PRIVATE EQUITY, OLTRE LA BOLLA NEL SECONDARY BUY OUT

20-10-2006

PRIVATE EQUITY, OLTRE LA BOLLA NEL SECONDARY BUY OUT

La cessione del 97% di Sisal da parte di Clessidra ai fondi di private equity Apax e Permira a un prezzo di 900 milioni di euro, contro i 670 pagati per acquisirne il controllo totalitario, ha suscitato perplessità sul modo in cui le operazioni di secondary buy out sono condotte e, soprattutto, sul modo in cui si formano i prezzi. Alcuni hanno parlato di rischio bolla speculativa e allo stesso tempo di realizzazione d’operazioni in cordata che lascerebbero intendere la formazione di veri e propri cartelli. Ma il vero rischio, in realtà, è un altro. TopLegal ha discusso della questione con Maurizio Bernardi (nella foto) e con Luciano Vasques, rispettivamente Partner e Of Counsel dello studio Agnoli Bernardi e Associati, e maggiori approfondimenti sul tema saranno pubblicati sul numero in uscita a dicembre.

In America le autorità starebbero puntando il dito contro le operazioni di secondary buy out , sostenendo che in atto ci sia una lievitazione dei prezzi nelle cessioni da un fondo all’altro e la formazione di cartelli. Che ne pensa avvocato Vasques?
Le notizie che provengono dall’altra sponda dell’oceano sono frammentarie, anche perché il tutto parte da alcune richieste di informazioni del Dipartimento di Giustizia (Doj), dalle quali non è possibile risalire alle vere preoccupazioni del citato organo di controllo. Dalle notizie di stampa, sembrerebbe emergere l’esistenza di un club d’investitori che agiscono in modo coordinato nell’ambito delle operazioni di by out, principalmente per dividere i rischi di un mercato sempre più importante sotto un profilo dei volumi di investimenti effettuati. È inoltre emerso che il Doj starebbe investigando al fine di accertare se i principali operatori nel settore del private equity by out possano non solo dividere i rischi finanziari delle operazioni, ma colludere al fine di evitare i tipici rialzi di prezzo che caratterizzano una gara. In breve, la collusione, se provata, dovrebbe consistere nel tenere le offerte artificiosamente basse con influenza sui prezzi finali per l’acquisto del pacchetto di controllo della società bersaglio. Non mi risulta che il problema sia legato, invece, a un cartello volto a tenere artificialmente alti i prezzi di cessione del controllo.
 
Una problematica, questa, che interessa anche l’Europa, avvocato Bernardi?
Ho assistito molte operazioni di secondary buy out in Italia. In base alla mia esperienza posso affermare come il fondo venditore abbia la fortissima esigenza di massimizzare il ritorno dell’investimento. Per questa ragione un accordo per tenere basso il prezzo, secondo il filone investigativo del Doj, appare tesi davvero difficile da sostenere nel contesto del mercato europeo. Per converso, il fondo che compra ha interesse a massimizzare l’investimento tenendo il prezzo d’acquisto basso, dato che un prezzo artificiosamente alto rende ancora più difficile il ritorno dell’investimento.


Ma allora quali rischi incombono su tali operazioni?
Il maggiore rischio collegabile ad un secondary buy out può semmai derivare dal possibile eccessivo indebitamento della società bersaglio, quest’ultima già indebitata dalla prima operazione di leverage, per cui occorre analizzare con molta attenzione l’indebitamento ed i piani di rientro da una parte, e le effettive possibilità di  sostegno da parte dell’impresa dell’indebitamento finanziario.

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Bernardi LucianoVasques, MaurizioBernardi Elia, Sisal, Permira SGR, Clessidra, Apax


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