Fino a una decina di anni fa era considerato un principe d’Aula. Oggi non c’è settore della consulenza legale che non ne veda il coinvolgimento diretto. Interpellato non più solo in ottica processuale ma in ottica preventiva, il penalista entra nella vita aziendale a 360 gradi, dalla materia tutt’ora attuale della 231 alla predisposizione di misure di sicurezza sul lavoro, passando per questioni fiscali e finanziarie. Ad aver agito da volano sono stati i tanti interventi legislativi che si sono susseguiti negli ultimi anni: dall’introduzione dei reati di disastro ambientale e omessa bonifica all’innalzamento delle soglie per i reati fiscali, passando per la frenetica attività in tema di anticorruzione svolta dall’Anac di Raffaele Cantone. La materia penale ha così fatto ingresso a pieno titolo nella quotidianità operativa delle aziende. Tanto che alcune società hanno iniziato a inserire nei propri organismi di vigilanza i penalisti, ritenuti sempre più utili anche all’interno di questi organi di controllo.
Di fronte a un’evoluzione normativa e culturale frenetica, però, la giustizia penale italiana risulta ancora inadeguata nella gestione dei white collar crimes. È quanto emerge da un’indagine condotta da TopLegal su un campione di 24 insegne specializzate nella materia, interrogate sull’evoluzione del diritto penale d’impresa e sulle sfide in corso. Tra maxi processi in cui sono indagate decine di persone e altri casi in cui, invece, si ricorre al semplificato meccanismo della responsabilità per posizione, uno dei principali nodi da affrontare nel diritto penale d’impresa è quello della corretta attribuzione delle responsabilità nei processi penali. Secondo il campione intervistato sarebbe utile accorciare le distanze tra reale gestione e funzionamento dell’impresa e comprensione di questo da parte degli inquirenti. Formando un corpo di inquirenti in grado, fin dall’impostazione dell’indagine, di individuare i responsabili del settore nel quale è intervenuto il reato e i soggetti che hanno effettivamente agito.
Sempre restando in tema di maggiore contemperamento tra giustizia e impresa, c’è chi reputa il “penale unico” non più sostenibile sia in termini economici che in termini di politica giudiziaria e penitenziaria. Sottolineando l’importanza di differenziare i processi per reati bianchi rispetto a quelli di criminalità comune, in modo da adottare – in assenza di prova certa – misure e strumenti meno cruenti per il penale di impresa rispetto al penale tradizionale e di sangue. Questo perché le cronache sono ormai dense di maxi processi che colpiscono manager e imprenditori, dagli effetti devastanti e irreversibili non soltanto sull’impresa oggetto d’indagine, ma sul Sistema Paese, che perde d’attrattività per gli investimenti esteri.
L'analisi sulle sfide in corso nel settore penale e tanti contributi dei protagonisti del settore disponibili al seguente link.