Storia di copertina / TL Summit

OLTRE LA BARRIERA DEI COSTI

Come fare convergere gli interessi economici dei clienti e degli studi legali? Riducendo o rendendo variabili i costi. Ancora meglio prediligere una maggiore efficienza e il valore aggiunto attraverso l’innovazione.

16-07-2014

OLTRE LA BARRIERA DEI COSTI

Dalla commodity al costo: il percorso è obbligatorio. La battuta riepiloga l’evoluzione del dibattito che da tre anni met­te a confronto l’establishment del mondo legale tramite l’ap­puntamento annuale del To­pLegal Summit. Le edizioni precedenti del Summit hanno fatto emergere due principali criticità collegate fra loro che si sono manifestate progres­sivamente negli ultimi anni. La prima riguarda la perce­zione di un numero sempre più crescente di servizi legali come commodity, termine che sintetizza la forza dei cambia­menti avvenuti con la crisi e che ha capovolto il rapporto fra consulente e cliente raffor­zando notevolmente il potere contrattuale delle direzioni legali. La seconda verte sulla tensione sui costi dei servizi legali che ha fatto emergere tutta la disarticolazione tra domanda e offerta.

L’ultimo Summit tenutosi a Milano lo scorso 28 maggio, dal titolo « Nuovi modelli di partenariato: superare la bar­riera dei costi fissi », si è posto l’obiettivo di ragionare sulla possibile convergenza degli in­teressi di consulenti e clienti su un obiettivo comune. In parti­colare, è stata sondata la pos­sibilità di razionalizzare i costi attraverso nuovi modelli di partenariato fondati sul valore dei servizi e sui rapporti stra­tegici tra cliente e consulente. 

Costi, efficienze e valori 
Dalle due tavole rotonde, è emerso un quadro complesso perché, in realtà, la partita at­tuale si gioca solo in parte in­torno ai costi. Non sorprende che siano stati gli studi legali a mettere in discussione per pri­ma la focalizzazione sul costo durante il dibattito, adducendo che il valore del servizio legale non equivale al taglio dei costi. Anche i clienti hanno dubbi sull’inseguimento di una poli­tica esclusivamente finalizzata sul taglio dei costi, ma per il motivo opposto: perché spesso mettono in dubbio il presun­to valore del servizio offerto. I General counsel ribadiscono che non guardano soltanto ai costi ma ad altri requisiti che nulla c’entrano con l’abbassa­mento dei costi – la competen­za, il rispetto dei tempi e dei budget, per esempio – nonché al valore aggiunto, sebbene ri­tengono che il valore abbia ora assunto una forma nuova che gli studi legali fanno fatica a riconoscere (si veda box). No­nostante questa presa di posi­zione da parte dei clienti, i dati dimostrano che i cambiamenti registrati nel rapporto con i consulenti esterni sono avve­nuti quasi esclusivamente sul piano dell’abbassamento delle parcelle. Per di più, nel deficit di soddisfazione generato dalle aspettative dei clienti di fronte alle prestazioni dei consulenti esterni, continua a manifestar­si un disallineamento tra do­manda e offerta. Le soluzioni a favore di una maggiore efficienza fornite dai responsabili legali, nonché dalle loro controparti a capo degli studi legali tra i più in­fluenti in Italia, si sono artico­late nella loro triplice forma: primo, la volontà da entrambe le parti ad abbassare o rendere variabili i costi di produzione; secondo, l’aumento dell’effi­cienza e della produttività at­traverso processi di lavoro in­novativi; infine, l’allineamento del modello di business dello studio a quello del cliente.

Lo sforzo di incidere sui costi fissi per renderli più variabili rappresenta un tentativo nuo­vo, e gli spazi in questo ambito sembrano piuttosto limitati. Per le direzioni, come anche per gli studi legali, si tratta di intervenire sulla forza lavoro, ad esempio, sperimentando forme di collaborazione alter­native e politiche di esterna­lizzazione. Sul fronte dell’effi­cienza i margini di migliora­mento sono molto più ampi; fatto riconosciuto dagli stessi studi legali che hanno ammes­so che in passato ci sono stati sprechi e che si possa migliora­re il costo di produzione senza tagli lineari. In questo ambito si cercano soluzioni informa­tiche e tecnologiche ma queste talvolta riscontrano resistenze culturali da parte dei profes­sionisti. Infine, la richiesta agli studi legali da parte dei clien­ti di allineare la loro struttura ed operatività agli interessi dei propri assistiti verte sulla con­divisione non solo del business model ma anche dei valori etici e di governance, fattore fonda­mentale per fare collimare l’of­ferta con la domanda. 

