Dalla ricerca Contenzioso e Arbitrati condotta dal Centro Studi di TopLegal emerge un dato chiaro: il third party funding conquisterà anche il mercato legale italiano.
Lo strumento, di origine anglosassone, consente a un soggetto terzo alla lite di finanziare una delle parti, sostenendo in parte o in toto le relative spese. La parte finanziata, dunque, può avviare un procedimento giudiziale o arbitrale senza doverne sopportare le spese. Tuttavia, l’investitore ha diritto a una quota di quanto ottenuto dalla parte nel caso in cui risulti vittoriosa in giudizio. Ma vi è di più. Infatti, il dato più interessante riguarda i casi di soccombenza per cui tutte le spese sono sostenute dal finanziatore, senza alcun onere in capo alla parte finanziata.
Il third party funding ha origine negli arbitrati internazionali, generalmente i più onerosi, per poi allargarsi fino ai contenziosi giudiziali. In Italia si tratta di uno strumento ancora in fase embrionale, con pochissime società finanziatrici attive sul territorio. Il motivo di questa cautela può ravvisarsi nella notoria lunghezza e aleatorietà dei processi italiani.
Tuttavia, secondo Stefano Azzali, direttore generale della Camera Arbitrale di Milano (Cam), il third party funding può trovare terreno fertile negli arbitrati italiani. «L’Italia – spiega Azzali – è al sesto posto tra i Paesi con più contenziosi dinanzi all’Icc (International Chamber of Commerce). E gli arbitrati internazionali della Cam stanno crescendo. Questo dà un’idea del potenziale del nostro paese agli occhi di un finanziatore. Inoltre, l’arbitrato è molto più rapido e meno aleatorio rispetto a un normale procedimento ordinario».
Nella pratica, la Cam ha già visto negli ultimi tre anni alcuni casi di third party funding. Tuttavia, solo dal 1 marzo di quest’anno la Cam ha inserito nel suo regolamento l’art. 43 intitolato “Finanziamento da parte di terzi”. Tale norma prevede che la parte che riceve da un terzo un finanziamento relativo al procedimento arbitrale e al suo esito deve dichiarare l'esistenza del finanziamento e l'identità del finanziatore. «Questo obbligo dichiarativo – racconta Azzali – ci permette di lavorare in piena trasparenza. La disposizione, poi, deve essere letta in combinato disposto con la previsione che obbliga gli arbitri a dichiarare se hanno o hanno avuto rapporti con il soggetto finanziatore». In questo modo il regolamento crea un sistema che riduce sensibilmente il rischio di conflitti d’interessi.
Il third party funding apporta vantaggi evidenti: consente l’accesso alla giustizia anche a coloro che non possono sostenere le spese di lite e, in caso di soccombenza, non costringe la parte perdente a sborsare ingenti somme, essendo le stesse tutte a carico del finanziatore.
Tuttavia, sorgono potenziali criticità che possono derivare dall’istituto. In qualità di direttore generale della Cam, Azzali ne ha individuate almeno tre.
Il primo problema, l’insorgere di conflitti d’interesse tra arbitri e soggetti finanziatori, ha trovato un rimedio con il già menzionato art. 43 del regolamento.
Il third party funding, inoltre, potrebbe sollevare dubbi su chi effettivamente prende le decisioni inerenti al contenzioso o all’arbitrato: la parte o il soggetto finanziatore? «Questi aspetti delicati – spiega Azzali – devono essere puntualmente disciplinati nel contratto di finanziamento, in modo da prevenire eventuali conflittualità. L’importante è che gli interessi dell’investitore coincidano con quelli della parte».
Infine, un’ulteriore potenziale criticità sta nell’impatto psicologico che può avere sugli arbitri il coinvolgimento di un soggetto finanziatore. Poiché è noto che i funder eseguono accurate due diligence sui contenziosi che intendono finanziare, un arbitro potrebbe persuadersi che la parte finanziata abbia ragione. Oppure al momento della rifusione delle spese, non essendoci la regola della soccombenza negli arbitrati, l’arbitro potrebbe propendere per condannare la parte finanziata sapendo che tale esborso sarà totalmente a carico dell’investitore.
Azzali, invece, non ravvisa criticità a livello deontologico per l’avvocato della parte finanziata. L’avvocato, infatti, deve compiere comunque il proprio dovere nei confronti del suo assistito, indipendentemente dal fatto che si debba interfacciare con la parte in giudizio o con il soggetto finanziatore.
«Al di là di queste potenziali problematiche – rivela Azzali – non ritengo che vi siano ragioni per ostacolare questo strumento. Tutto ciò che facilita l’accesso alla giustizia è da vedere con favore, purché si faccia alla luce del sole e secondo regole di ingaggio chiare».
La ricerca contenzioso e arbitrati del Centro Studi di TopLegal sarà pubblicata su E-edicola dal 1 giugno, nonché ricompresa nella TopLegal Review di giugno-luglio.