Nel corso degli ultimi mesi si è aperta una nuova stagione di turbolenze per il mercato legale italiano, che ha avuto per protagonisti alcuni studi internazionali, il cui assetto è stato intaccato come conseguenza in parte di scelte strategiche compiute oltreconfine e in parte di una mancata coesione nella politica di crescita tricolore. Il risultato è un riassestamento di alcune insegne e a una ridefinizione della loro presenza italiana e del loro stesso business.
Emblematiche, in tal senso, sono le vicende che la scorsa settimana hanno coinvolto le tre law firm internazionali Simmons & Simmons, White & Case e Ashurst. Paola Leocani e Nicholas Lasagna sono entrati nelle fila di Simmons & Simmons lasciando l’americano White & Case, che nelle stesse ore ha annunciato l’ingresso di Gianluca Fanti e Giuseppe Barra Caracciolo, provenienti da Ashurst. Questi avvenimenti sono frutto di dinamiche e scelte che affondano le radici nel percorso compiuto dalle tre insegne negli ultimi anni.
Per Simmons & Simmons, in particolare, l’ingresso di Leocani e Lasagna rappresenta un forte segnale di ripresa dopo un periodo di grandi turbolenze. È il febbraio del 2015 quando Jones Day annuncia l'ingresso nel proprio studio di Piergiorgio Leofreddi e Vinicio Trombetti. Entrambi i professionisti, specializzati in capital markets, provengono dalla sede di Roma di Simmons & Simmons.
Inizia un periodo di riflessione per lo studio inglese che, pochi mesi dopo - ad agosto - comunica la volontà di chiudere la sede capitolina e puntare tutto su Milano, piazza nella quale si concentrano i clienti dell’international capital markets, ambito su cui lo studio decide d’ora in poi di focalizzarsi potenziando la propria offerta, come ha spiegato a TopLegal il managing partner Michele Citarella. Una scommessa che adesso ha dato i propri frutti. A poco più di un anno dalla chiusura della sede romana arriva, infatti, l'annuncio del doppio lateral hire dei soci Paola Leocani e Nicholas Lasagna, quest’ultimo promosso a equity in Simmons. Per entrambi i professionisti, specialisti del mercato dei capitali, si tratta di un ritorno a un’insegna di matrice inglese. Leocani e Lasagna, infatti, prima di incontrarsi in White & Case avevano alle spalle un passato rispettivamente in Allen & Overy e Clifford Chance.
Entrambi erano stati scelti da White & Case per dare seguito al piano di rilancio portato avanti da Michael Immordino, managing partner designato nel 2011 per guidare il ritorno in Italia della law firm americana con l’obiettivo di consolidare la presenza in Europa, in particolare nei settori capital markets, sia sul fronte equity sia su quello debito, sul banking e sulle operazioni di M&a. Lasagna arriverà in studio da Latham & Watkins nello stesso 2011. Leocani, invece, giungerà nel 2013, quando la nuova pagina italiana scritta da White & Case sembra ormai inossidabile. Dal 2011 a oggi, infatti, il percorso dello studio è stato caratterizzato da una continua crescita che, con la separazione da Leocani e Lasagna, per la prima volta sembra incontrare un'apparente battuta d'arresto.
In realtà, però, al doppio lateral in uscita è corrisposto un altro in entrata, con l’ingresso di Gianluca Fanti e Giuseppe Barra Caracciolo con un team comprendente altri tre professionisti, tutti provenienti da Ashurst. Un lateral che lo stesso Immordino, parlando con TopLegal, ha inquadrato alla luce di una chiara strategia, che punta a rafforzare l'offerta sulle global financial institution, allineando l'ufficio italiano alla volontà espressa a livello globale di investire sul ramo securitisation, structured products, distressed e non-performing loans.
Mentre per White & Case i nuovi ingressi rappresentano l’apertura di un possibile filone di business, per lo studio di provenienza, Ashurst, sono una conferma della crisi vissuta negli ultimi mesi. La partenza di Fanti e Barra Caracciolo è solo l'ultima di una serie di uscite. Se nel 2012 Ashurst Italia poteva contare su un gruppo composto da circa 70 avvocati di cui 12 partner, a oggi Carloandrea Meacci, Franco Vigliano e il managing partner inglese Stephen Edlmann sono gli unici soci rimasti.
Nonostante questo depauperamento, non è a problemi prettamente italiani che va ricondotta la crisi di Ashurst – tanto che anche altre giurisdizioni stanno vivendo vicissitudini analoghe – ma dipende in gran parte dalle scelte strategiche compiute a livello globale, quando i vertici hanno cercato fortuna attraverso la fusione con lo studio australiano Blake Dawson.
L'integrazione tra le due realtà, in grado di sviluppare un colosso da 1.700 professionisti e 3.500 dipendenti, ha spostato l’asse dello studio: Londra non gioca più da solista e si punta al mercato asiatico, ma con esiti incerti. Non solo. Il periodo di ridefinizione causa anche l’arenarsi di una possibile fusione statunitense, voluta da alcuni soci che iniziano così a lasciare l’insegna.
A questo scenario si aggiunge il tema delle remunerazioni. La fusione, infatti, costringe Ashurst a riscrivere le regole per la partecipazione dei soci alla struttura del capitale, mettendo di fatto mano al portafoglio dei soci equity con la richiesta di un'iniezione di capitale da versare annualmente. Una scelta impopolare, che acuirà le tensioni interne. Infine, va segnalato il cambio di direzione intrapreso dalla nuova dirigenza internazionale, che nel 2014 inizia a implementare le raccomandazioni del consulente Bain di concentrarsi sul finance e sui settori energy, transport & infrastructure. Provocando il malcontento di chi operava a latere del nuovo core business.
Nei prossimi mesi, è proprio a partire da due professionisti operanti nell’energy e nelle infrastrutture – rispettivamente Meacci e Vigliano – che Ashurst Italia dovrà affrontare la sfida della ridefinizione della sua presenza in Italia.
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