Un contesto difficile 
Le tre proposte del Summit sono emerse da un contesto preciso di mercato delineato nella presentazione di apertu­ra. Se la sfida dell’efficienza si è posta con insistenza per gli stu­di legali a partire dalla crisi, ora riguarda sempre di più anche le direzioni legali. Il Summit ha confermato le conclusioni del­la recente ricerca del Centro Studi TopLegal ( pubblicata in sintesi sul numero di maggio, ndr) che ha sondato circa 90 di­rezioni legali su squadre, carico di lavoro e budget. La politica di autonomia ed autogestione delle direzioni legali attraverso l’espansione interna sembra ora aver raggiunto il proprio limite. In passato l’ampliamento delle direzioni più evolute ha avuto per riflesso la riduzione della spesa legale; ora, la politica di assunzioni costante è giunta al termine e, di fronte al continuo aumento del lavoro, il numero di risorse interne e i budget re­gistrano un sostanziale stallo. Questa tendenza è trasversale a tutte le aziende a cui viene imposto l’imperativo di gestire una crescita ininterrotta con la contrazione dei costi.

Per quadrare queste esigenze, bisogna aumentare i margini di efficienza e di innovazione, discorso che vale ancora di più per gli studi legali, i quali hanno subito negli ultimi cinque anni una ristrutturazione interna notevole e che sta generando controindicazioni strutturali serie per il lungo termine. Se­condo i General counsel, in­terpellati da TopLegal per in­dicare i modi in cui sono state introdotte innovazioni nell’ap­proccio dei consulenti esterni, gli studi sono intervenuti quasi esclusivamente sul piano dei co­sti – principalmente attraverso l’uso delle parcelle alternative – e molto meno sul lato dei servizi (si veda la Tabella 1). Si potrebbe quindi concludere che il rappor­to consulente/cliente stia conti­nuando a correre sull’unico filo del prezzo con conseguenze im­portanti per gli studi.

In un mondo ideale, i com­pensi alternativi fungerebbe­ro da driver all’innovazione perché richiedono per neces­sità una riflessione sull’intera attività dello studio. Vanno ponderati, per esempio, l’orga­nizzazione interna del lavoro ( le risorse, i processi di lavoro, le soluzioni tecnologiche), la prestazioni dei singoli soci, la capacità di cross- selling, fino all’istituzionalizzazione del cliente. Ma il dubbio è che nel braccio di ferro sui budget, gli studi abbiano semplicemente fatto un passo indietro. Tale esito sarebbe il peggiore di tutti i mondi possibili perché significherebbe minori ricavi senza maggiori efficienze. In questo caso, la tensione sul prezzo non sarebbe affatto superata ma si tratterebbe di una mossa di retroguardia di fronte alla necessità. Si passa semplicemente dallo scontro sul prezzo allo sconto.

Questa conclusione trae con­ferma da due ulteriori fattori. Innanzitutto, il parere degli stessi General counsel che sot­tolineano come l’abbassamento dei costi arrivino quasi sempre su richiesta del cliente piuttosto che per iniziativa degli studi. Per di più, le analisi di TopLegal sulle compagini e i fatturati dei primi 25 studi legali per fattu­rato in Italia (si veda TopLegal, numero di giugno, ndr.) fanno emergere il proseguimento di una ristrutturazione interna quasi a senso unico. Nel 2008, le squadre degli studi raggiun­gono il numero massimo (3.544 professionisti), ma l’anno suc­cessivo, quando la crisi si fa sen­tire nel mercato legale italiano, si inverte la tendenza di crescita e si inizia a decurtare le com­pagini. Nel 2013, il totale dei professionisti nei primi 25 studi si attesta a 2.717, mentre la leva equity media si è accorciata di quasi un terzo. A pagare sono gli associate e, ultimamente, i salary partner; al contrario, il ristretto circolo di soci equity ha continuato la sua crescita so­stenuta senza contraccolpi, au­mentando del 12% nel periodo di riferimento ( Tabella 2).

Che la ristrutturazione e la riduzione delle parcelle non abbiano portato ad una mag­giore efficienza lo dimostra l’incrocio dei dati ufficiali ag­giornati sulle compagini e i fat­turati degli studi ( Tabella 3). Il quadro è preoccupante: emer­ge sempre di più una struttu­ra da piramide rovesciata con uno sbilanciamento di seniori­ty rispetto alle reali esigenze. Inoltre, lo snellimento delle compagini non è avvenuto per una strategia che punta su ser­vizi di alto valore aggiunto ed una maggiore redditività dello studio. Al contrario, mentre i fatturati rimangono sostan­zialmente fermi, diminuisco­no gli utili e le insegne sono diventate meno redditizie. 

Le proposte innovative 
Partendo da questo contesto dif­ficile, e chiamati a confrontarsi sulla necessità di innovare nuove modalità per rendere variabili i costi fissi ed istituire nuove ef­ficienze, direzioni e studi legali hanno proposto varie soluzioni organizzative ed operative.

Sul piano della forza lavoro, le direzioni legali stanno già sperimentando nuove forme di collaborazione. In testa alle proposte sono gli avvocati a contratto, privilegiati soprat­tutto dalle piccole e medie im­prese italiane. Per entrambi clienti e studi legali, costituisce un’altra soluzione alternativa importante per gestire le squa­dre il secondment – con tutte le riserve degli studi per questa « arma a doppio taglio », perché dedicare al cliente le migliori risorse significa depotenziare la squadra. Insieme all’esterna­lizzazione delle attività com­modity, si è inoltre auspicato il possibile allargamento dell’esternalizzazione per fare con­fluire anche intere squadre di professionisti in-house verso lo studio legale di riferimento.

