Si sa, l'imprenditore italiano non ama avere troppa gente attorno quando si tratta di gestire i propri danari. Il patrimonio di famiglia è sacro e solo il timoniere ha diritto a decidere come e per cosa debba essere sfruttato. Il dato emerge da una ricerca svolta dalla Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi in collaborazione con Secofind, in cui si evidenzia come solo il 29% degli imprenditori italiani definisca gli obiettivi di gestione della cassaforte di famiglia assieme a consulenti: legali o commercialisti. Il quadro complessivo indica, inoltre, che la delega esterna è limitata (due terzi del campione che controllano direttamente gli investimenti), che gli obiettivi di investimento evidenziano una avversione al rischio (il 35% punta alla conservazione del patrimonio) e che il peso della liquidità è molto elevato. Lo studio è stato svolto presso un campione di imprese familiari, con un fatturato compreso tra 100 e 500 milioni di euro. Colui che gestisce il patrimonio, e che ha collaborato allo studio, riveste solitamente la carica di presidente (37%), a.d. (26%) o d.g. (10%). «Si tratta di un universo di analisi estremamente interessante, rispetto al quale la teoria finanziaria sa pochissimo», spiega Andrea Beltratti dell’Università Bocconi, coordinatore della ricerca. «La tendenza al fai-da-te, che caratterizza gli investitori al dettaglio italiani, trova quindi parziale conferma anche nel campione qui studiato, soprattutto a livello del controllo delle gestioni esterne e del livello del rischio». Per quanto riguarda gli obiettivi della gestione, essi vengono stabiliti dall’imprenditore nel 37% dei casi consultando altri membri della famiglia, nel 29% con consulenti esterni e nel 29% con entrambi. Si tratta quindi di un processo condiviso, ma senza un modello preciso di riferimento. Nella scelta degli obiettivi prevalgono quello di preservare il capitale (35%) e di diversificare gli investimenti (32%), seguiti dalla ricerca di un rendimento di lungo periodo (22%). Tale scelta tiene conto del rischio che viene assunto quotidianamente nell’espletamento dell’attività imprenditoriale. Nella scelta dell’orizzonte temporale di investimento, infatti, prevale quello di 5-10 anni, preferito dal 62% degli imprenditori del campione , e di oltre 10 anni dall’11%. Nel scegliere gli obiettivi due terzi del campione tengono conto delle caratteristiche dell’attività imprenditoriale. Sul fronte della gestione vera e propria del patrimonio, solo il 19% sceglie di affidarsi ad un consulente esterno mentre il 31% degli imprenditori sceglie da solo e il 50% assieme agli altri componenti della sua famiglia. Il controllo sulla gestione viene poi gestito direttamente dall’imprenditore nel 63% dei casi e da una persona di fiducia all’interno della famiglia nel 17% dei casi. Il portafoglio tipo delle famiglie imprenditoriali italiane risulta poi molto con! centrato nelle classi di investimento più liquide. Liquidità (25%) e obbligazioni in euro (23%) risultano, infatti, le principali destinazioni d’investimento. Mentre la conoscenza e l’utilizzo di strumenti finanziari più evoluti sono generalmente contenuti. Poco selezionati sono hedge fund e private equity (entrambi 2%). Nell’85% dei casi la performance della gestione viene poi valutata direttamente dall’imprenditore.