Quali sono i rapporti tra le imprese italiane e i soggetti residenti nei Paesi black list? È stato il tema del convegno sulla fiscalità internazionale che si è tenuto nei giorni scorsi all'Università di Pavia.
Luigi Magistro, direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate, ha rivendicato i successi conseguiti in questi ultimi anni dall'Amministrazione finanziaria nella lotta all'evasione fiscale in generale e a quella internazionale in particolare, che ha definito il "peggior tipo di evasione", perché sottrae risorse al Paese.
Giulio Andreani (in foto), professore di diritto tributario alla Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze, ha stigmatizzato l'eccessivo ricorso del legislatore italiano all'utilizzo sia di norme che condizionano la determinazione del reddito d'impresa in presenza di rapporti con imprese localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, sia di norme che prevedono, in tema di residenza fiscale delle imprese e delle persone fisiche, presunzioni a favore dell'Amministrazione finanziaria e quindi inversioni dell'onere della prova a carico dei contribuenti, le quali si traducono tuttavia, troppo spesso, in una probatio diabolica, cioè nella concreta impossibilità - per i contribuenti - di fornire quella stessa prova contraria che la legge impone loro di fornire; si tratta quindi di norme, o di interpretazioni di tali norme, che non rispettano il principio della proporzionalità dell'onere della prova e quindi nemmeno quello della capacità contributiva stabilito dalla Costituzione.
Magistro, ribadendo la necessità di tali norme, ha convenuto sulla necessità che esse vengano applicate dagli organi dell'Amministrazione finanziaria con equilibrio, senza irrigidimenti che finirebbero per renderle effettivamente in contrasto con i principi generali dell'ordinamento tributario.