R&P Legal

R&p Legal: Quando serve la testa

Lo studio è tradizionalmente incentrato su pmi, provincia e seniority della squadra. Una combinazione di caratteristiche che oggi fanno di R&p Legal un modello innovatore.

04-11-2014

R&p Legal: Quando serve la testa

Visto da vicino, sisarebbe portati a pensare che il modello su cui si fonda R& p Legal – seniority della squadra, pmi come principale clientela, parcellazione flessibile e presenza nella provincia nord- italiana – sia frutto di una visione pioneristica e innovatrice del mercato. Dove stanno andando tanti studi italiani oggi se non (anche) in questa direzio­ne? Eppure, parlando con i vertici dell’insegna, si ha l’impressione che il modello sia più che altro il risultato di una miscela di fortunate coincidenze. Sono gli stessi soci dello studio a ribadire, in più di un’occasione, che « tutte le scelte che a posteriori potrebbero essere vi­ste come una strategia, sono in realtà frutto di una cultura condivisa, che ha origine in tempi non sospetti ». È in tempi non sospetti che lo studio – a detta degli stessi soci « incapace » di strutturarsi su un modello piramidale (che oggi è in parte in crisi) – ha scelto una forma orga­nizzativa cilindrica, caratterizzata da un’equa distribuzione tra i diversi livelli di seniority. E, sempre in tempi non sospetti, provincia e pmi sono stati individuati come bacini di business prioritari dell’insegna, che è riuscita così a mettere un piede in sei città italiane e nel nuo­vo mercato finanziario dei minibond. Cosicché R& p Legal oggi sembrerebbe in possesso di un modello in grado di rispondere con una buona efficacia, ed un certo tasso d’innovazione, alla domanda del mercato. 


Dalla piramide al cilindro 
In un’azienda come quella legale, che opera nel mercato dell’intangibile, la chiave di volta or­ganizzativa per offrire un servizio che soddisfi al meglio il cliente è nel capitale umano. Ogni managing partner dirà che le risorse umane sono un aspetto fondamentale per il buon fun­zionamento dell’azienda- studio. Eppure, alla ricerca di una quadratura nel delicato equili­brio tra ricavi e uscite, molte insegne hanno deciso di contenere i costi fissi andando a ta­gliare proprio quelli legati al personale. Una scelta connessa alla necessità di superare un modello organizzativo – quello piramidale – che oggi sembra mostrare alcuni limiti. « La pi­ramide organizzativa, importata in Italia dalle law firm estere, presuppone una base molto larga, ma la base rappresenta un investimen­to e un costo perché il costo effettivo pagato dall’azienda- studio per il junior è fatto anche di formazione, tempo speso dai partner per rivedere tutti i documenti e costi strutturali (scrivania, computer, segretaria) », commenta il senior partner Mario Colombatto. 

È così che, negli anni di crisi, a cavallo tra il 2008 e il 2009, R& p Legal ha deciso di ri­strutturare il modello, rendendolo più snello, grazie all’informatizzazione dei processi pro­duttivi, e sempre più incentrato sui senior. « Il modello piramidale non ci ha mai contrad­distinti – spiega il senior partner Riccardo Rossotto – perché abbiamo sempre avuto una testa pesante con un elevato numero di soci. La forma che a nostro avviso è strutturalmen­te più vantaggiosa e sostenibile è il cilindro ». I costi della base sono ridotti grazie all’ingresso di professionisti meno junior e all’informatiz­zazione dei processi produttivi. E il percorso di crescita interna rimane costante, così come l’ingresso nella partnership (« oggi non si può chiedere ai giovani professionisti di fatturare un milione di euro per diventare soci, bisogna essere realistici e puntare sul consolidamento della partnership ») , a patto che non si intac­chino i diritti dei soci più senior. Secondo il principio per cui « la moneta non deve diventa­re il driver, ma va comunque gestita ».

Per arginare possibili tensioni interne, ga­rantendo al contempo i diritti acquisiti e quel­li in fieri, lo studio ha scelto di adottare un lockstep doppiamente modificato. Là dove, la prima modifica sta nella ridistribuzione degli utili: l’ 85% viene attribuita sulla base del lock­step e il restante 15% è ridistribuito in base a quanto prodotto durante l’anno (a decidere a chi destinare questa parte è un comitato che viene rinnovato periodicamente). La secon­da modifica, invece, sta nell’assegnazione dei punti equity, che vengono incrementati solo a patto che ci sia un aumento della redditività del punto, per garantire la redditività già ac­quisita dai soci senior. Questo sistema ha por­tato a una distribuzione delle quote per cui, tra il più giovane socio e il più senior c’è uno scarto teorico di cinque livelli di lockstep. Un sistema sostenibile, a detta dell’insegna, che, sempre secondo i soci, accontenta i più. 

