A cura dell'Avv. Andrea Di Francesco
1. Premessa.
Nell’ultimo triennio, la giurisprudenza di merito ha spesso affrontato il tema del licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore con disabilità. Nel dettaglio, varie domande giudiziali hanno chiesto se l’applicazione del medesimo termine di comporto, come previsto dal CCNL di riferimento, fosse o meno da considerare una forma di discriminazione indiretta, la quale, ai sensi della Direttiva 2000/78/CE e del D.Lgs. n. 216/2003 attuativo, sussiste laddove qualsiasi disposizione, criterio o prassi apparentemente neutri risultino in grado di porre in una situazione di particolare svantaggio determinate categorie di soggetti, compresi coloro affetti da disabilità. Perseguendo tale finalità antidiscriminatoria e di salvaguardia, il datore di lavoro ha, pertanto, l’obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” per quanto riguarda l’accesso al lavoro, lo svolgimento, la promozione e la formazione.
Sennonché, né il legislatore europeo né quello nazionale hanno ritenuto di dettare una disciplina specifica relativa al superamento del periodo di comporto da parte del lavoratore con disabilità. Sul piano nazionale, la materia è attribuita, pertanto, come sopra evidenziato, alla contrattazione collettiva, la quale applica a tutti i lavoratori il medesimo periodo di comporto per la tutela del rapporto di lavoro in costanza di malattia.
2. Sugli orientamenti della giurisprudenza di merito.
Sul punto, possono individuarsi due opposti orientamenti giurisprudenziali.
In base al primo (Trib. Venezia 7/12/2021, n. 6273; App. Palermo 14/02/2022, n. 111; Trib. Vicenza 27/04/2022, n. 181; Trib. Bologna 19/05/2022, n. 230), recentemente avallato dal Tribunale di Lodi con sentenza n. 12/2022, l’applicazione del medesimo periodo di comporto previsto dal CCNL a tutti i lavoratori non determinerebbe necessariamente una discriminazione indiretta, essendo malattia e disabilità concetti ben distinti: la malattia, infatti, indicherebbe uno stato morboso e temporaneo che impedisce in assoluto l’effettuazione della prestazione lavorativa; la disabilità, invece, atterrebbe a difficoltà funzionali, potenzialmente pregiudizievoli nello svolgimento dell’attività lavorativa. Proseguendo nel ragionamento, il Tribunale di Lodi afferma che in linea generale ed astratta non vi siano ragioni nell’ordinamento italiano per trattare i lavoratori disabili diversamente dagli altri con riguardo particolare e specifico alle conseguenze sulla stabilità del rapporto legate alla durata della malattia. Anche per il Tribunale di Bologna (sentenza n. 230/2022) una tesi contraria risulterebbe ampiamente superabile in virtù delle numerose cautele che già assistono il rapporto di lavoro dei soggetti disabili. E ancora, secondo il Tribunale di Vicenza (sentenza n. 181/2022), la normativa comunitaria, non solo riserverebbe agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità circa i ragionevoli accomodamenti da adottare per tutelare il lavoratore disabile, ma, in conformità alle disposizioni di legge, consentirebbe altresì il computo nel periodo di comporto dei giorni di assenza riconducibili alla condizione di handicap del lavoratore. In proposito, si ritiene utile richiamare quanto già stabilito in precedenza dal Tribunale di Venezia con ordinanza n. 6273 del 2021: “ritenere che dalle assenze per malattia debbano essere espunte quelle determinate dallo stato di handicap ... determinerebbe, nella sostanza, una disapplicazione della norma per la maggior parte delle ipotesi”.
Sul versante opposto (Trib. Verona 21/03/2020, n. 1089; Trib. Mantova 22/09/2021, n. 126; Trib. Milano 02/05/2022, n. 356; Trib. Parma 09/01/2023, n. 1), si colloca la recentissima sentenza n. 168/2023 della Corte d’Appello di Napoli, la quale conferma l’illegittimità di un licenziamento intimato a un lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto, rilevando innanzitutto come il lavoratore in questione possa esser maggiormente esposto al rischio di ammalarsi a causa delle sue patologie invalidanti. A detta della Corte, in aggiunta, l’esclusione dal computo del periodo di comporto dei giorni di assenza per malattie connesse alla disabilità del lavoratore non costituirebbe un carico eccessivo per il datore di lavoro, che, tra l’altro, ha modo di controllare costantemente l’idoneità alla mansione del lavoratore. Nel caso di specie, peraltro, lo stesso CCNL applicabile aveva introdotto alcune deroghe alla disciplina normativa vigente, dimostrando le intenzioni delle parti sociali di tutelare maggiormente la salute del lavoratore e confermando, quindi, l’impostazione della Corte. Sulla medesima scia, la sentenza n. 1/2023 del Tribunale di Parma, pur condividendo quanto affermato dal Tribunale di Lodi in merito ai concetti di malattia e disabilità, precisa che per verificare se, in concreto, la norma collettiva attua o meno una discriminazione indiretta del lavoratore in relazione al computo del comporto come disciplinato dalla contrattazione collettiva, occorrerà valutare se tale disciplina penalizzi il lavoratore “in ragione della patologia che ha dato origine alla disabilità”. Ma vi è di più: la sentenza in esame sembra riconoscere l’unicità della nostra contrattazione collettiva, rilevando come già taluni contratti collettivi prevedano, in virtù della “gravità della patologia od altre caratteristiche della malattia”, un comporto prolungato. Non risulta prospettabile, quindi, un confronto rispetto all’esperienza di altri Stati membri.
3. Conclusioni.
Il contrasto giurisprudenziale appena esposto non è di certo di poco conto e il tema non sembra conseguentemente di agevole soluzione. In attesa di un intervento chiarificatore della Suprema Corte, sarà senz’altro compito del consulente tener conto dei vari interessi contrapposti: da un lato, l’interesse del lavoratore, cui potrebbe essere intimato un licenziamento formalmente legittimo, ma nella sostanza viziato da una presunta “discriminazione indiretta”; dall’altro, quello del datore di lavoro, il quale nel procedere all’intimazione del licenziamento avrebbe, legittimamente, applicato il termine previsto dal CCNL quale comporto.
E’ evidente come sia necessaria una sensibilità sul tema delle parti sociali demandate se del caso a rimodulare le previsioni contrattuali sul periodo di comporto. Ma in assenza di ciò, appare compito del consulente esaminare nel concreto il caso di specie, valutando il bilanciamento da una parte della tutela del rapporto di lavoro dei soggetti più fragili, dall’altro di assecondare le esigenze organizzative del datore di lavoro di non poter utilizzare indefinitamente le prestazioni di una risorsa, tenuto conto nell’applicazione del comporto dell’attuale non distinzione tra malattia connessa allo stato di disabilità, certamente da tutelare, e malattia del tutto avulsa dalle condizioni di disabilità, evitandosi conseguenze distoniche dell’istituto del comporto.
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