PRIVATIZZAZIONI: ADDIO AL TESORETTO

13-02-2014

Si inizia con Poste Italiane ed Enav. Probabilmente a seguire sarà il turno di Eni e STMicroelectronics. A distanza di vent'anni la necessità dello Stato di batter cassa attraverso le privatizzazioni torna a far parlare i salotti buoni dell'avvocatura. Ma il tono dei discorsi è ben diverso.

Se negli anni Novanta la prima ondata di dismissioni dei gioielli di Stato ha costituito il tesoretto di molti studi, conducendo nel Belpaese una pletora di insegne straniere pronte a contendersi il bottino con quelle tricolore, oggi c'è poco da attendersi dal piano del Governo. E per capirlo basta fare un ripasso delle ultime privatizzazioni realizzate in Italia, così come messe in fila da una ricerca di Kpmg, Privatization Barometer 2012.

Nella stragrande maggioranza dei casi ­ – Snam, Terna, Sace, Simest, Fintecna, Sea, Ansaldo Energia ­ – è intervenuta la Cassa depositi e prestiti (di cui ha l’80% il Mef), sia direttamente, sia tramite il fondo da essa controllato (con il 16,52%) F2i. Tralasciando i giudizi di merito su quanto possa parlarsi di “reali” privatizzazioni quando si mantiene il comando in mani pubbliche, guardiamo invece la vicenda da un punto di vista del mercato legale. Per gli studi che si sono aggiudicati il mandato c'è stato poco di cui gioire. Le basi d'asta fissate sono state talmente basse da risultare ben difficile vedere le privatizzazioni come reali opportunità di business. Semmai come casse di risonanza per il brand o come mezzo per ottenere successivi mandati.

La logica ormai è chiara: diversamente e 
inversamente rispetto a quanto accadeva in passato, adesso sono gli studi a investire sul cliente. Eccoci al punto: il rapporto advisor-cliente si è rovesciato. E non soltanto per le privatizzazioni. A fornire il destro anche un'altra operazione, l'Ipo di Fincantieri, il cui sbarco a Piazza Affari dovrebbe avvenire entro fine anno. Quella che si preannuncia come la più importante Ipo del 2014, il cui valore è stato stimato in 1,2 miliardi, frutterà ai consulenti legali solo 160mila euro. Nel 2012 la quotazione di Cucinelli si stima ne abbia fatti guadagnare tra i 200 e i 250mila. Già la metà rispetto a quanto portavano in cassa agli studi le stesse operazioni fino al 2005. Anche la consulenza sulle Ipo, quindi, seppure non fungibile, sta diventando un servizio standardizzato.

Dato questo scenario, le ripercussioni sull'organizzazione degli studi non può esaurirsi in un puro efficientamento tra ricavi e costi. Con un mercato che si sta normalizzando in questa direzione, gli studi sono costretti a fare i conti non soltanto con la razionalizzazione della macchina, ma con un necessario ripensamento culturale. Se l'advisor legale è un fornitore di servizi alla stregua degli altri, c'è da chiedersi se avrà ancora senso parlare di rainmaker. Quali professionisti, infatti, saranno in grado di generare fatturati stellari se i clienti più prestigiosi sono disposti ad affidare i mandati solo a prezzi di saldo? E questo non potrà non avere ripercussioni in termini di bilanciamento di poteri interno alle insegne. 

Maria Buonsanto
maria.buonsanto@toplegal.it


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