Caso di studio

Orsingher Ortu

Le sinergie operative tra i due gruppi dello studio sono più uniche che rare ma l’insegna, forte del suo clima interno, punta alla crescita

16-05-2015

Orsingher Ortu

Attenti a quei due. È una strana coppia, quella formata da Matteo Orsin­gher e Mario Ortu, name partner di una delle boutique che maggiormente si sta distinguendo negli ultimi tempi. E le differenze non emergo­no solo dal carattere dei due avvocati: irruento, deciso e in qualche maniera anticonformista il primo; mite, prudente e conservativo il secon­do. Due temperamenti opposti, così come lon­tane sono le specializzazioni di loro riferimen­to, che insieme vanno a comporre una realtà professionale di non immediata decifrazione. Cosa ci fanno insieme un esperto di Intellec­tual property e Tmt e uno dei riferimenti nel settore in area Corporate finance?

La risposta proviene dalle contingenze di mercato, dalle scelte di sviluppo degli studi di provenienza e dalle sfide che i singoli profes­sionisti hanno deciso di affrontare. Nel 2007, infatti, Matteo Orsingher, dopo aver ricoperto per otto anni il ruolo di responsabile per l’Ita­lia del dipartimento di Proprietà intellettuale e tecnologia dell’informazione di Freshfields Bruckhaus Deringer dà vita assieme a Fran­cesco Sanna a una propria realtà professionale. Come sempre in questi casi identificare una sola causa scatenante una separazione non è semplice, se non impossibile. È comunque un fatto che Freshfields, per la practice italiana, dopo la dipartita di Orsingher deciderà di non ricostituire il dipartimento di Ip/ Tmt; una scel­ta che verrà poi seguita anche dalle filiali degli altri Paesi e che dunque si configurerà come una vera e propria decisione strategica dell’he­adquarter dello studio. Cioè quella di rinun­ciare a una practice di nicchia per compattare le proprie attività in specializzazioni in grado di fornire un maggiore apporto in termini di cross- selling e up- selling. A fronte di ciò Or­singher scommette invece sulla centralità del proprio campo e così, proprio negli anni in cui gli studi iniziano a sperimentare una minor forza contrattuale nei confronti delle commit­tenze, decide di aprire una propria insegna. Va così a prendere forma nel panorama degli studi italiani una realtà specializzata in materie non propriamente di tendenza dominante, ma che nel giro di breve tempo riesce a costruirsi una specifica credibilità e un proprio giro di affari.

E Mario Ortu? In quel momento continua a guidare il dipartimento corporate proprio di Freshfields, all’interno del quale era anche membro del leadership team internazionale del dipartimento Financial institutions group. Tale attività prosegue fino al 2012, quando an­che lui si trova davanti a un bivio – indotto o meno – che lo mette in condizione di guarda­re a orizzonti diversi da quelli vissuti sino ad allora. Ed è in questo momento che scocca la scintilla tra i due professionisti, che sul pia­no delle competenze non potrebbero essere più lontani: perché non creare un sodalizio? Ed è proprio quello che accade, andando a rinverdire un rapporto che andava avanti da quasi 30 anni. I percorsi professionali dei due avvocati prendono binari paralleli quando en­trambi passano in Pavia e Ansaldo ( Ortu sarà socio nel 1995, Orsingher un anno più tardi), prima di approdare in Freshfields e infine rin­contrarsi quando Ortu, insieme a Nicola Barra Caracciolo, Paolo Canal e Stephen McCleery lasciano Freshfields e si uniscono in qualità di soci allo studio che cambia nome in Orsin­gher Ortu avvocati associati.

Probabilmente alla fine una decisione di pan­cia, sebbene giustificata da Ortu con la possibi­lità di continuare a essere fisicamente prossimi al business, e forse in linea con il dna dello stu­dio, creato non miscelando le corrette « dosi » di specializzazioni ma attraverso un’ispirazio­ne. « Orsingher Ortu non nasce con un business plan su Excel », racconta il partner fondatore, e non fatichiamo a credergli. Le sinergie ope­rative tra i due gruppi sono infatti più uniche che rare, e in parte il motivo è da addebitare alla realtà del mercato italiano, che offre ben poche operazioni riguardanti il diritto societa­rio in ambito tecnologico, media e telecomuni­cazioni. « Se fossimo in Silicon Valley sarebbe diverso » è quanto afferma il partner fondatore.

