Voltare pagina per crescere. Mettere mano alla governance e agli assetti di potere ma senza sconfessare la legacy del passato. Ripensare l’approccio alla comunicazione senza indulgere in “effetti speciali”. Cinquant’anni di storia, tra successi e momenti più difficili, come quelli di Ughi e Nunziante, lasciano in dote un bagaglio di esperienze e lezioni. Un bagaglio che, solo se ben gestito, può fornire il propellente per mettere un’ipoteca su altri dieci lustri. Alcune parole chiave sintetizzano questo bagaglio, per quanto non possano chiaramente esaurire cinque decenni di storia: anti nepotismo e attenzione alla governance, internazionalizzazione, perdite ma anche ritorni. Da questi stessi concetti si sviluppa la strategia che guarda al futuro: coltivare i giovani e la partecipazione democratica, investire su comunicazione, brand e tecnologia, confermare l’inversione di tendenza nella crescita.
L’età dei ritorni
Nato dall’unione degli avvocati Giovanni Ughi e Giovanni Nunziante, lo studio è stato partecipe di diverse vicende che hanno caratterizzato il Paese legando negli anni il proprio nome a realtà internazionali come Texas Instruments, Bank of America, Electrolux, legami definiti «pionieristici » per i tempi. Per l’attuale managing partner Roberto Leccese (in foto) lo storico contributo dello studio all’innovazione culturale e professionale del comparto legale italiano può essere sintetizzato in due aspetti peculiari: l’aver introdotto fin dall’inizio sul mercato gli standard ricavati da prassi internazionali legati all’esperienza dei fondatori; l’essere nato da due entità che erano presenti sulle due piazze di Roma e Milano e non dall’espansione di uno studio “solo” romano o milanese sull’altra piazza. «Nel primo caso — commenta a TopLegal Leccese — si è trattato di un imprinting non scontato se guardiamo tanti altri studi di rilievo dell’epoca; nel secondo credo che “l’unione paritetica” tra due piazze fosse un caso senza precedenti, per quanto certamente si è trattato di un avvicinamento e un’integrazione progressiva».
Certamente, chi ricorda le cronache ricorda anche che a Milano lo studio si chiamava Ughi e Nunziante, mentre a Roma era invece Nunziante e Ughi. Una doppia anima che rifletteva i caratteri forti dei due fondatori. Un mix non semplice da tenere in equilibrio ma che aveva saputo introdurre anche due elementi che oggi Leccese giudica chiave per la futura longevità dello studio: la clausola anti nepotismo e la parità di status tra i soci. «Fin dalle prime versioni dello Statuto — ha spiegato Leccese — è stata introdotta una clausola anti-nepotismo, elemento forse senza precedenti per uno studio italiano. La seconda differenza, rispetto a molti altri casi che conosco, è che fin dall’inizio la governance dello studio ha avuto un assetto democratico, senza sostanziali differenze di status tra i soci, inclusi i name partner. Per quanto è chiaro che nei fatti, fino a quando sono rimasti soci, i name partner avessero molta influenza e voce in capitolo».
Ecco che anche Ughi e Nunziante ha avuto le proprie stagioni conflittuali, come accaduto ad altri studi innovatori, dove lo scontro interno tra associati, soprattutto negli anni Novanta e Duemila, ha visto l’uscita di più soci che sono andati a fondare altri studi, con la conseguente perdita di posizioni sul mercato. Lasciano lo studio diversi nomi che sarebbero stati protagonisti della stagione successiva, tra cui i futuri soci fondatori di insegne italiane e internazionali come Maurizio Delfino (Delfino Willkie Farr & Gallagher) Giovanni Lega e Paolo Coluzzi (Freshfields) e Alessandro Varrenti (White & Case). A questi si aggiungono altri professionisti che sono usciti negli anni per giungere ai vertici del nuovo studio (Franco Vigliano di Ashurst). «Certamente non c’è sempre stata armonia – commenta Leccese – con una vita così lunga è fisiologico attraversare momenti di questo genere, molte uscite di professionisti, che spesso hanno fatto molto bene altrove, sono state una perdita per lo studio anche se dimostrano la qualità della “scuola” Ughi e Nunziante. Ma accanto alle uscite vanno citati, richiamando l’epica dell’antica Grecia, i “ritorni” (“nostoi”): una serie di colleghi che, dopo Ughi e Nunziante, avevano lavorato in altri studi e, dopo esperienze importanti, sono tornati nel nostro studio. E che in molti casi sono ancora qui adesso, da Filippo Mazza, a Laurence Bulan e Andrea Marega».
