Tempo fa, tra gli avvocati d’affari predominava un riserbo esasperato e diffuso in merito alla propria attività che oggi sembra un ricordo lontano e piuttosto curioso. All’epoca, la riservatezza professionale, da plusvalore per il cliente era divenuta in molti casi semplice volontà di oscurare attività e numeri dello studio. Ma bisogna costatare che un decennio fa, e tranne per alcuni casi eccezionali, la presenza di avvocati d’affari nella stampa economico-finanziaria italiana era quasi sconosciuta. In quegli anni, pubblicare i nomi dei clienti abbinati ai loro consulenti legali era quasi un’offesa che, per di più, incorreva spesso nell’ostilità degli ordini forensi che da sempre hanno voluto avvolgere nell’ombra la professione in forma associata.
TopLegal ha avuto il merito di istituzionalizzare la comunicazione in ambito legale, e ora il settore può dirsi sicuramente meno chiuso, ma la crescita del sistema e delle singole realtà in termini di progettualità e programmazione rimane ancora incompiuta. Per sintetizzare, si potrebbe dire che fatta la «comunicazione legale» bisogna fare «l’organizzazione legale».
La perdurante crisi, la concorrenza sempre più intensa, il progressivo cambio di sistema e di interlocutori nazionali e internazionali ha evidenziato in maniera forte e repentina la mancanza di un disegno, di un quadro d’insieme capace di guidare scelte, investimenti e azioni delle singole realtà professionali. La contrazione del flusso di lavoro e dei fatturati ha messo a nudo seri problemi strutturali. La mancata presa di coscienza di essere un’organizzazione complessa e non la somma di singoli individui, non ha solo frenato il passaggio dall’autoreferenzialità a un approccio istituzionale, ma ha favorito un’involuzione che ha depauperato contenuti e canali d’informazione.
La comunicazione, che in tutte le realtà evolute e di sostanza, deve essere a servizio e supporto al progetto, è divenuto il progetto stesso. Quindi, comunicare a prescindere. In questo vuoto di ordine si tende ovviamente a seguire il singolo a discapito della squadra e dell’istituzione – confondendo la parte per il tutto – e a prescindere da ogni vera progettualità, agendo principalmente nell’interesse particolare e soggettivo di chi comunica a discapito dell’utilizzatore. Per questo motivo si ripiomba nell’autoreferenzialità e il gioco di specchi in cui l’immagine di sé che ne è riflessa è scambiata per il profilo del mondo e delle cose. Quando, per di più, i cronisti si limitano semplicemente a riprendere testualmente le battute a effetto dei comunicati emessi dagli studi legali, è lecito parlare di fungibilità della stampa. In questa proliferazione cieca, la comunicazione rincorre sempre di più se stessa, mentre la sovraesposizione dei professionisti da una parte e la fungibilità della comunicazione dall’altra determina l’appiattimento di tutti gli attori.
Grazie alle molteplici sirene che li corteggiano, gli avvocati d’affari si sono abituati a mettersi sotto la luce dei riflettori. Non tutti, però, arrivano a ragionare con profitto e nel concreto sulla propria attività professionale con la visione e l’acume necessari per interpretare le trasformazioni ora in corso. Un progetto che oggi voglia rivolgersi con autorevolezza al comparto legale ha l’obbligo di essere funzionale alla comprensione delle dinamiche del mercato e non servire unicamente per allestire una vetrina. L’informazione deve piuttosto tornare ad avere un valore. E per tutti gli stakeholder.