Con l'approdo in Gazzetta Ufficiale della norma sulle cosiddette quote rosa sulle società pubbliche non quotate, si chiude il cerchio sull'equilibrio genere nei board. D'ora in avanti i cda e gli organi di controllo di tutte le società a controllo pubblico, non quotate (quindi anche Poste, Cdp, eccetera) dovranno prevedere almeno un terzo di presenza femminile a partire dai prossimi rinnovi, un quinto se al primo mandato.
Un bel passo in avanti secondo Claudia Parzani, partner di Linklaters a Milano, da tempo impegnata in iniziative a sostegno delle politiche di genere e promotrice del progetto "Breakfast at Linklaters", una serie di incontri che mirano a promuovere il talento femminile. «Ora che la parte relativa alla legge è stata superata - commenta Parzani - resta una parte di barriera mentale: è su quella che bisogna lavorare, è il momento di tirare fuori il coraggio».
Ma era necessario un intervento normativo? Alcuni tendono ancora diffidare delle cosiddette quote rosa, sulla base dell'idea che anche creare una riserva per le donne è in fondo una forma di discriminazione. «Qualsiasi correttivo che abbia una sua legalità, come questo che fa delle quote rosa una norma dello stato, ha la sua importanza: inoltre, se questa norma è passata, evidentemente è stata ritenuta necessaria come misura di velocizzazione di un cambiamento culturale», ribatte la professionista. L'idea, quindi, è che così ci si abituerà all'idea che le donne contino di più anche nelle stanze dei bottoni. E pian piano le barriere culturali che impediscono in molti casi al genere femminile di farsi strada nella professione (o lo rendono comunque più difficile) verranno abbattute.
Mentre sulle quote rosa nelle società quotate Consob ha già adottato il relativo regolamento, la norma relativa alle società a controllo pubblico rinvia a un provvedimento successivo la definizione dei relativi termini e modalità di applicazione. «Ogni volta che c’è una stratificazione legislativa si accumulano ritardi e si perde anche in chiarezza, perché non si consente di implementare le norme con lucidità e visione d’insieme», commenta la Parzani «Ma sono propensa a sottolineare che l'importante è il risultato: quindi si poteva fare meglio, ma l’importante è che tutto venga finalizzato il prima possibile».
Anche perché «questa è una norma non tecnica ma sociale, che va letta alla luce del fine che va a soddisfare». E questo fine, quale sarebbe? Quale potrebbe essere il risultato finale? «Nei paesi del Nord Europa, i primi che hanno implementato le leggi, molte donne fanno di lavoro il consigliere d'amministrazione, conquistando board su board. Magari accadrà anche in Italia». E questo farà bene all'economia? «Alcune ricerche sulla diversity utilizzano caratteristiche peculiari delle donne - riflessività, maggiore propensione al risparmio, condivisione dei risultati - per concludere che le aziende con board equilibrati e amministratori delegati donne hanno accumulato minori perdite o accumulato più profitti. Sono laica su questi temi, non dirò mai che le donne sono meglio. Ma quando si è data la possibilità di scegliere, di avvalersi persone con bagagli anche culturali diversi, è sempre più facile fare emergere il talento. Il mix dà sempre un valore».
E questa rivoluzione culturale potrebbe cambiare anche il volto degli studi legali, dove continuano a essere poche le donne in posizioni apicali. «Chi ha avuto poca propensione a lasciare spazio a donne negli anni a venire subirà delle siuazioni di imbarazzo. Basta immaginare cosa accadrebbe nel giorno in cui un cliente, che nel frattempo si è abituato all'uguaglianza di genere e si è dotato di un board ben equilibrato, dovesse vedersi arrivare una squadra composta solo da avvocati maschi».
Anche l'effetto visivo dovrebbe migliorare. ggf
TAGS
SLA Linklaters ClaudiaParzani Consob, Poste italiane, Cdp Investimenti SGR