Incontri

Perché gli obiettivi liberano i dipendenti

Smart working e lavoro agile sono stati al centro del dibattito organizzato da Ichino Brugnatelli e People2Results

03-12-2019

Perché gli obiettivi liberano i dipendenti



Smart working e lavoro agile sono espressioni che riecheggiano ormai da qualche anno all’interno delle aziende. Si tratta di novità che hanno ribaltato il concetto di lavoro tradizionale e che hanno aperto a diverse criticità anche giuridiche, come il difficile bilanciamento tra il diritto alla privacy del lavoratore e il diritto/obbligo del datore di lavoro di controllare l’operato del dipendente, la tutela dei segreti commerciali e il diritto dei lavoratori a rimanere “sconnessi”. Senza dimenticare che manca ancora da superare la sfida più grande: l’abbattimento del muro culturale. Nonostante diverse ricerche di mercato dimostrino gli effetti benefici dello smart working, il concetto della presenza soltanto virtuale in ufficio è ancora difficile da comprendere per manager e dirigenti, che rimangono troppo legati al connubio presenza-produttività contrapposto all’equivalenza assenza-improduttività. Questi e altri i temi su cui si è acceso il dibattito nella tavola rotonda intitolata “Let my People Go Surfing: perché gli obiettivi liberano i dipendenti”, organizzato da Ichino Brugnatelli e People2Results in media partnership con TopLegal. Ha partecipato al dibattito un nutrito il panel di esperti composto da Simona Cattoni e Paolo Pesarin di Ky3, Mattia Murnigotti di Hic, Massimo Maggiore di Maschietto Maggiore Besseghini, Luca Daffra di Ichino Brugnatelli, Monica Carta di Unicredit, Francesca Oldani e Chiara Businaro di Manpower e Gianpiero Tufilli di Zte Italy.

Gli interventi dei relatori dell’incontro possono suddividersi in due tipologie: chi ha analizzato il fenomeno dal punto di vista giuridico e chi, invece, ha portato esempi concreti di applicazione in azienda di misure flessibili. Nella prima categoria rientra l’intervento introduttivo di Luca Daffra di Ichino Brugatelli, che ha delineato il quadro normativo entro il quale si muove lo smart working. Questo fenomeno ha letteralmente scardinato i pilastri del lavoro tradizionale, ovvero lo spazio e il tempo della prestazione lavorativa. Il cambiamento in atto, recepito dalla legge sul lavoro agile del 2017, da una parte ha posto al centro l’accordo tra le parti coinvolte (datore e lavoratore), dall’altra ha imposto dei limiti sia in termini di orario massimo sia in termini di spazio, prevedendo l’obbligo di rientri in azienda. 

Sul medesimo filone giuridico si è innestato anche l’intervento di Massimo Maggiore di Maschietto Maggiore Besseghini, che si è incentrato sulle modalità di tutela del segreto commerciale dentro e fuori l’azienda. Identificare e proteggere i segreti aziendali è tutt’altro che semplice, ma la legge vigente fornisce un raggio normativo efficace composto dalle norme del Gdpr e sulla cybersecurity, con il supporto del principio di proporzionalità. Rimane fondamentale per le aziende strutturare policy aziendali specifiche e concrete per tutelare efficacemente i segreti d’azienda.

Successivamente ha preso la parola Mattia Murnigotti di Hic, che ha sottolineato come lo smart working non sia un capriccio dei millennials bensì un’esigenza percepita anche dai c.d. “baby boomers”. Si tratta infatti di uno strumento di flessibilità e responsabilizzazione che aumenta l’engagement nei confronti dell’azienda.

La tavola rotonda si è arricchita anche di un intervento più pratico, condotto da Simona Cattoni e Paolo Pesarin di Ky3, che si sono focalizzati sugli aspetti informatici e tecnologici necessari per la realizzazione di un sistema sicuro con cui fare smart working. 

Infine, l’incontro si è concluso con tre esperienze di implementazione concreta dello smart working in realtà di eccezionale importanza: la banca Unicredit, la multinazionale Manpower e l’azienda di origine cinese Zte. Dalle esperienze portate all’attenzione della platea si è dedotto che tanto è stato fatto e tanti muri (anche concreti) sono stati abbattuti, ma la vera vittoria si avrà quando si riuscirà a ottenere l’utilizzo dello smart working anche da parte dei lavoratori più restii, spesso soggetti con posizioni apicali nell’azienda che dunque influenzano a cascata anche i lavoratori più junior.

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