Altre proposte di innovazio­ne nei processi di lavoro hanno riguardato la maggiore imple­mentazione di sistemi gestiona­li e informatici. Tra questi, l’in­troduzione del project manage­ment per evitare duplicazioni di attività o per eliminare attività non rilevanti, nonché i sistemi di e-billing e di reportistica per l’elaborazione centralizzata dei documenti e l’ottimizzazione dell’accesso e della distribu­zione delle conoscenze. Se da un lato, come affermano gli studi legali, l’interscambio con i clienti più sofisticati aumen­ta la possibilità di efficienza, dall’altro un limite culturale ha finora impedito l’evoluzione di un rapporto più efficiente con i clienti. Un freno alla diffusio­ne del knowlegde management sorge nella resistenza ancora diffusa di professionisti restii alla condivisione delle cono­scenze. Analogamente, l’espan­sione della figura del client rela­tionship manager sarà impedita fin quando prevale l’atteggia­mento tra i professionisti che il cliente appartiene al singolo socio e non allo studio.

Ma il passo più significativo verso l’efficienza riguarda l’al­lineamento dei modelli di busi­ness dell’azienda e dello studio legale. Gli studi sono chiamati a rispecchiare nella loro strut­tura e nelle loro politiche ge­stionali il modello e i valori dei propri clienti. Mentre i General counsel hanno sottolineato che le scelte di politica retributiva interna dello studio non li ri­guardano, hanno per contro in­sistito che gli studi dovrebbero assumersi la responsabilità di gestire i propri affari in base alle esigenze dei loro clienti. Oltre all’efficienza gestionale, entra in gioco nel discorso sull’in­novazione la capacità di creare il valore umano e sociale. Per le multinazionali e altri clienti italiani più esposti alle corren­ti culturali più all’avanguardia, non può essere irrilevante ai fini di selezionare un consu­lente esterno le politiche di ge­nere dello studio, soprattutto il numero di soci equity donne. Vanno valutati anche l’impegno a favore della responsabilità so­ciale d’impresa ( corporate social responsibility), nonché il modo in cui vengono trattati i collabo­ratori. Come dire, il plusvalore economico dello studio legale si costruisce anche attraverso il rinnovo socio-valoriale.

TopLegal Summit: le buone notizie
Niente tagli lineari: le porte ai mandati sono aperte. Basta solo saperci entrare
Durante le due tavole rotonde della terza edizione del TopLegal Summit sono emersi diversi spunti di rifles­sione nonché, come si poteva aspettare dalla trasversalità degli interventi, una diversità di posizioni. Sulle best practice attinenti al rapporto tra cliente e consulente esterno, sebbene sia mancato per certi aspetti un consenso tra i direttori legali, tuttavia sono emerse visioni che nel loro insieme saranno alquanto incoraggianti per gli studi legali.

Secondo Brian Sheridan, General counsel di Sorin, la buona notizia è che gli studi non dovrebbero temere i tagli lineari alla spesa legale. Meglio ancora: come tutti i suoi colle­ghi, sostiene Sheridan, Sorin è ancora dispo­sto a pagare per la qualità e il valore. La spesa legale destinata agli studi legali in Italia della multinazionale biomedicale si attesta attor­no ai 2 e 4 milioni di euro annui. In ciascuno degli anni di crisi economica, ha affermato Sheridan, Sorin ha speso cifre pari o superio­ri rispetto agli anni pre- crisi. Purtroppo c’è anche una cattiva notizia: ciò che i General counsel intendono oggi per qualità e valo­re si è evoluto, e nella prospettiva di questa trasformazione non tutti gli studi sono com­petitivi. Secondo Sheridan, bastano compe­tenza, il rispetto dei budget e soprattutto la tempestività. L’asticella per gli studi legali, insiste Sheridan, è piuttosto bassa, lasciando intendere che ciononostante pochi consu­lenti esterni riescono ad aggiudicarsi la piena soddisfazione di Sorin.

Mentre per Sorin spetterebbe allo studio e non alla direzione, gestire i propri affari in base alle necessità dei clienti, da Snam arriva un altro messaggio altrettanto rasicurante per gli studi esterni che temono i tagli line­ari alla spesa legale. Alla direzione legale ca­peggiata da Marco Reggiani interessa poco la struttura dello studio e le sue geometrie e gerarchie interne. L’importante è che la dire­zione legale non scarichi sugli studi legali la responsabilità di fare quadrare gli obbiettivi aziendali con la riduzione del budget. In altre parole, il General counsel ha l’arduo compito di raggiungere la sostenibilità evitando sem­plicemente di trasmettere allo studio legale i meccanismi dei tagli imposti dall’azienda. Al contrario, ha sostenuto Reggiani, il Ge­neral counsel deve farsi carico della gestione della propria spesa per facilitare il rapporto con il consulente esterno evitando il gioco di forza. 