Il mix che conquista
Il ritrovato appeal riguarda anche tempi recenti, con diversi lateral che si sono registrati negli ultimi mesi. A maggio per esempio Ughi e Nunziante ha integrato nella sua sede milanese D&p, boutique specializzata in Ip e It, fondata da Daniela De Pasquale e Massimiliano Pappalardo, entrambi ex La Scala. E prima ancora è approdato anche Luca Corabi De Marchi, fondatore dell’omonima boutique. Ci sono poi stati i lateral di Federico Torzo insieme al suo team labour (ex Macchi di Cellere Gangemi) e Linda Favi (ex Kpmg), di Marco Misiti e Amon Airoldi (ex Alpeggiani). Per Leccese molte delle difficoltà che hanno generato le uscite del passato avevano alla base una filosofia di governo che non creava spazio per i professionisti di valore ma che oggi l’insegna ritiene superata. Al contrario, come dimostrano i ritorni e gli altri ingressi anche recenti, ci sono conferme di un’inversione di tendenza nella capacità di attrarre e trattenere. Fulcro di questo nuovo corso è il cantiere remunerazione che ha impegnato lo studio negli ultimi anni.
Buona parte del merito per quella che Leccese definisce una «ritrovata armonia» pare infatti essere attribuibile alla nuova ricetta per le remunerazioni. «È il terzo elemento — spiega Leccese— su cui poggia l’attuale governance dello studio, completamente riformulata nel 2017, che è frutto di un’elaborazione maturata negli ultimi cinque anni. Si tratta di una formula di compartecipazione agli utili dei soci che, stabilendo come ci si deve distribuire i guadagni in funzione dell’apporto di ciascuno allo studio, stabilisce anche come si deve stare insieme». La letteratura sulle formule remunerative è ampia e anche qui non sembrano esserci ingredienti nuovi, c’è l’origination, la gestione dei processi e il coordinamento delle risorse, la quantità di lavoro svolto. «È un mix tra i sistemi classici come “eat what you kill” e “lockstep”, basato su tre elementi ben conosciuti, ma è il dosaggio che proponiamo che sembra funzionare, ce lo dimostra il ritrovato appeal, il trend di adesioni al nostro progetto e il passaparola tra i giovani a cui stiamo assistendo», dice Leccese, che non nasconde di guardare a quota 100 professionisti per il prossimo futuro (oggi lo studio conta 80 professionisti di cui 23 soci), confermando il posizionamento full service.
Le parole contano
La nuova remunerazione si inserisce in un processo di cambiamento e svecchiamento più ampio, che ha riguardato la governance ma anche aspetti quali la comunicazione. Nel 2017 c’è stata una riforma completa della governance dello studio, che ha comportato anche l’eliminazione di «anacronistiche categorie e distinzioni tra soci fondatori e soci ordinari» – introdotte agli inizi degli anni 2000 segnando un’inversione di tendenza rispetto alle origini – con una gestione ordinaria che si basa su un comitato di gestione (presieduto da Leccese) che si riunisce settimanalmente e un’assemblea di soci a voto maggioritario.
«Le parole contano — afferma Leccese — Oggi abbiamo tre fasce di soci, ma la differenza c’è sotto il profilo della partecipazione al comitato di gestione, a cui si può accedere solo quando si è raggiunta l’ultima fascia. È stata eliminata la distinzione tra soci fondatori e soci ordinari, che era stata creata nel 2000 quando alcuni tra i soci anziani dell’epoca sentirono l’esigenza di tutelarsi all’atto dell’ingresso di soci più giovani. Sono tutti soci equity. Certo, ci sono soci più giovani e più anziani, cambiano i numeri ma si è tutti, semplicemente, soci: le parole contano. Abbiamo cercato di creare le condizioni per crescere e acquisire risorse più giovani e brillanti, tornando ad accentuare il tasso di democrazia dello studio, anche grazie al fatto che a mio avviso proprio la longevità dello studio ha permesso una progressiva omogeneizzazione al suo interno».
Negli ultimi cinque anni, secondo quanto indicato dallo stesso Leccese, l’età media dei soci si è così notevolmente abbassata e oggi si attesta sotto i 50 anni. Anche la recente uscita di Fiorella Alvino e del suo team, che ha ricevuto l’appoggio di Gianni Nunziante — che era già da tempo uscito dalla compagine sociale dello studio e aveva successivamente interrotto l’attività di of counsel con lo studio (si veda timeline nell’articolo) — viene vissuta internamente come «la naturale conseguenza della direzione che lo studio ha preso». E viene percepita come un elemento simbolico positivo: «il definitivo superamento di un conflitto interno, di una discussione irrisolta, la dimostrazione di aver voltato pagina».
