In seguito alla pubblicazione dell’articolo sull’importanza del brand degli studi nella relazione con i clienti, continuano a pervenire in redazione commenti sulle questioni che TopLegal ha posto ai suoi lettori. In particolare quello della capacità delle boutique di offrire le stesse competenze dei grandi studi legali. Pubblichiamo una lettera di Andrea Torricelli, partner dello studio Hofer Lösch Torricelli, che pone a sua volta ai lettori un ulteriore quesito.
a) casi nei quali la competenza è solo ipotizzata ed il cliente ricerca prima di tutto la garanzia che la grande organizzazione offre, patrimoniale o di copertura per il funzionario del cliente che ha scelto lo studio;
b) casi nei quali si sceglie la law firm in funzione del livello di scelta già fatto dalla controparte (e la qualità viene solo ipotizzata);
c) casi nei la scelta della grande law firm ha un generico valore retorico e di immagine;
d) ed infine casi nei quali si sceglie o ipotizza una scelta di qualità perché (d1) si tratta di settori iperspecializzati con pochi attori professionali; (d2) si tratta effettivamente di settori dove la competenza specialistica è già nota.
Su questo può darsi che vi sia una differenza delle boutique rispetto alle law firm, che tendono ad internalizzare i metodi (a volte assunti a simbolo attraverso i protocolli e le procedure interne, indefettibili) e poi portano il risultato, quasi d’autorità, senza possibilità di verifica da parte del cliente. Daltra parte, se l’assunto è vero, bisogna riconoscere che anche le boutique non sanno comunicare altrimenti la loro qualità.
In fondo al vostro quesito mi pare, perciò, che ve ne sia uno comune a tutti: come si riconosce e valuta la qualità del servizio legale? Potrebbe essere forse un impegno, oltre la cronaca, per i media del settore in cui voi operate come TOP.
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