LA COMPRENSIONE CHE MANCA

Il divario tra studi e clienti sull’accezione di valore ancora esiste. Eppure è sul valore che si gioca la sfida per la costruzione di partenariati strategici. Un tempo sordi rispetto alle rispettive esigenze, oggi direzioni e studi legali cercano il modo di ottimizzare le efficienze interne senza andare a discapito dell’altro 

Variabilizzare i co­sti fissi per cerca­re una maggiore efficienza nella dialettica tra do­manda e offerta. È stato que­sto il tema al centro del terzo appuntamento con il TopLe­gal Summit. Dal dibattito è emersa con forza una certezza: studi e direzioni legali vanno verso nuovi modelli. Eppure, la ricerca di una strada comu­ne non è cosa facile da trovare. Nel corso del Summit 2014, advisor e clienti hanno riflet­tuto su cosa dovrà cambiare e come affinché tra loro possa instaurarsi un rapporto stra­tegico, una soluzione auspi­cabile anche in funzione del raggiungimento di una mag­giore efficienza economica. Nonostante gli obiettivi dei due attori del mercato legale sembrino in parte disallineati – poiché entrambi sono anco­ra vincolati all’ottimizzazione delle rispettive efficienze in­terne – dal Summit è apparsa chiara la necessità di mettere a punto strumenti per valutare la reciproca soddisfazione. Un passo importante, che getta un ponte verso la costruzione di un rapporto in cui nessuna delle due parti si senta defrau­data dall’altra. Soprattutto, un passo in cui il fattore costo rientra solo marginalmente. Per quanto la tensione sul prezzo negli ultimi anni sia stata in­dividuata come una delle mag­giori criticità nell’incontro tra domanda e offerta, il Summit ha sdoganato la questione. Studi e clienti sono d’accor­do: abbattere i costi si può e si deve. A riguardo, nessuno dei partecipanti alle due tavole ro­tonde ha sollevato il minimo dubbio. Ma agire sui costi non basta: bisogna costruire forme di partenariato strategico.

Ripensare il modello di studio legale”, è stato questo il focus della prima tavola rotonda, moderata da Patrizio Messina, managing part­ner di Orrick Herrington & Sutcliffe. Il dibattito ha visto la partecipazione di Marco Reggiani, General counsel di Snam; Brian Sheridan, Gene­ral counsel di Sorin; Angelo Bonissoni, managing partner di Cba studio legale e tributa­rio; Francesco Gianni, name partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners; e Franco Toffoletto, presidente e managing partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci. Utilizzare maggiormente gli strumenti tecnologici, creare forme di outsourcing interno con team preposti alla ge­stione delle pratiche standardizzate, produrre il servizio evitando sprechi e allocando meglio le risorse. Sono queste alcune delle soluzioni propo­ste per rendere più efficienti gli studi legali. Tutte solu­zioni che certamente com­portano anche una migliore allocazione del budget, con ripercussioni significative sul costo del servizio.

Ma non è il costo il punto principale in questione. Al­meno non secondo i General counsel. Pur ammettendo tutti che il taglio alle spese legali è innegabile, altrettanto fermamente è stata rimarca­ta l’importanza della quali­tà e del valore aggiunto. Due “ beni” per cui i clienti sono ancora disposti a pagare. D’al­tronde, sono i clienti a deci­dere come allocare le risorse. Così, di pari passo con l’incre­mento di funzioni e autono­mia all’interno delle aziende, le direzioni affari legali de­vono evolvere: raggiungendo una maggiore responsabiliz­zazione rispetto agli obiettivi di spesa, si evita di trasferire il problema dei tagli al budget sugli studi.

È, quindi, necessario “ Ri­pensare il modello di direzio­ne legale”: avere come cliente un soggetto sofisticato, orga­nizzato secondo una struttura aggregata e non dispersiva del­la funzione legale e responsa­bilizzato rispetto alla gestione del budget aiuta lo studio a essere più efficiente. È questo il messaggio fondamentale emerso dalla seconda tavola rotonda, moderata da Stefano Simontacchi, co- mana­ging partner di Bonelli Erede Pappalardo. A partecipare al dibattito: Stefano CeccacciHead of group tax affairs di Unicredit; Gloria DagniniSenior vice president corpora­te legal area di Eni; Domenico Fanuele, managing partner di Shearman & Sterling; Agostino Nuzzolo, Direttore affari legali e fiscali di Italcementi; e Galileo Pozzoli, managing partner di Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle.

