L'uscita di Paolo Ludovici (in foto) da Maisto, e la conseguente creazione di una nuova realtà professionale, è stata senza dubbio una delle novità recenti che più rumore hanno fatto nel mercato. In questa intervista, la seconda in anteprima della ricerca Tax che sarà pubblicata sul prossimo numero di luglio della Review, Ludovici spiega i motivi che lo hanno condotto a tale scelta. Che, pur rappresentando l'approdo di una traiettoria personale, vanno interpretati come decisi segnali di un mercato in trasformazione, e di esigenze dei professionisti diverse dal passato. Con cui numerosi studi non hanno ancora fatto i conti.
Come nasce Ludovici & Partners?
Lo studio nasce a novembre 2014. Dopo tanti anni, insieme ai miei soci, avevo necessità di cambiare, di avere maggiore autonomia. Abbiamo preso atto che rimanere fermi in una realtà che cambiava avrebbe significato subire il cambiamento e accettare logiche non più condivisibili. Tra le varie possibilità, ho pensato che alla mia età fosse interessante intraprendere l’avventura di creare da zero uno studio, capire cosa significa stare dall'altra parte. Quindi non solo occuparmi della parte professionale, creando uno studio d’eccellenza nella consulenza integrata su tutte le aree della fiscalità nazionale e internazionale, ma anche di tutto ciò che concerne la leadership, la creazione della macchina, l’assunzione delle persone, la scelta degli arredi, del logo. In questo percorso sono stato molto fortunato perché attorno a me ho trovato tantissime persone che hanno alimentato l’entusiasmo. In più, alcune cose mi hanno sorpreso in modo molto significativo: solo sul web abbiamo ricevuto più di 1000 curricula.
Quali sono le logiche che non condivideva?
In quello specifico momento della vita professionale, le logiche del grande studio mi sembravano lontane dal mio modo di essere; mi sarei sentito più a mio agio in una realtà di medie dimensioni, con meccanismi da sperimentare, rispetto ad un approccio consolidato e strutturato. Volevo lavorare condividendo maggiormente i progetti e in una struttura più facilmente governabile, grazie anche alle dimensioni. Volevo continuare il mio percorso in un ambiente sempre con altissime competenze e, allo stesso tempo, con partner più giovani. Uno studio che trova la propria identità professionale nelle competenze dei professionisti e va oltre il nome del fondatore.
Il suo studio ha una denominazione che si riferisce direttamente a lei.
Non è qualcosa che ho scelto io direttamente, ma mi è stato quasi imposto dai miei soci. In futuro, però, puntiamo a debrandizzare per evitare la confusione tra "brand name" e studio.
Qual è, invece, la logica che sottende questa nuova realtà?
La scelta di creare un nuovo studio non ha nulla a che fare con soldi, successo, carriera, né è collegata al momento storico del mercato. Il motore principale è la relazione interpersonale. Condividere una logica di partnership, un’atmosfera friendly all'interno della struttura, con una governance democratica che permetta a tutti di essere importanti e avere adeguata visibilità. La governance funziona se c’è correttezza e chiarezza; non dipende tanto da regole scritte, ma dal comportamento che si adotta. Per esempio, incoraggiando e non sminuendo la partecipazione degli altri. Oppure parlando sempre davanti a tutti e non in maniera one-to-one nei corridoi. Non riguarda le regole scritte ma un modo di comportarsi, che rispecchia l’indole individuale.
Secondo lei c’è un problema con il modello boutique?
Tutte le realtà sono diverse, ma generalmente gli studi che adesso sono considerati al top sono indissolubilmente legati a delle persone, che hanno via via aggregato dei giovani collaboratori che nel tempo sono cresciuti. Le dinamiche tra fondatori e collaboratori tendono a perpetuarsi negli anni e a consolidarsi a prescindere dall'evoluzione professionale e anagrafica dei singoli. È un po’ come il genitore che vede il figlio di 50 anni e lo tratta sempre come un bambino. Quando invece a 50 anni si crea un progetto con persone di 40 anni, le dinamiche sono radicalmente diverse e auspicabilmente virtuose.
Qual è la traiettoria che vede per il suo studio?
Lo studio avrà una struttura sufficientemente grossa, composta da diverse anime di elevata e riconosciuta professionalità. Attualmente siamo in 13 (6 partner, 6 associati e 1 of counsel), ma abbiamo a disposizione ancora un intero piano libero, e stiamo appena strutturando l’ufficio di Roma. Lo studio deve avere una prospettiva, anche e soprattutto per le persone che condividono l'iniziativa. Il disegno strategico è di fare quello che abbiamo sempre fatto: consulenza fiscale nazionale e internazionale di elevato livello.
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