Diversi studi legali destinano una parte delle proprie attività a cause benefiche. Tuttavia, non si può fare a meno di notare che le iniziative portate avanti sembrano essere ripetitive e prive di reale innovatività. Eppure, il pro bono potrebbe essere l’occasione per esplorare campi sconosciuti e favorire nuove sinergie. Gli avvocati coinvolti, infatti, si trovano in queste esperienze a lavorare slegati dalle logiche del compenso e della fatturazione, collaborando con clienti per tipologia ed esigenze diversi dai consueti. Questa libertà dovrebbe favorire lo sviluppo di soluzioni creative e sperimentazioni. Eppure, a un primo sguardo sulle attività intraprese, sembra che gli studi siano restii a cimentarsi in territori alternativi.
«L’impegno degli studi in questo campo è senz’altro ammirevole, eppure non si può fare a meno di notare l’assenza di innovazione e la poca volontà di esplorare campi sconosciuti», ha commentato a TopLegal Giovanni Carotenuto (in foto) dell’omonimo studio legale nonché fondatore e presidente di Pro Bono Italia, associazione di avvocati nata nel 2017 volta al coordinamento degli studi legali in queste attività. Pro Bono Italia ha oggi all’attivo circa 30 membri e una rete di oltre 500 persone.
Sotto il cappello del pro bono possono infatti finire tantissime attività. Le recenti tendenze vedono però in alcune tematiche e approcci specifici il maggior impegno degli studi. Per esempio, Baker McKenzie ha avviato l’iniziativa denominata “Promoting Refugees Integration”, che consiste nell’aiutare i rifugiati titolari di protezione internazionale ad acquisire nuove conoscenze e a sviluppare le qualifiche necessarie per aumentarne l'autostima e facilitarne l'ingresso stabile nel mondo del lavoro. Anche altri studi hanno portato avanti simili iniziative, come il progetto “Know your rights” di Dla Piper e la consulenza gratuita fornita ai migranti da De Berti Jacchia Franchini Forlani.
Iniziative meritevoli ma che si muovono sulla scia dell’impianto normativo italiano di impronta solidaristica, per cui sono già previsti istituti quali il gratuito patrocinio e il patrocinio a spese dello Stato. Ma questo non significa che non ci sia spazio per il pro bono, che anzi può sfruttare tutta l’area rimasta scoperta della consulenza stragiudiziale. «L’avvocato di oggi – racconta Carotenuto – passa intere giornate dentro le mura del proprio studio senza contatti con il mondo esterno. Il pro bono è l’occasione perfetta per rispolverare la funzione sociale dell’avvocatura».
Senza contare che questo tipo di attività spesso coinvolge questioni professionalmente sfidanti e insolite: una palestra per mettere a frutto progetti innovativi e creativi in un contesto protetto. Secondo Carotenuto la strada da percorrere è ancora molto lunga. Tuttavia, ci rivela, la soluzione è alla nostra portata. «La sfida – precisa Carotenuto – è instaurare un dialogo con tutti i soggetti coinvolti: Ong e associazioni a scopo benefico, cliniche legali, clearing house e avvocati. Solo dal confronto e dalla creazione di proficue sinergie possiamo capire le esigenze dei nostri interlocutori e trovare modalità innovative per soddisfarle».
Dopo il lavoro svolto per la tutela e la salvaguardia dei diritti di migranti, l’associazione ha ora in cantiere nuove iniziative, tra le quali la stesura di linee guida per la gestione di richieste di assistenza pro bono provenienti da singoli individui (e non da Ong) e un progetto volto alla lotta alla disinformazione. “Un mostro”, dice Carotenuto, che con l’avvento di Internet ha allargato in modo preoccupante i propri tentacoli e che richiede un presidio attento da parte anche degli avvocati. Anche questo può essere un modo innovativo per creare valore sociale.
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