Se le direzioni affari legali ragionassero esclusivamente in base alla logica del prezzo, si rischierebbe di confondere servizi fungibili e servizi a va­lore aggiunto. Ma così non è. I clienti non sono interessati tanto agli sconti, quanto alla ricerca di partenariati strate­gici, che riguardino sia la par­te economica sia la parte non economica. Sono state tante le proposte emerse durante il dibattito: un numero di se­condment ogni anno; accesso alle risorse di knowledge ma­nagement da parte del diparti­mento legale; corsi e seminari di aggiornamento per gli in­house; sconti progressivi per volume di lavoro; abort fee e lavoro non- billable.

Ma il nocciolo della que­stione si riduce a una doman­da: il mercato italiano offre le condizioni necessarie per istituzionalizzare un rapporto strategico fra domanda e of­ferta? Dal Summit è risultato chiaro che, innegabilmente, c’è ancora un divario tra quel­lo che cercano le aziende e quello che dicono gli studi su ciò che viene percepito come valore. Tuttavia, è stato lancia­to anche un segnale positivo in questa direzione: studi e clien­ti non sono più sordi di fronte alle esigenze dell’altro e per la prima volta sono tutti concor­di nel ritenere fondamentale implementare meccanismi per giungere ad una reciproca sod­disfazione. Perché solo così si possono instaurare forme so­stenibili di partenariato.

PATRIZIO MESSINA ORRICK HERRINGTON & SUTCLIFFE 
L’insourcing per ottimizzare i costi degli studi

Per abbattere i costi lo studio può agire sull’or­ganizzazione interna e sulla distribuzione del lavoro. Patrizio Messina, managing partner di Orrick Herrington & Sutcliffe, porta l’esempio della stessa law firm americana, pioniere nella costi­tuzione nell’ormai lontano 2002 di un Global Ope­ration Center (Goc) a Wheeling, in West Virginia. «Quando ho fatto il mio ingresso in Orrick, io stesso ho imparato ad apprezzarne l’estrema utilità», sot­tolinea Messina. Il Goc è il fulcro da cui viene gestito il lavoro routinario e standardizzato e fornisce supporto a tutte le sedi di Orrick nel mondo. Non solo: Wheeling è casa dei client services team. Team chiave che ge­stisce tutto il knowledge manage­ment dell’insegna dal West Virginia. Così, i clienti dello studio possono accedere venti­quattr’ore su ventiquattro alla banca dati giuridica, ai sistemi di conformità, alla tecnologia di rilevazio­ne, all’analisi dei dati e alla revisione dei documenti. Efficienza e insourcing che Orrick stima abbia fatto generare un risparmio tra i 10 e i 15 milioni di dol­lari all’anno, principalmente a causa dei salari e delle spese immobiliari notevolmente più bassi di quelli che si pagherebbero in una grande cit­tà metropolitana.

Secondo Messina, «l’esempio di insourcing fatto da Orrick rimane ab­bastanza unico nel panorama legale internazionale, ma fa capire che raggiungere forme di efficienta­mento interno certamente si può, a tutto vantaggio del rapporto con i clienti».

ANGELO BONISSONI CBA 
L’efficienza del servizio passa dalla reciprocità

Andare oltre la questione dei costi e comprendere se c’è mutua soddisfazio­ne. Facile a dirsi, ma non a farsi. L’as­senza di comunicazione tra advisor e clienti comporta troppo spesso la mancanza di una reale contezza sui risultati ot­tenuti dal con­sulente esterno rispetto alle aspettative atte­se dalla direzio­ne affari legali. È così che, secon­do Angelo Bo­nissoni, mana­ging partner di Cba, « l’obiettivo che dovrebbe porsi ogni studio è quello di imparare a capire le reali esigenze del mercato e dei clienti attra­verso l’utilizzo costante dei follow up ». A detta di Bonissoni, infatti, sarebbe utile un sistema di valutazione e misurazione co­stante della reciproca soddisfa­zione. Là dove l’elemento chiave risiede proprio nella reciprocità.
Il rapporto tra domanda e offerta, infatti, non può esaurirsi in una mera valutazione dell’operato dello studio.
In linea con quanto sottolineato dal General counsel di Snam, Marco Reggiani, anche Bonissoni concorda sulla necessità di una maggiore re­sponsabilizzazione delle direzioni affari legali, che vada di pari passo con l’aumento del ruolo attivo di queste all’interno dell’azienda e la crescita di autono­mia rispetto all’advisor esterno. «Solo così – afferma Bonissoni – si può arrivare a un’efficacia ed efficien­za del servizio».

STEFANO CECCACCI UNICREDIT 

Qualità: il mercato non può essere preso in giro
La pressione sul prezzo non è ovunque.

