Smaltire i rifiuti è considerato ormai dalle imprese un rischio da gestire piuttosto che un processo da efficientare. Il motivo sta nell’incertezza e nella confusione che ha provocato sugli operatori la nuova normativa in materia di ecoreati. A cinque anni dall’introduzione, la legge 68/2015 ha prodotto due effetti opposti: da una parte ha innovato in modo significativo l’apparato sanzionatorio applicabile per una migliore tutela dell’ambiente; dall’altra, ha provocato uno sbilanciamento forse eccessivo dei rischi, economici e legali, a carico delle aziende che intendono operare nella legalità.
Se n’è parlato a un recente webinar organizzato dallo studio Napoletano Ficco in collaborazione con TopLegal, cui hanno partecipato imprenditori, top manager, general counsel e dirigenti che si occupano di affari legali e compliance, con un focus particolare sulle tematiche ambientali. Oltre a rappresentare un’occasione di confronto sulla materia con esperti di alto profilo dal mondo accademico, dalla magistratura e dal mondo delle imprese e delle professioni, il webinar si è posto anche l’obiettivo di elaborare tre proposte di riforma in materia ambientale che intervengano sul codice penale (titolo VI-bis), sul codice ambientale (parte sesta bis) e sul decreto 231/2001 art. 25-undecies.
Al meeting, che si è svolto in remoto nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale per il contenimento della pandemia Covid-19, hanno partecipato: gli avvocati Paola Ficco ed Enrico Napoletano, entrambi name partner di Napoletano Ficco; Pasquale Fimiani, sostituto procuratore generale Corte di Cassazione e coordinatore della rete di procure generali ambientali; Catello Maresca, sostituto procuratore generale di Napoli; Renato Baciocchi, ordinario di ingegneria sanitaria e ambientale dell'Università di Roma Tor Vergata; Andrea Bigai, a.d. Zignago Power; Loredana Musmeci, già direttore del dipartimento salute e ambiente all’Istituto superiore di sanità; e Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente.
La normativa, ha sottolineato Ficco, pur seguendo un inasprimento generalizzato delle sanzioni dall’amministrativo al penale, ha lasciato scoperti alcuni punti, come l'abbandono degli inerti, che per quantità e diffusione è tra le principali cause di inquinamento ambientale. Esistono, tuttavia, margini per un ulteriore miglioramento della legge, come emerso dagli interventi di tutti i relatori. Il ddl "Terra mia" è nata, soprattutto, per contrastare non solo la criminalità organizzata che specula sullo smaltimento dei rifiuti, ma anche le imprese che intendono fare profitti illegalmente in questo delicato settore. Secondo il procuratore generale Fimiani, è possibile immaginare un punto di equilibrio tra la tutela delle esigenze di protezione ambientale e gli interessi delle imprese che intendono agire nella legalità, ma che possono trovarsi, per un’organizzazione inefficiente o per una non corretta interpretazione della norma, in possibile contrasto con le regole applicate.
In questo senso, all'interno dell'impianto normativo piuttosto che sull'inasprimento generalizzato delle sanzioni, andrebbe fatta una maggiore chiarezza nella distinzione tra il profilo intenzionale delle condotte, colposo e negligente. Un'impresa, infatti, è in grado già oggi di porre in essere tutte le misure di prevenzione (come la 231, i sistemi di qualità, l'interpello ambientale ecc.) per mettersi in condizione di adempiere in modo consapevole al rispetto dell'ambiente. Una riflessione condivisa da Napoletano, che sul piano correttivo ha sottolineato come il ricorso generalizzato alla sanzione penale in materia ambientale non abbia poi portato a pieni risultati, come si pensava invece di ottenere con l'introduzione di questa nuova normativa nel 2015.