di Valentina Magri
Crescono i deal e l’ammontare investito in Italia da parte dei fondi di private equity internazionali. Lo dicono gli ultimi dati di Aifi (Associazione italiana private equity e venture capital), presentati questo mese a Londra nel roadshow istituzionali dell’associazione. A inizio 2024 l’associazione contava 175 soci, di cui 56 internazionale e 119 domestici.
Gli investimenti dei private equity in Italia
L’analisi condotta da Aifi e PwC sui fondi paneuropei rivela che questi ultimi tra il 2013 e il 2022 hanno investito 56 miliardi di euro solo di capitale di rischio: quasi il 70% del totale del mercato italiano.
Questi capitali sono stati investiti in 454 società target, per un totale di 650 deal. Nello stesso periodo, gli investitori internazionali attivi nel nostro paese sono più che raddoppiati, passando dai 21 del 2013 ai 62 del 2022. Parallelamente, l’ammontare medio investito per singola operazione è triplicato, salendo da 57 a 118 milioni di euro in dieci anni. «Questo conferma il crescente interesse degli operatori nei confronti delle imprese italiane», chiosa Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi.
Aifi e PwC tracciano anche un ritratto dei fondi di private equity attivi nel nostro paese. La maggioranza dei private equity attivi su suolo italiano sono europei (121) oppure americani (55). Tra gli operatori europei, dominano inglesi, francesi e tedeschi. «Negli ultimi dieci anni abbiamo visto l'operatività di 190 soggetti e nel 45% dei casi hanno realizzato più di una operazione nel nostro Paese», spiega il presidente di Aifi.
I settori dominanti per deal conclusi sono prodotti e servizi per imprese, Ict, healthcare e biotech, food e beverage, moda. Per quanto concerne i tipi di operazioni di private equity, dal 2013 a oggi hanno sempre dominato i buyout (le acquisizioni), il cui valore è esploso da a uno a quasi nove miliardi nel 2022. Dal 2015 hanno iniziato a farsi strada anche gli investimenti in infrastrutture, che nel 2022 hanno superato i 5 miliardi di euro.
Una volta che una società italiana è entrata nell’orbita di un fondo di private equity, la via maestra per il disinvestimento (la exit) è la cessione dell’impresa a un altro operatore di private equity o a nuovi soci industriali (trade sale). In questo caso, la maggioranza delle imprese acquirenti sono italiane (10), seguite da tedesche (6), francesi (4) e inglesi (4). Tra gli operatori industriali, l’11% fanno capo ad altri fondi di private equity, impegnati in processi di aggregazione di imprese complementari tra loro o dello stesso settore.
«Private equity, venture capital e private debt giocano un ruolo-chiave nel supporto alle imprese italiane e all’economia reale. Considerato il peso crescente degli operatori internazionali, assume sempre maggior rilevanza disporre di normative capaci di consentire piena operatività agli operatori internazionali, che svolgono un ruolo di rilievo nel nostro paese», ha concluso Cipolletta.