Fatto che non bisognerebbe mai perdere di vista secondo Stefano Ceccacci, Head of Group Tax Affairs di Unicredit, intervenuto al dibattito come portatore di un’esperienza che taglia trasversalmente private practice e azien­da, data la sua lunga permanenza nello studio Maisto. Ceccacci distingue net­tamente tra lavoro a bassa quali­tà, da una parte, e lavoro a valore aggiunto dall’altra. Nel primo caso per la selezione dell’advisor sarà sufficiente la funzione pro­curement e cost management aziendale, là dove effettivamente l’elemento discriminante è dato dal prezzo; nel secondo caso, in­vece, subentrano i rapporti fidu­ciari (« terreno da gioco per il vero rainmaker »). Anche se, precisa, « chi sceglie l’advisor ester­no dovrebbe poi essere pronto ad assumersi il rischio di uscire dai normali percorsi, approc­ciando e lasciandosi approcciare da consulenti terzi ». Sulle pratiche in cui gioca un ruolo fon­damentale il valore aggiunto, « il prezzo certo deve essere elasti­co, ma non è quel­lo il quid ». L’unica discriminante di­venta la qualità ed è proprio la quali­tà a fare una pri­ma selezione dei possibili interlo­cutori esterni. « La qualità – conclude Ceccacci – è qualcosa che non si può fingere. Il mercato non può essere preso in giro ». 

GLORIA DAGNINI ENI 
Per gli in house più lavoro e meno risorse
La contrazione e il contenimento dei costi c’è, è innegabile. A confermarlo è Gloria Da­gnini, Senior vice president corporate legal area di Eni. Una contrazione le cui ripercussioni non ricadono soltanto sugli advisor legali esterni ma coinvolgono in prima istanza la stessa direzione affari legali di Eni che comprende circa 300 profes­sionisti tra Italia e sedi estere. «Fino all’anno scorso – spiega Dagnini, confermando un’indagine di TopLegal sulle dire­zioni legali in Italia – c’era una politica di assunzio­ni costante. Da quest’anno, nonostante il volume di lavoro sia in aumento, soprattutto nelle tematiche attinenti compliance e penale, la campagna acqui­sti ha subito una battuta d’arresto». Ne deriva che con le stesse risorse – l’8% delle quali proviene da secondment o altre forme alternative di collabo­razione – va gestito più lavoro. Per farlo serve aumentare l’efficienza. La riorganizzazione interna del­la direzione affari legali affonda le radici nel 2006, e ha portato alla costituzione di quattro direzioni che fanno capo al General counsel Massimo Mantovani. La direzio­ne ha agito su un duplice fronte: ha potenziato le competenze interne sulle aree trasversali al business, mentre ha esternalizzato molte attività seriali. Sul fronte esterno, monitora in maniera metodica la consulenza esterna ricevuta attraverso un sistema di feedback. «Solo così la direzione può aumenta­re le probabilità di allocare in maniera ottimale il budget dedicato agli advisor».

DOMENICO FANUELE SHEARMAN & STERLING 
Per creare partnership servono clienti sofisticati
Il partenariato tra advisor e clienti non deve ridur­si alla flessione delle fee. Shearman & Sterling, come rivelato dal managing partner Domenico Fanuele, ha un numero significativo di contratti con i suoi maggiori clienti che regolano un ampio spettro di rapporti. La parte non economica prevede: un nu­mero stabilito di secondment ogni anno; accesso alle risorse di knowledge management da parte del dipartimento legale; corsi e seminari di aggiornamento in-house. Quella economica, invece, consente il congelamento del costo delle ore billa­bili per anni; sconti progressivi per vo­lume di lavoro; sconti per operazioni non di successo pre-concordate e la­voro non-billable. Certo, come sotto­linea Fanuele, queste soluzioni richie­dono avere come cliente «un soggetto sofisticato in grado di capire dove ed entro quali limiti può essere chiesta flessibilità agli studi». Significativa, in tal senso, è la strada percorsa da molte grandi multi­nazionali, che stanno tentando di efficientare gestione e controllo delle parcelle attraverso sistemi di e-billing, «arrivando attraverso l’armonizzazione della repor­tistica a una mag­giore comprensio­ne della parcella stessa». Mentre, sul fronte del control­lo dei costi esterni, si sta diffondendo la disaggregazione ( unbundling) dei servizi legali, affidati a vari studi che per la singola par­te possono essere più economici. Un trend che potreb­be portare le law firm di prima fascia a stanziarsi solo sulla parte alta della curva del valore.


FRANCESCO GIANNI -  GIANNI ORIGONI GRIPPO CAPPELLI & PARTNERS 
La leva bassa degli studi crea valore
Gli studi italiani sono stati abituati a pro­durre con qualche spreco. A sdoganare questo punto cruciale per la ridefinizio­ne del costo del servizio è Francesco Gianni, se­nior partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners. «In Ita­lia – sottolinea – si può raggiunge­re una maggiore efficienza del co­sto di produzione semplicemente allocando meglio le risorse». Quin­di, per gli studi diventa fondamentale compiere un’analisi interna che tocchi modello e struttura dell’insegna. È partendo da questo scenario che si possono leggere, secondo Gianni, alcune delle tendenze del mercato legale che hanno caratteriz­zato gli ultimi anni del suo sviluppo. Come emer­so nel corso dell’indagine annuale condotta da TopLegal sui bilanci delle insegne, relativamente alla composizione delle squadre, la leva dal 2008 ha subito una flessione del 32%. Il dato – a detta di Gianni – non va letto come un taglio lineare ai costi, ma come frutto del bisogno, espresso più volte dai clienti, di dialoga­re con team esterni dotati di una maggiore seniority. Quindi, la ri­duzione della leva risponde a un’e­sigenza di maggiore efficienza strutturale rispetto alle richieste della domanda, che non è più pronta a sobbarcarsi il costo di una sovrastrutturazione degli studi. E anche questo, secondo Gianni, è uno di quei processi che contribuiscono alla creazione di valore per i clienti.