Le radici nella provincia 
Così come è anacronistico pensare che l’as­sociazione legale possa ancora reggersi su una forma piramidale, alla stessa stregua, secondo i soci di R& p Legal, è troppo riduttivo snodare un intero business sulla triangolazione Torino-Milano-Roma. « Il mercato legale italiano è ri­dondante di offerta e le piazze principali sono ormai sature », commenta Colombatto. « I clienti vanno cercati in provincia ». Ma in un contesto a spiccata identità territoriale come quello peri­ferico, la sfida è facile a dirsi, meno a farsi. « La targhetta dello studio nazionale in provincia non funziona solo perché blasonata », conferma il managing partner Claudio Elestici, che ag­giunge: « Allora, piuttosto che aprire un proprio studio, meglio cercare la fusione con forti realtà locali ». Ed è questa la strada percorsa dall’in­segna, che, ultima in ordine temporale, in set­tembre ha annunciato la fusione con lo studio bergamasco Zonca Briolini Felli, che ha portato all’integrazione nella partnership di R& p Legal di sei nuovi soci. Bergamo, così, si è affiancata alle sedi di Torino, Milano, Roma, Busto Arsizio (che rappresenta anche la sede a cui fa capo il responsabile del dipartimento labour Roberto Testa) e Aosta. Un’espansione caratterizzata da un minimo comune denominatore: continuare a puntare sulle pmi e sull’internazionalizzazione dell’impresa, cercando studi locali « che abbiano chiara la percezione che il mondo è cambiato e bisogna attrezzarsi per offrire servizi destinati a una clientela che non è più assertiva come un tempo », evidenzia Rossotto. 

Finiti i tempi dell’assertivismo 
Positivi sulle possibilità offerte dal mercato, soprattutto quello delle pmi, i soci di R& p Legal sono fiduciosi in una « ripartenza » del settore, sempre a patto che « non si cerchi di tornare dove si era prima della crisi ». Proprio perché, enfatizzano, « i tempi dell’assertivismo del cliente sono finiti ». Allora, l’obiettivo è im­parare a lavorare in maniera moderna. Un con­cetto di modernità che si declina sulle nuove esigenze espresse dagli in- house: tempistiche strette, parcellazione flessibile, valore aggiun­to e seniority. La filosofia è una: fornendo una consulenza impermeata di questi elementi si ottiene la fidelizzazione del cliente. L’approc­cio moderno diventa, quindi, strumentale per radicare lo studio su uno dei valori più antichi alla base del rapporto tra advisor e cliente: il legame fiduciario. « Maggiore è la fidelizza­zione del cliente, maggiore è la capacità di far percepire il valore aggiunto portato dalla con­sulenza. Ed è sul valore aggiunto che si fanno i margini », sottolineano.

In tema di marginalità, la nota economica è tutt’altro che dolente per lo studio, che, a fron­te di un fatturato in diminuzione – 14,3 milio­ni di euro nel 2013 contro i 15 del 2012 (dati ufficiali) dovuto anche all’uscita di un socio di peso come Lorenzo Attolico (oggi in Nctm) – nel 2013 ha segnato un incremento, seppur mi­nimo, di marginalità ( 7,1 milioni di utili contro i 6,9 del 2012). Lo studio reputa un « falso mito » quello dei clienti pronti a scegliere il loro con­sulente solo sulla base della tariffa applicata. Secondo i soci, infatti, sarebbero avviati al tra­monto i tempi in cui ciò accadeva (anche se in realtà tanti consulenti sostengono che tutt’oggi accada). « I mandati spesso finivano nelle mani di junior del tutto impreparati a gestirli e così i costi per il cliente finivano col raddoppiarsi », commentano. Venendo a galla tutte le stortu­re del sistema, secondo i soci di R& p Legal, i clienti si sarebbero ormai resi conto dei limiti di quell’approccio. « Ma ciò non vuol dire che si possa tornare indietro, quando il prezzo era deciso dall’advisor », aggiungono.

C’è mandato e mandato, così come c’è risul­tato e risultato. « Dire che la consulenza non paga più soltanto perché ci si deve rimboccare di più le maniche non rende giustizia alla pro­fessione », chiosa Rossotto. Secondo il name partner, l’unico vero risultato a cui ha portato doversi confrontare con clienti più consape­voli e meno assertivi è uno: aver riscoperto la natura problem solving della professione, vero compito dell’avvocato. Quindi quale do­vrebbe essere la forma più corretta di paga­mento? La risposta all’annosa domanda che ha trovato più largo consenso in studio è data dallo stesso Rossotto: « La tariffazione oraria non è gratificante né per noi né per il cliente. La parcellazione deve certo tener conto an­che del tempo e della complessità, ma non si può trascurare l’elemento principale, ossia il raggiungimento del risultato ». Così, la tarif­fazione oraria è applicata solo in pochissime operazioni (quelle in cui il fattore complessità è massimo), mentre nelle altre si applica un modello di prezzo alternativo, che – per esse­re sostenibile e garantire marginalità – richie­de necessariamente un modello organizzativo diverso dal passato. L’elemento principe di questo modello per R& p Legal si trova nella seniority dei professionisti, nella convinzione che un senior riesce a risolvere il problema più facilmente e in tempi più stretti rispetto a due junior. E in un rapporto tra domanda e offerta in cui il fattore tempo si è rovesciato – trasfor­mandosi da strumento in mano all’offerta per fatturare di più in strumento in mano alla do­manda per valutare la soddisfazione rispetto alla prestazione ottenuta – un approccio ba­sato sulla seniority, a detta dei soci R& p, non può che risultare il più redditizio.

Eppure, in passato l’equazione non ha funzio­nato e alcuni studi sono implosi proprio perché avevano una testa troppo pesante rispetto al resto del corpo. Infatti, la seniority dei profes­sionisti, unita ad una clientela prevalentemente fatta di piccole- medie imprese, sembrerebbe su carta avere tutte le caratteristiche per generare un modello di scarsa profittabilità, nota dolen­te per la tenuta interna di molti studi.

Aver trovato la giusta formula per restare sul mercato senza disgregarsi? Questo sì sarebbe un’importante innovazione nel comparto legale. 


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