E se la prova del passaggio generazionale viene considerata superata, la nuova stagione chiede di continuare a investire sui giovani. Da un lato c’è un’insegna che, ricorda Leccese, viene ancora oggi riconosciuta come scuola dai giovani. Dall’altro, la competizione per i talenti che cresce. Quali i capisaldi per la crescita dei talenti? «Mettere i giovani a fare esclusivamente due diligence o lavoro esecutivo è controproducente in termini di appeal sui talenti — precisa Leccese — se sono capaci, l’obiettivo è coinvolgerli il più possibile e dare loro visibilità su tutte le “fasi” di una pratica e anche nel rapporto con i clienti. Tenendo sempre presente che per farlo al meglio è necessario per i più anziani monitorare attentamente il lavoro dei più giovani e limitare il rapporto soci/collaboratori, che in Ughi e Nunziante non è mai andato oltre 1 a 3. Il che significa una seniority medio alta e la possibilità di seguire da vicino il percorso di crescita dei giovani, un equilibrio numerico che migliora la formazione e permette di dare anche al cliente un buon servizio a condizioni economiche ragionevoli».
Distintività internazionale
Se nel Dna dello studio c’è da sempre la proiezione internazionale, è anche vero che il cliente estero è oggi però ben presidiato da tutto il comparto, in un’economia italiana che non trova grandi spunti di crescita. In passato la connotazione internazionale ha avvantaggiato lo studio rispetto ai concorrenti, rimane ancora questo distacco competitivo? E come fare per valorizzarlo? «Ancora oggi — dice Leccese — più del 50% dei clienti in portafoglio sono società straniere e alcuni mandati, anche recenti, ci confermano che lo studio è ben presente nei radar internazionali». Il riferimento implicito è all’assistenza ad Apple nel ricorso al Tar del Lazio sulla presunta “obsolescenza programmata” di alcune versioni di iPhone. Ma anche a colossi internazionali come MunichRe. La strategia internazionale passa poi dal costante presidio delle associazioni di settore. Sin dagli albori Ughi e Nunziante è stata presente nell’Iba (International bar association) e l’avvocato Ughi ha presieduto la commissione per l’elaborazione delle regole per l’acquisizione dei mezzi di prova nell’arbitrato commerciale internazionale. «Dagli addetti ai lavori queste regole sono ancora oggi chiamate “Ughi rules” — ha ricordato Leccese — non abbiamo intenzione di disperdere questo patrimonio e continuiamo a partecipare attivamente alle iniziative dell’Iba, abbiamo per esempio fatto parte del comitato organizzatore della Convention di Roma. E anche i giovani stanno portando avanti questo impegno internazionale: il collega Dino Serafini è parte del comitato organizzatore dell’International Association of young lawyers (Aija)».
Infine, si sta continuando a investire sui desk internazionali: dopo quello tedesco e francese, aperti rispettivamente nel 2003 e 2012, lo studio sta lavorando a un nuovo progetto su questo fronte. Gli stessi investimenti tecnologici hanno puntato a preservare e valorizzare in primo luogo questa posizione competitiva dotando lo studio, precisa Leccese, «ad esempio di un sistema di traduzione e gestione di documenti in lingua straniera avanzato, per arrivare all’eccellenza nell’assistenza in modo efficiente senza però fare in automatico pareri».
La sfida che lo studio sente maggiormente per il futuro è infatti la capacità di gestire i nuovi scenari che si aprono sul fronte della tecnologia in coerenza con i fondamenti della professione. Una scelta di campo su questo fronte, mentre parte del mercato si muove nella direzione dei volumi e della standardizzazione. «L’utilizzo della tecnologia per gestire migliaia di pratiche in maniera automatizzata non ci interessa», chiosa Leccese.
Re-branding e tecnologia
Da qualche tempo, l’insegna ha cambiato direzione anche in termini di filosofia comunicativa. Lo si è visto con il restyling del sito, che è stato reso più dinamico e con maggiori contenuti. «La volontà — spiega Leccese — è trasmettere la nuova filosofia dell’insegna, che è un mix tra la storia che Ughi e Nunziante si porta dietro, da preservare e raccontare, e l’attenzione al dinamismo e ai giovani. Ecco perché la grafica è stata rinnovata ma non indulge in esagerazioni. Certamente, negli ultimi anni ci ha caratterizzato fin troppo understatement a livello comunicativo in un contesto degli attori legali che non ha lesinato a volte “effetti speciali”. Saremo quindi più presenti nella comunicazione, senza stravolgere la nostra natura votata alla sostanza delle cose. Come? Evitando la visibilità per la visibilità ma comunicando solo quello che ha realmente valore».
Anche su LinkedIn da qualche mese lo studio sta dedicando maggiore attenzione alla qualità della sua presenza e all’engagement. Il nuovo approccio culminerà nelle celebrazioni per il cinquantenario che porterà, anticipa Leccese, «a un altro restyling del sito con un’operazione sui loghi e a una serie di eventi celebrativi per il cinquantenario, a Milano e a Roma, tra cui un evento riservato ai numerosi “alumni” e una serie di altre iniziative soprattutto nel sociale».
L'articolo è disponibile su E-edicola fino a fine luglio, nonché ricompreso nella TopLegal Review di giugno-luglio.
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