La sua candidatura alle primarie del centrosinistra (14 novembre) per scegliere il candidato sindaco di Milano, insieme a quella del costituzionalista Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale e docente alla Statale di Milano, hanno acceso ire e speranze anche all'interno della sinistra milanese. Giuliano Pisapia, penalista, ex difensore di Ocalan durante la sua permanenza a Milano e legale della famiglia di Carlo Giuliani, si mostra agguerrito e promette di rinunciare alle sue cariche attuali, qualora fosse eletto sindaco nel 2011.
Avvocato Pisapia, Milano è un distretto delle professioni, come della moda, dell'editoria e della finanza. Secondo lei l'amministrazione potrebbe valorizzare queste risorse? Come?
"Milano deve tornare a essere la città aperta e attrattiva che è stata. A Milano si veniva per concretizzare i progetti, per realizzare i sogni; era la città all’avanguardia, era la capitale morale. Adesso si è perso quello spirito fattivo che era la nostra principale ricchezza: è sufficiente guardare cosa è successo intorno al progetto dell’Expo, impantanato in liti intestine. Io credo che Milano debba cambiare: che la nostra città debba tornare ad essere un centro di sviluppo economico, con tutti gli evidenti benefici per l’occupazione dei più giovani, ma non solo; che torni ad essere un punto di riferimento internazionale, come lo è stato in passato; che torni ad essere una città vivibile e solidale: in altre parole quel “gran Milan col coeur in man” che ricordiamo".
Politica e professioni a Milano che tipo di dialogo hanno secondo lei?
"L’amministrazione può fare moltissimo per le professioni. Le faccio un esempio: se la città fosse coperta dal wi-fi gratuito, per tutti sarebbe più facile lavorare. Se ci fossero case ad affitti equi, per i giovani professionisti sarebbe meno difficile esercitare una professione così affascinante come quella dell’avvocato. Restiamo la città delle eccellenze in tutti i campi, però non siamo più una città accogliente. Dobbiamo tornare ad esserlo".
Nel caso in cui fosse eletto, rinuncerebbe alle altre cariche in corso e ad esercitare la sua professione?
"Per fare il sindaco, almeno come lo intendo io, bisogna essere a contatto con le persone, con le loro esigenze, con i loro bisogni e con i loro desideri, e io vorrei essere il sindaco dei cittadini. Sarei nei quartieri, là dove sorgono i problemi; e sarei in consiglio comunale, là dove si esercita la democrazia e chiaramente il mio tempo sarà interamente dedicato alla città. E’ chiaro, quindi, che rinuncerei ad ogni altra carica o incarico e che, se fossi eletto, rinuncerei alla mia professione".
Come mai secondo lei, il Partito democratico ha messo i bastoni fra le ruote alla candidatura sua e del professor Onida?
"Io so, perché me lo dicono in molti, che all’interno del partito democratico sono numerosi coloro che credono nelle possibilità di successo della mia candidatura e so che saranno molti quelli che anche alle primarie andranno a votare per me. L’indicazione dei vertici di quel partito è legittima ma non la condivido, credo che risponda alla logica del king maker: io non sono un uomo di partito, né dal partito sono stato scelto. La mia storia politica non comincia oggi: da parlamentare sono stato presidente della Commissione giustizia, ho avuto incarichi istituzionali, sono stato chiamato a coordinare il programma sulla giustizia della coalizione di centrosinistra, ho presieduto l’ultima commissione ministeriale per un nuovo codice penale, ma sono sempre stato indipendente".