AGOSTINO NUZZOLO ITALCEMENTI
Per un rapporto win-win serve la reciproca conoscenza

Il problema budget esiste. Non usa mezzi termi­ni né giri di parole Agostino Nuzzolo, Diret­tore affari legali e fiscali di Italcementi. Ma il problema, ancora una volta, non riguarda soltanto il rapporto con gli studi legali, ma in primis la stes­sa direzione affari legali interna. «In Italcementi – commenta – dopo la crisi abbiamo iniziato un per­corso di riorganizzazione per cer­care di rendere le aree legali meno dispersive». Nella direzione legale, infatti, fino a non molto tempo fa, erano presenti funzioni separate per linee di business. Invece, cerca­re una maggiore efficienza interna e mettere a raccordo tutte le aree è stata, a detta di Nuzzolo, la prima arma a disposizione per ammor­tizzare anche i problemi legati alla ristrutturazione dei costi e alle inefficienze interne. Agire internamente, però, da solo non basta. È così che diventa fondamentale scegliere dei consulenti esterni con cui instaurare un rapporto continuati­vo basato sulla fiducia e sulla comprensione delle reciproche esigenze di business. «Come in ogni rapporto, anche nella dialettica tra advisor e clien­ti è fondamentale parlare e confron­tarsi, perché solo confrontandosi ci si può conoscere», afferma Nuzzolo, aggiungendo che «solo attraverso la circolazione di informazioni ed idee si possono gettare le basi per una collaborazione win-win, in cui nessuna delle due parti si senta defraudata dall’altra».

GALILEO POZZOLI CURTIS MALLET PRÉVOST COLT & MOSLE 
Il risparmio sui costi a volte porta a scelte non convenienti al business
Le direzioni affari legali si stanno sofisticando, secondo Galileo Pozzoli, managing partner di Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle. «Anche in soggetti come i fondi sovrani che prima non avevano uffici legali; adesso – commenta – noto la comparsa della funzione legale, strutturata per permettere ai fondi di interfacciarsi meglio con gli studi». Il cam­biamento si snoda in tre direzioni: l’efficienza verso gli stakeholder interni; nell’organizzazio­ne interna; e nel rapporto con gli studi. A volte, però, queste tre istanze si pongono in con­flitto, soprattutto quando entra in gioco il fattore economico. Infatti, la ricerca dell’efficienza di natura economica, secondo Pozzoli, non sempre consente alle direzioni affari legali di prendere la decisione più conveniente per il business. «In ragione di un immediato risparmio di costi a volte vengono operate le scelte sbagliate». A fornire un esempio lo stesso Pozzoli: «Mi è capitata la situazione in cui, pur di non richiedere un parere preventi­vo, che avrebbe comportato un costo aggiuntivo rispetto al budget, si sono fatte scelte che poi, in effetti, hanno dato luogo a costi nettamente mag­giori derivanti dall’intervento ripara­tore successivo». Tutto nasce spesso dall’assenza di dialogo e fiducia tra le due parti. Advisor e clienti dovrebbero dialogare di più e, per farlo, potrebbe essere utile l’istituzione di un client relationship manager dedicato, figura presente già da qualche tempo negli studi newyorkesi.

MARCO REGGIANI SNAM 
La gestione del budget non va trasferita agli studi
I costi vanno ridotti, ma deve essere il General counsel a pianificare l’allocazione delle risor­se a sua disposizione. Il messaggio è chiaro: ci deve essere una maggiore responsabilizzazione della direzione affari legali, perché a pianificare la gestione del budget è il General counsel e non il legale esterno. Un messaggio positivo per gli stu­di, quello lanciato da Marco Reggiani, General counsel di Snam, che va dritto al nocciolo della questione. « Il General counsel è in primo luogo colui che gestisce il rischio legale – sottolinea – e, di conseguenza, è il General counsel a doversi fare carico della gestione della propria spesa, senza scarica­re sugli studi legali la responsabi­lità di far quadrare gli obbiettivi aziendali che, specie in periodi di crisi, puntano alla riduzione del budget ». In altre parole, il Gene­ral counsel ha l’arduo compito di raggiungere la sostenibilità dei costi evitando di trasferire “tout court” sullo studio legale esterno gli effetti dei meccanismi dei tagli lineari eventualmente decisi dall’azienda. « E l’unico modo per farlo è regola­mentare la scelta dello studio legale esterno, adot­tando dei criteri oggettivi », sotto­linea. È per tale motivo che Snam ha elaborato uno strumento di ven­dor management che, applicando criteri di valuta­zione oggettiva dei risultati conseguiti in precedenza dai legali esterni, è in grado di supportare i legali interni nell’affidamento di nuovi incarichi. 

