QUANDO IL FINE SI SCOLLA DAL MEZZO

27-03-2014

Gli avvocati d’affari, complice la crisi, sono stretti nella morsa di una duplice svalutazione: economica e valoriale. Questa svalutazione potrebbe essere rovesciata rendendo l’avvocato portatore di una nuova etica. Quello tra consulenti legali e sistema pubblico-privato è un rapporto che non si è mai esaurito nella mera assistenza tecnica. È un legame a doppio filo, in cui il fattore “prossimità” gioca da sempre un ruolo centrale. Una prossimità che potrebbe dimostrarsi tutt’altro che controproducente. Chi meglio di coloro che maneggiano lo strumento del diritto dovrebbe essere deputato a diffondere legalità e moralizzazione nella cosiddetta società civile? Eppure, una parte della categoria mostra ancora segni di essere lontana dalla riscoperta della sua funzione etica, perpetrando la tradizionale inclinazione a rimanere ancorata a vecchi dogmi e prassi individualistiche, indifferente a ciò che accade oltre la soglia delle insegne. 

Ma se l’auspicata moralizzazione dell'avvocato ha ancora molta strada da fare, di certo i clienti stessi non sempre facilitano il raggiungimento di questo obbiettivo. Il legislatore, nel corso dell’ultimo decennio, ha fornito gli strumenti normativi per assicurare maggiore trasparenza e controllo; ma l’uso che ne viene fatto è spesso discutibile. Esempio emblematico è la scarsa chiarezza con cui ancora oggi, a distanza di oltre un decennio dalla normazione, è gestita da molti la funzione compliance, quella che presidia il rispetto di norme, regolamenti e procedure a tutti i livelli dell’attività aziendale. 

Nella geometria della gestione e del controllo dei rischi aziendali, la direzione compliance dovrebbe essere assolutamente indipendente, soprattutto dalle funzioni di business. L’assunto è chiaro: chi è driver economico ha interessi potenzialmente confliggenti con il rispetto delle regole. E i fatti di cronaca degli ultimi anni, che raccontano di gare e appalti truccati (a volte gonfiati altre volte addirittura inventati) passati indenni dai controlli interni, sono un esempio che mette in luce il lato patologico delle connivenze tra compliance e business. Logiche di gestione che non possono non ripercuotersi anche sugli advisor esterni, ponendo in capo a loro rischi penali e reputazionali.

Consulenti e clienti sembrano, quindi, lontani da una reciproca moralizzazione, nonostante tutti i nuovi strumenti normativi messi a disposizione del sistema Paese. Gli strumenti, infatti, possono esserci tutti; ma finché sussiste uno scollamento nella relazione tra mezzi e fini, il risultato sarà sempre gattopardesco. Perché un reale cambiamento possa avvenire, bisognerebbe allontanarsi dalla lettera della legge per riscoprirne lo spirito.


Maria Buonsanto
maria.buonsanto@toplegal.it


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