Un rischio di ingerenza di “poteri forti” o un’opportunità per avere iniezioni di liquidità a supporto degli affari? O, ancora, un pericolo di una professione decaduta a commodity o un’occasione per accelerare una riforma di governance e trasparenza? Sono gli antipodi del dibattito che si è acceso tra gli avvocati da quando la Legge di Stabilità ha consentito l’ingresso del socio di puro capitale negli studi legali d’affari.
TopLegal, nel numero in uscita a febbraio, ha deciso di sondare gli umori che circolano nei salotti legali italiani, chiedendo il parere dei primi 50 studi d’affari. È andato, inoltre, a fare i conti in tasca alle prime law firm a essersi quotate in Australia. Dall'inchiesta emerge anche la consapevolezza di possibili scenari ritenuti impensabili fino a qualche mese fa. Ovvero, la nascita di studi “di proprietà” dei big. In altri termini, studi legali fatti in casa da gruppi bancari, assicurativi e industrie multinazionali, le quali in tal modo creerebbero e spinofferebbero centri di costo rilevanti (rendendoli magari centri di profitto). Un’ipotesi percepita come un passo concretamente rivoluzionario. E non poco temuto.