BRIAN SHERIDAN SORIN 
Il valore è scollato dal costo
Sono tre i requisiti richiesti agli advisor esterni da Sorin: competenza, rispetto dei tempi e rispetto del budget. « Degli stan­dard abbastanza bassi », li definisce il General counsel del gruppo, Brian Sheridan. « Eppure – sottolinea – nove studi su dieci non sono in grado di soddisfare contemporaneamente tutti e tre questi pa­rametri ». Come si inserisce in questa dialettica il fattore costo del servizio? Solo marginalmente.
Sheridan, infat­ti, è fermo nel rimarcare che nessun General counsel guarda soltanto ai costi, ma ricerca il valore aggiunto del servizio, tanto che « nessuno dei tre requisi­ti richiesti ai professionisti esterni da Sorin ha nulla a che vedere con l’abbassamento dei co­sti ». Il punto, allora, è che rispetto al passato, oggi, le direzioni affari legali hanno alzato l’a­sticella che parametra la loro de­finizione di valore; « ma per quel valore siamo pronti a spendere », aggiunge il General counsel. Un esempio di servizio a valore ag­giunto è lo stesso Sheridan a for­nirlo, ricordando i problemi avuti da Sorin al proprio stabilimento produttivo situato a Mirandola, a seguito degli eventi sismici del maggio 2012 che hanno colpito il territorio dell’Emilia-Romagna. «Uno studio legale si offrì di curare tutti gli aspetti del ripri­stino dello stabilimento pro bono. Quello stu­dio ha dimostrato di essere realmente un nostro partner e così si è guadagnato nel futuro pros­simo la consulenza al nostro fianco ».

BRIAN SHERIDAN - SORIN
L’accezione di valore deve essere condivisa

La prima fonte di discrasia nella dialettica tra domanda e offerta è la diversa accezione di valore. «Si tratta di un gap di aspettative tra il valore considerato da un lato che, a volte, non si riscontra dall’altro», mette in evidenza Stefano Si­montacchi, co-managing partner di Bonelli Erede Pappalardo. In quest’ottica, diventa fondamentale la creazione di valore differenziale attraverso l’at­tenzione ai bisogni dei clienti. È così che sempre più spesso si assiste all’introduzione di team dedicati ( client development team) volti a raccogliere i feedback dal cliente e a costruire metodologie e standard che facilitino l’interscam­bio con lo stesso, definendo delle “routine” di lavoro. A questa atten­zione verso i bisogni del cliente deve accompagnarsi quella nei confronti della macchina studio, nell’ottica del controllo dei costi e dell’efficienza organizzativa. «Un risultato – evidenzia Simontac­chi – che necessita di professionisti e tecnologie a ciò preposti: per gestire con maggiore efficienza le commesse, evitando duplicazioni di attività o attivi­tà non rilevanti, ba­sterebbe introdurre la figura del Project manager e utiliz­zare Gantt (stru­mento a supporto della progettazione delle attività, ndr) dettagliati». Meno rilevante, a detta di Simontacchi, è l’azione sulla leva, la cui riduzione potrebbe rivelar­si, anzi, controproducente. « Bisognerebbe evitare la “piramide rovesciata” perché non è né funzionale né sostenibile per lo studio » 

FRANCO TOFFOLETTO  - TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO E SOCI 
Gli avvocati devono imparare a condividere la conoscenza
Lavorare bene: condizione necessaria ma non sufficiente per operare con successo nel mercato legale. A quanti sono ancora con­vinti che il valore aggiunto del consulente esterno risieda solo nella sua competenza, Franco Toffo­letto, presidente e managing partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, risponde che così non è. A dimostrarlo, secondo Toffoletto, sono i risultati economici delle boutique e degli studi specialistici. «La specializzazione da sempre è sinonimo di va­lore aggiunto. Eppure, oggi, non tutti i numeri de­gli studi speciali­stici vanno bene».
La ragione è pre­sto detta: il cliente chiede di andare oltre la bravura.
«In questi anni – continua – i tempi della consulenza sono diventati sempre più stretti. Viene chiesto lo stesso servi­zio ma con risposte sempre più veloci, ed a prez­zi più bassi». Secondo Toffoletto, per rendere più efficiente la struttura «occorre una vera e propria contabilità indu­striale ». Un processo non semplice, evidenzia il managing partner. Alla base dell’efficientamento del siste­ma, infatti, c’è anche la condivisio­ne della conoscenza: «ma gli avvo­cati sono restii a condividere. È un problema culturale», sottolinea. Al­lora, affinché gli studi legali diven­tino più efficienti, diventa indispen­sabile agire sull’atteggiamento dei professionisti. E conclude: «Serve anzitutto rieducarci secondo un nuovo concetto di professione e fare un uso sem­pre più importante della tecnologia».
  

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