Il divario retributivo di genere (c.d. gender pay gap) rappresenta una costante del nostro Paese ed è conseguenza, tra gli altri fattori, di sistemi retributivi in cui si possono rintracciare elementi di discriminatorietà.
Se è vero che nel nostro ordinamento non esiste una generale regola di parità di trattamento nel settore privato che impedisca di riconoscere erogazioni economiche (premi, gratifiche, etc.) solo ad alcuni lavoratori e non ad altri (come affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenze a Sezioni Unite n. 6031 del 1993), nondimeno, ciò è consentito nel rispetto dei minimi garantiti dalla contrattazione collettiva e delle norme di legge e, dunque, anche della tutela antidiscriminatoria.
Al riguardo, tuttavia, la diffusa limitata trasparenza sui livelli retributivi applicati all'interno delle organizzazioni rende difficile individuare e dimostrare l’impatto economico differenziato, sfavorevole e non giustificato di cui siano destinatarie le lavoratrici, in quanto donne.
La Direttiva UE 2023/970: le previsioni più significative
Preso atto di ciò - ed in linea di continuità rispetto ad altri recenti interventi normativi- l’Unione Europea ricorre alla trasparenza quale leva per innalzare il livello della tutela dei lavoratori con la Direttiva 2023/970 (che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026) tesa “a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione”.
Due sono le principali direttrici su cui si muove il legislatore europeo.
Da un lato, la trasparenza, intesa come obbligo di fornire informazioni dettagliate ai lavoratori sia in fase pre-assuntiva sia nel corso del rapporto di lavoro (anche per il tramite di loro rappresentanti o di un organismo di parità) sulle politiche retributive implementate, necessarie per effettuare quel giudizio di comparazione alla base dell’accertamento della discriminazione. Rispetto ai lavoratori in organico, questi dati riguardano i criteri oggettivi e neutri (con riferimento al genere) utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica; il livello retributivo individuale; i livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Inoltre, per le imprese di maggiori dimensioni (la soglia è fissata a 100 dipendenti) vi è l’obbligo di trasmettere un rapporto periodico dettagliato sul divario di genere ad un organismo di monitoraggio.
Dall’altro lato, l’impegno degli Stati Membri di adottare le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Ciò significa implementare strumenti e metodologie di analisi volte a valutare, classificare e remunerare il personale (confrontando “posti e retribuzioni”) sulla base di criteri che non si fondano, neppure indirettamente, sul sesso dei lavoratori bensì sulle competenze, sull’impegno, sulle responsabilità e sulle condizioni di lavoro, nonché su ogni altro fattore pertinente al lavoro e alle posizioni specifiche, valorizzando le competenze trasversali.
Importante è il richiamo al “lavoro di pari valore” (già previsto all’art. 157 TFUE, all’art. 4 della direttiva 2006/54 e all’art. 28 del Codice delle pari opportunità) attraverso cui si intende restituire rilievo alle attività prevalentemente femminili frequentemente sottovalutate, ad esempio mettendo in luce le soft skills richieste per l’espletamento della mansione.
Considerato che il gender pay gap cresce con la specializzazione professionale, viene inoltre chiarito che la parità retributiva riguarda anche i trattamenti economici accessori, variabili e complementari (“tutte le eventuali prestazioni che si aggiungono al salario o allo stipendio normale di base o minimo e che il lavoratore riceve direttamente o indirettamente, in contanti o in natura”) riconosciuti di solito ai profili più qualificati.
In questo quadro, si promuove inoltre il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle parti sociali.
Rispetto agli aspetti processuali dell’azione antidiscriminatoria, fermo il meccanismo dell’alleggerimento dell’onere della prova della illegittima disparità di trattamento a carico del ricorrente (onere che sarà “invertito” qualora il datore di lavoro non abbia attuato gli obblighi di trasparenza retributiva) nonché la possibilità di ricorrere alla comparazione nel passato, con un terzo ipotetico e ai dati statistici, interessante è la previsione che allarga l’ambito del raffronto alla “fonte unica che stabilisce le condizioni di lavoro” e quindi, potenzialmente, anche ai dipendenti del medesimo gruppo societario, qualora il trattamento retributivo sia regolato in modo unitario.
Un bilancio sulla portata della direttiva è, ad oggi, prematuro.
La partita della parità retributiva si gioca (anche) su altri campi. Tuttavia la trasparenza salariale porterà le aziende (comprese quelle non tenute a redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale) a riflettere sui processi di job evaluation e sui sistemi retributivi implementati quantomeno per evidenziarne la rispondenza rispetto ai canoni normativi e, forse, incoraggerà l’empowerment femminile.
Sia chiaro: il datore di lavoro resterà libero di retribuire in modo diverso uomini e donne addetti allo stesso lavoro o ad un lavoro di pari valore, tuttavia il trattamento diseguale dovrà essere motivato da fattori oggettivi e neutri rispetto al genere. Sul punto, i criteri del maggior impegno, della responsabilità e del merito, legittimamente considerati al fine di determinare il trattamento economico riconosciuto, potranno comunque produrre un impatto differenziato ove intesi -ad esempio- in termini di maggiore disponibilità alla flessibilità (oraria o geografica), considerata l’asimmetrica ripartizione delle responsabilità di cura che grava sulle donne.
Anche per questo, il percorso verso l’uguaglianza resta aperto.
Il possibile ruolo dell’intelligenza artificiale
Si parla sempre più frequentemente di lavoro e intelligenza artificiale, il più delle volte per sottolineare le potenziali ricadute negative sui diritti dei lavoratori.
In realtà, fermo il rispetto della disciplina privacy, il ricorso a sistemi di I.A. può facilitare la periodica attività di comparazione del valore delle posizioni di lavoro e delle retribuzioni non solo in considerazione del livello di inquadramento ma anche sulla base dei criteri (oggettivi e neutri rispetto al genere) indicati dalla direttiva, al fine di sviluppare sistemi retributivi non discriminatori ed intervenire, ove necessario, attuando gli opportuni correttivi.
L’implementazione di tali sistemi, consentendo alle organizzazioni di analizzare anche in prospettiva predittiva considerevoli tipologie di dati, potrà inoltre divenire l’occasione per raggiungere obiettivi ulteriori rispetto a quello del superamento del divario economico di genere, rappresentando un utile strumento a supporto del processo decisionale imprenditoriale.
Avv. Filippo Collia Avv. Carla Ghitti
Parità Retributiva, Trasparenza E Intelligenza Artificiale. Studio Legale Wilegal
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