I social network rappresentano una modalità espressiva diffusissima anche fra gli avvocati d'affari, i quali hanno una tale familiarità con la comunicazione di massa che porta talvolta a far cadere certe remore. Recentemente si poteva leggere un breve commento, piuttosto significativo, da parte di un consulente legale di peso su uno dei social network di 4cLegal, primo ideatore italiano del software online che consente ad aziende e studi legali di svolgere i beauty contest. Opponendosi all'intero principio del protocollo di gara, il professionista si è lasciato scappare che «l’opacità del mercato legale in fin dei conti conviene». Con altrettanta e disarmante onestà il nostro avvocato proseguiva: «il fatto che fare un beauty contest sia complesso e dispendioso determina che se ne facciano meno, e questo per me è un vantaggio». Dopo tale rapidissima analisi, arrivava la deduzione incalzante per il proprio interesse personale: «Un sistema che semplifica questo processo non mi conviene».
Tesi poco elevata, sicuramente, ma tuttavia chiara e sicura oltre che devastante per l'ideale della trasparenza. O almeno così sembra. In realtà, l’intuizione del critico poggia su presupposti solo apparentemente fondati, nonostante abbia il merito di adattarsi meravigliosamente alle debolezze del nostro mercato e di cui fa emergere tutte le criticità.
TopLegal si è da sempre interrogato sulle possibilità e sugli strumenti di miglioramento del mercato legale, ragionando su tendenze, necessità e obiettivi degli operatori. In questo contesto, il commento citato suggerisce una riflessione su come taluni avvocati rifiutino un fenomeno del tutto pacifico e conclamato, ossia il mercato. Da anni auspichiamo un passo avanti del settore nella direzione di una concorrenza dove il merito, inteso come capacità di esprimere un soddisfacente equilibrio tra qualità e costi dell’assistenza legale, sia l’unico (o quantomeno il principale) strumento di affermazione del professionista.
Stupisce quindi che si possa contare e puntare sulla non trasparenza delle dinamiche tra domanda e offerta di servizi legali piuttosto che sull’efficienza interna e sulla creazione e comunicazione del valore aggiunto del proprio lavoro. Se il successo della professione deve fondarsi sulla difficoltà del cliente di svolgere un beauty contest e sulla correlata opacità del mercato legale, la situazione appare francamente desolante. E questo anche per le aziende e i general counsel, le cui difficoltà nell’individuare con certezza il valore di mercato delle prestazioni legali finiscono col diventare stampella dei più svegli, ma non necessariamente dei più bravi o dei più utili per l’azienda.
Inefficienza e opacità sono fenomeni che il mercato naturalmente combatte e che, anche nel settore legale, sono destinate a scontrarsi (e perdere) contro gli interessi dei clienti. Per questo motivo, il dilemma posto dal nostro avvocato, basato sulla contrapposizione degli interessi, si rivela falso. L'interesse ben inteso determinerebbe un atteggiamento piuttosto diverso. Il rischio reale per i consulenti legali non è che si possano fare sempre più gare ma che se ne facciano in modo improprio e a danno di chi offre il servizio legale migliore.
Beauty Contest