiaro: ci deve essere una maggiore responsabilizzazione della direzione affari legali, perché a pianificare la gestione del budget è il General counsel e non il legale esterno. Un messaggio positivo per gli studi, quello lanciato da Marco Reggiani, General counsel di Snam, che va dritto al nocciolo della questione. « Il General counsel è in primo luogo colui che gestisce il rischio legale – sottolinea – e, di conseguenza, è il General counsel a doversi fare carico della gestione della propria spesa, senza scaricare sugli studi legali la responsabilità di far quadrare gli obbiettivi aziendali che, specie in periodi di crisi, puntano alla riduzione del budget ». In altre parole, il General counsel ha l’arduo compito di raggiungere la sostenibilità dei costi evitando di trasferire “tout court” sullo studio legale esterno gli effetti dei meccanismi dei tagli lineari eventualmente decisi dall’azienda. « E l’unico modo per farlo è regolamentare la scelta dello studio legale esterno, adottando dei criteri oggettivi », sottolinea. È per tale motivo che Snam ha elaborato uno strumento di vendor management che, applicando criteri di valutazione oggettiva dei risultati conseguiti in precedenza dai legali esterni, è in grado di supportare i legali interni nell’affidamento di nuovi incarichi.
BRIAN SHERIDAN SORIN
Il valore è scollato dal costo
Sono tre i requisiti richiesti agli advisor esterni da Sorin: competenza, rispetto dei tempi e rispetto del budget. « Degli standard abbastanza bassi », li definisce il General counsel del gruppo, Brian Sheridan. « Eppure – sottolinea – nove studi su dieci non sono in grado di soddisfare contemporaneamente tutti e tre questi parametri ». Come si inserisce in questa dialettica il fattore costo del servizio? Solo marginalmente.
Sheridan, infatti, è fermo nel rimarcare che nessun General counsel guarda soltanto ai costi, ma ricerca il valore aggiunto del servizio, tanto che « nessuno dei tre requisiti richiesti ai professionisti esterni da Sorin ha nulla a che vedere con l’abbassamento dei costi ». Il punto, allora, è che rispetto al passato, oggi, le direzioni affari legali hanno alzato l’asticella che parametra la loro definizione di valore; « ma per quel valore siamo pronti a spendere », aggiunge il General counsel. Un esempio di servizio a valore aggiunto è lo stesso Sheridan a fornirlo, ricordando i problemi avuti da Sorin al proprio stabilimento produttivo situato a Mirandola, a seguito degli eventi sismici del maggio 2012 che hanno colpito il territorio dell’Emilia-Romagna. «Uno studio legale si offrì di curare tutti gli aspetti del ripristino dello stabilimento pro bono. Quello studio ha dimostrato di essere realmente un nostro partner e così si è guadagnato nel futuro prossimo la consulenza al nostro fianco ».
BRIAN SHERIDAN - SORIN
L’accezione di valore deve essere condivisa
La prima fonte di discrasia nella dialettica tra domanda e offerta è la diversa accezione di valore. «Si tratta di un gap di aspettative tra il valore considerato da un lato che, a volte, non si riscontra dall’altro», mette in evidenza Stefano Simontacchi, co-managing partner di Bonelli Erede Pappalardo. In quest’ottica, diventa fondamentale la creazione di valore differenziale attraverso l’attenzione ai bisogni dei clienti. È così che sempre più spesso si assiste all’introduzione di team dedicati ( client development team) volti a raccogliere i feedback dal cliente e a costruire metodologie e standard che facilitino l’interscambio con lo stesso, definendo delle “routine” di lavoro. A questa attenzione verso i bisogni del cliente deve accompagnarsi quella nei confronti della macchina studio, nell’ottica del controllo dei costi e dell’efficienza organizzativa. «Un risultato – evidenzia Simontacchi – che necessita di professionisti e tecnologie a ciò preposti: per gestire con maggiore efficienza le commesse, evitando duplicazioni di attività o attività non rilevanti, basterebbe introdurre la figura del Project manager e utilizzare Gantt (strumento a supporto della progettazione delle attività, ndr) dettagliati». Meno rilevante, a detta di Simontacchi, è l’azione sulla leva, la cui riduzione potrebbe rivelarsi, anzi, controproducente. « Bisognerebbe evitare la “piramide rovesciata” perché non è né funzionale né sostenibile per lo studio »
FRANCO TOFFOLETTO - TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO E SOCI
Gli avvocati devono imparare a condividere la conoscenza
Lavorare bene: condizione necessaria ma non sufficiente per operare con successo nel mercato legale. A quanti sono ancora convinti che il valore aggiunto del consulente esterno risieda solo nella sua competenza, Franco Toffoletto, presidente e managing partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, risponde che così non è. A dimostrarlo, secondo Toffoletto, sono i risultati economici delle boutique e degli studi specialistici. «La specializzazione da sempre è sinonimo di valore aggiunto. Eppure, oggi, non tutti i numeri degli studi specialistici vanno bene».
La ragione è presto detta: il cliente chiede di andare oltre la bravura.
«In questi anni – continua – i tempi della consulenza sono diventati sempre più stretti. Viene chiesto lo stesso servizio ma con risposte sempre più veloci, ed a prezzi più bassi». Secondo Toffoletto, per rendere più efficiente la struttura «occorre una vera e propria contabilità industriale ». Un processo non semplice, evidenzia il managing partner. Alla base dell’efficientamento del sistema, infatti, c’è anche la condivisione della conoscenza: «ma gli avvocati sono restii a condividere. È un problema culturale», sottolinea. Allora, affinché gli studi legali diventino più efficienti, diventa indispensabile agire sull’atteggiamento dei professionisti. E conclude: «Serve anzitutto rieducarci secondo un nuovo concetto di professione e fare un uso sempre più importante della tecnologia».
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