Il 9 ottobre alla Camera il Cnf ha battuto Governo e Antitrust. La riforma forense, di fatto, stralcia l’avvocatura dal testo Dpr di riforma delle professioni. Una vittoria che, come risultato, ha ottenuto quello di rimarcare la “specialità” della professione legale. “Gli avvocati sono una casta”, è stata questa la reazione immediata degli altri ordini. Eppure, ad aver perso qualcosa è soprattutto la parte considerata la “casta forense per eccellenza”, l’anima più business della categoria, quella degli studi d’affari.
La riforma, infatti, ha posto una serie di paletti d’ostruzione alla libera concorrenza. L’abolizione dell’obbligo di presentare un preventivo ai clienti, la riserva di consulenza e il no ai soci di puro capitale sono i tre grandi successi portati a casa dalla compagine più conservatrice dell’avvocatura. Quella che si è fatta portatrice delle istanze della base, il famoso esercito di oltre 200mila avvocati da molti definito il «problema sociale» della categoria.
Ma la riforma forense, così come approvata nei suoi primi 16 articoli, impatta anche sugli studi d’affari. L’anima business della professione, anch’essa alle prese con sofferenza di risultati e incertezze di prospettiva. Gli studi istituzione, che per antonomasia seguono le regole del mercato e della libera concorrenza, hanno visto sfumare le possibilità aperte dalla Legge di Stabilità, che consentiva l’ingresso del socio di solo capitale nell’esercizio di attività professionali regolamentate.
Ebbene, il socio di puro equity non potrà bussare alla porta degli studi legali. Nonostante fossero molti quelli pronti ad aprire l’uscio. L’avvocatura italiana, invece, ha deciso di serrare i chiavistelli, contraria a far cadere un tabù che, a livello internazionale, è stato ormai sdoganato.
Dalla quotazione in Borsa dell’australiana Slater & Gordon alla costituzione della alternative business structure (Abs) inglesi, gli esempi non mancano. Fino al caso più recente, che vede la compagnia assicurativa Direct Line - in procinto di lanciare il 16 ottobre una ipo sul London Stock Exchange da 2,6 miliardi di sterline -, inserire nel prospetto informativo una nota attestante la volontà di dotarsi di una Abs.
Nella bagarre politico-istituzionale che si è consumata per mesi - ed è precipitata in settembre con il ricorso del Cnf al Tar del Lazio contro la riforma delle professioni -, in ultima analisi, a uscire sconfitta è la logica libero-concorrenziale, che dovrebbe tagliare trasversalmente tutti i mercati. Compreso quello legale. La vittoria di pochi si è trasformata in una sconfitta per il sistema Paese. Una vittoria di Pirro, quindi, che lascia l’amaro in bocca a molti.
Cnf-Governo