Ma in ogni caso l’esperimento non deve es­sere andato troppo male se al momento attor­no ai due soci nell’insegna operano altri sette partner – ultimo l’ingresso di Manfredi Leanza da Chiomenti il mese scorso che ha rinforzato l’area corporate – e circa 30 professionisti. E i colloqui non si fermano. L’obiettivo dichiara­to da Ortu è quello di arrivare a una struttura di circa 50 professionisti, allargandosi in aree fino ad ora estranee al core business dello stu­dio. Ci riferiamo ad esempio al diritto del la­voro e al regolamentare: e quest’ultimo ha già dato un importante contributo allo sviluppo degli affari nelle vesti di Domenico Colella, già name partner di Portolano Cavallo che entra, nel 2012, come resident partner della nascente sede capitolina dello studio. 

« Pur rimanendo nell’ambito del tribunale dell’impresa, l’identikit delle persone che cer­chiamo non riguarda tanto l’ambito di specia­lizzazione ma la condivisione di una filosofia », dicono entrambi Orsingher e Ortu. Una filo­sofia che non sembra essere stata condivisa da potenziali partner internazionali, le cui pro­poste ricevute anche recentemente sono state rispedite al mittente. Una filosofia che al netto della qualità del lavoro si basa invece su un’am­biente autodichiaratosi meno competitivo al suo interno rispetto alla media degli studi, e ri­badito da un tasso di uscita di associate presso­ché nullo e dalle numerose richieste di profes­sionisti di entrare a far parte di questa realtà.

Di sicuro un segnale di coesione tra i partner è dato dall’utilizzo del lockstep come sistema di remunerazione. Un sistema di scuola Freshfields, in grado tuttavia di valorizzare anche il lavoro dei singoli, attraverso una combinazione di pun­teggi che si va a definire attraverso tre parametri: la capacità di generare lavoro, la capacità di ge­stirlo e la capacità di formare. Quest’ultimo sta a rappresentare tutto il tempo non direttamente fatturabile a un cliente specifico ma necessario per valorizzare lo studio come istituzione, sia dal punto di vista della comunicazione in senso lato che della crescita dei collaboratori e di tutti gli altri professionisti. La portata di questo in­dirizzo – teso a valorizzare una serie di fattori spesso ritenuti non strategici in altre sedi – si traduce in un posizionamento di prezzo in fascia medio- alta, prediligendo operazioni ad alto va­lore aggiunto su una base di clienti che stimare sulla cinquantina è considerato limitativo, fermo restando la ciclicità delle operazioni. Impossibile fare una stima precisa per i due partner, e questo fa emergere un ulteriore aspetto interessante e in qualche modo critico: vale a dire la mancan­za di strumenti di rendicontazione, o ancora più semplicemente la raccolta progressiva delle pro­poste di consulenza e la percentuale della loro trasformazione in mandati. In un certo senso siamo davanti a uno studio che pratica una for­ma inconsapevole di Crm (consolidata nel mon­do industriale ma ancora ritenuta di avanguardia in quello dei servizi), facendo grande attenzione alle soft skills, essenziali per la propria credibili­tà, ma non in maniera diretta, men che meno in modo scientifico.

L’asset che dunque traspare come distintivo, in una realtà dove l’integrazione delle compe­tenze non è ritenuta strategica, è la fiducia nel­le persone. Per questo la piramide all’interno dello studio non è multilivello, ma si cerca di responsabilizzare le competenze di ognuno e in alcuni casi di dare un segnale anche premiante nei confronti dei professionisti che si sono di­stinti. In quest’ottica va interpretata la promo­zione a counsel di quattro collaboratori, bilan­ciando dunque in qualche modo il peso della crescita esterna che al momento appare pre­ponderante. Al momento, infatti, non è previ­sta un’apertura alla partnership degli associati, possibile solo nel medio periodo. Un segnale questo che lo studio non si è ancora stabiliz­zato nella sua traiettoria di crescita e presenta ampi margini di ulteriore sviluppo. Nonostan­te la lunga esperienza professionale dei name partner, lo studio in quanto realtà altra dagli avvocati che lo compongono è ancora giovane e pieno di ambizioni. Con un’impostazione da « truppa scelta » come ama definirla lo stesso Orsignher, che promette di dare battaglia alle ben più rigide portaerei del settore, meno agili e in un mercato dalle dimensioni limitate più indicate a soffrire difficoltà di manovra.


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