SE IL PREZZO TIRA, STIRA IL COSTO

20-03-2014

Gli studi legali in Italia faticano ad accettare una nuova concezione di workplace. È quanto emerge da una ricerca pubblicata questa settimana dalla società di consulenza immobiliare Cbre, che mette in evidenza come le insegne siano poco inclini ad abbandonare le loro “vetrine” in zone prestigiose in favore di sedi più economiche. Rispondendo a un’idea abbastanza atavica per cui il prestigio dello studio debba riflettersi davanti agli occhi dei clienti in quello della sede. Poco importa se quella vetrina frutta a chi la possiede gli stessi introiti che ne frutterebbe una in periferia (ma a costi esponenzialmente maggiori). A quanto pare, oggi, gli studi legali del Belpaese pensano valga ancora la pena soddisfare la vanità di poter dire “ci sono”; mentre in altri mercati europei si è iniziata ad osservare una nuova tendenza. A Londra, Clifford Chance ha recentemente preso in locazione uffici a Canary Wharf, mentre Norton Rose ha scelto il quartiere Southbank, spostandosi dalla City in uffici più moderni, che consentono un risparmio sui costi totali annui e un uso più efficiente dello spazio. 

Come spesso accade, all’estero – prima che in Italia – gli studi stanno cercando di affrontare i costi di produzione (là dove quelli immobiliari rappresentano la seconda spesa in bilancio dopo i costi del capitale umano) in maniera strutturale. Perché solo ottimizzando i costi di produzione le insegne potranno andare incontro all’esigenza dei clienti di ridurre il prezzo del servizio, determinato dal costo di produzione aggiunto del margine di profitto.

Per decenni gli studi legali sono andati avanti decidendo, praticamente in autonomia e in quasi regime di monopolio, il prezzo da applicare ai clienti. Ma oggi, in tempi di vacche magre, i clienti sempre di più rifiutano di accollarsi i costi di produzione della consulenza esterna. È così che si guarda con perplessità ai costi fissi sostenuti dagli studi legali – specie le remunerazioni dei professionisti e gli affitti pagati per gli uffici di rappresentanza – che finiscono col gravare sulle parcelle. In altre parole, viene richiesto che il prezzo del servizio sia scollegato dal suo costo per fare emergere il valore effettivo del servizio.

La reazione degli studi italiani, finora, è stata quella di cannibalizzarsi a vicenda in una lotta basata unicamente sul prezzo, la cui asticella viene abbassata sempre più. Un processo potenzialmente distruttivo, che rischia di portare gli studi a lavorare in perdita. Ma, che piaccia o no, il prezzo è un fattore competitivo e sottrarsi alla competizione non può essere la risposta. Una possibile soluzione è lo stesso mercato a suggerirla: dal confronto tra advisor e clienti durante il TopLegal Summit del 2012 è emersa la necessità di trasformare la guerra dei prezzi in guerra dei costi. E sarà proprio sul superamento dei costi fissi che si snoderà la terza edizione del Summit, in programma per il prossimo 28 maggio.

L’assioma è semplice: arrivare all’efficienza strutturale significa riuscire a produrre servizi a prezzi competitivi mantenendo inalterati i margini di profitto; con buona pace per studi e clienti. Infatti, al di là di ciò che succede nell’evoluzione del rapporto tra domanda e offerta (e a quanto il mercato tenda alla cannibalizzazione), l’equazione alla base di ogni business non cambia mai: il profitto è dato dalla differenza tra ricavi e costi. Allora, se ragionare nell’ottica del prezzo è un male necessario sia per i clienti sia per gli studi, gestire il problema dei costi in maniera strutturale può essere la chiave per affrontarlo. 

Maria Buonsanto
maria.buonsanto@toplegal.it


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